Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani), seguito nel 2019 da Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40).
“L’acqua del lago non è mai dolce� mi era piaciuto molto ma con “il male che non c’è� Giulia Caminito mi ha completamente conquistato. Un libro forte con una scrittura magistrale a tratti poetica. Sicuramente una delle migliori letture di quest’anno. Questo libro mi ha talmente sconvolto che non ho altro da dire. Anzi vi dico solo una cosa: leggetelo!
Vi propongo un estratto della mia recensione pubblicata su Giochi Linguistici
Arriva un po� a sorpresa questo nuovo libro di Giulia Caminito. Radicalmente altro dal suo precedente L’acqua del lago non è mai dolce, dove il male c’era, il dramma del non avere era reale e palpabile. C’� qualcosa che li unisce, però, da una parte quella scrittura piana, scarna di subordinate, che ama mettere sullo stesso piano le frasi e si trasforma spesso in elenchi di parole. In questo caso sono un elenco di sintomi, di malattie.
D’altra parte, è il malessere, e soprattutto la precarietà di una generazione, a fare da collante. In questo senso Loris è quasi il prolungamento di Gaia, del suo futuro da precaria che non ci è dato vedere.
Se è vero che il Male non c’�, c’� però il malessere, questo incombe come un’ombra massiccia attraverso i social network e si fa cosa viva nella personificazione di Catastrofe.
Loris, così come anche Gaia, risulta un personaggio spigoloso, difficile da amare. Ma che si può comprendere.
mi dispiace davvero dover dare solamente due stelle a un libro che pensavo mi avrebbe stravolto, da cui mi aspettavo la stessa crudezza di quel capolavoro che è “l’acqua del lago non è mai dolce� e da cui ho invece ottenuto solamente fantasticherie poetiche che si reggono a difficoltà in piedi. mi dispiace davvero un casino, è dura scrivere questa recensione ad un’autrice a cui sono affezionato, sono quattro anni a questa parte che consiglio sempre “l’acqua del lago non è mai dolce� a chi mi chiede un consiglio di lettura su un libro di narrativa contemporanea.
magari in futuro farò una rilettura e questo libro mi colpirà nel profondo, scaturirà in me una confusione di emozioni, un qualcosa che mi faccia pensare e rimuginare su ciò che ho letto.. ora come ora mi lego a questa speranza..
Loris vuole a tutti i costi che un medico gli dica che è malato. Malato cronico. Invece dovrebbe solo andare in terapia�
“Il dottore palpa e affonda le mani messe una sull’altra, domanda se dove tocca c’� dolore e quanto, il dolore arriva quando preme o quando rilascia, è un dolore acuto o un dolore esteso? Loris pensava che sarebbe stato facile fargli capire la collocazione esatta del male, ma d’improvviso si scopre impreparato, non sa se mentire, se dire sì qui è terribile, non respiro da quanto è pungente, oppure ammettere la realtà : ora non sente nulla, è sedato, quasi dormiente, in quei secondi in cui le dita del medico affondano nella sua pancia, lui è guarito, rinato. Balbetta allora qualcosa, dice più no che sì, e poi più sì che no, e dopo, a palpazione terminata, aspetta il verdetto.�
Una bestia che divora la carne, che si impossessa della capacità di sentire il vero e, affamata, afferra e affonda i denti nell'epidermide, azzanna ogni fibra muscolare, fino ad arrivare alle ossa che spolpa e infine sputa, come un chewing gum che masticato a lungo ha ormai perso consistenza e sapore.
Loris è un ragazzo che vive nell'angoscia, nell'emergenza, in una trappola che si chiama ipocondria. Si è laureato, ha trovato l'amore e il lavoro nell'editoria che ha sempre desiderato, ma a un certo punto il suo castello è iniziato a crollare: la precarietà occupazionale, una sensazione opprimente di ansia e di inadeguatezza, l'incapacità di diventare un uomo indipendente e questa ossessione che lo convince di non stare bene, di essere malato nonostante le soste in ospedale e le visite a pagamento restituiscano un corpo perfettamente in salute, senza macchia.
Loris ripercorre i ricordi che lo legano a un'infanzia felice, al rapporto con suo nonno Tempesta, ai pomeriggi in campagna dove la voliera per colombi colora le sue giornate. Ma poi qualcosa rompe l'equilibrio, e da quel momento la vita si tramuta in malessere, in un dolore a cui nessuno crede. Un dolore autoinflitto, che parte dalla testa e si diffonde.
Come in "L'acqua del lago non è mai dolce", l'autrice mette al centro l'incapacità di trovare il proprio posto nel mondo; è un romanzo psicologico, introspettivo, che non parla solo di ipocondria ma anche di fragilità emotiva, di paura, così come della possibilità di rinascita, che esiste ed è reale.
Le prime righe mi fanno temere un disastro, un incontrollato e flamboyante focus sui sentimenti. L’autrice, invece, riprende subito le fila del suo progetto, che è poi la trattazione di un male psicologico, esattamente come si presenta nella realtà : non didascalico, non direttamente consequenziale a un trauma, complesso, sfaccettato e indistricabile.
Loris cade e ricade, è un ragazzo di oggi come ne conosco diversi, incatenato al malessere senza un motivo unico o eclatante; arrovellato e accomodato nella non-crescita, terrorizzato dagli eventi, dal tempo che passa e dal mondo sociale attorno. Mondo attorno che lo giudica costantemente, svilendo le sue ansie e inadeguatezze con semplicistica noncuranza.
Caminito non cade nel facile errore di rendere tutto chiaro, di vomitare pensieri e onniscienza. Lascia che il disagio si dipani in maniera enigmatica e anche fastidiosa, non indulgendo al presentare il personaggio in maniera positiva o negativa. Si focalizza sull’essere accurata e scrivere minuziosamente, con ricerca, le sensazioni mentali e sensoriali provate da Loris. Il quadro rimane lì da assemblare - oppure no - a scelta del lettore.
Nel fare questo, ci fa ripensare inevitabilmente a “La solitudine dei numeri primi�, come pure ai racconti esperienziali di Mencarelli. Eppure qui percepisco una maggiore maturità , una migliore capacità di scrittura delle emozioni, alla ricerca di misura e in totale assenza di lirismo, e sentimentalismo, senza manierismi. Si rivela quindi più chirurgica, nel senso positivo del termine, senza per questo scendere mai nel cinismo. Un bellissimo ritratto contemporaneo, emblematico e allo stesso tempo enigmatico, esattamente come le giovani generazioni contemporanee.
Lo squisito dolore provocato da un libro che ti capisce fin troppo negli aspetti più fastidiosi e reali della tua vita - unica pecca, il finale, trovato personalmente un po� lasciato andare.
C’� chi affronta la vita di slancio, con coraggio, con convinzione; e c’� chi esiste per tentativi. È questo e molto altro Loris, il protagonista del nuovo romanzo di Giulia Caminito, Il male che non c’�. Trentenne precario nato alla fine degli Ottanta, ha l’ambizione (corroborato da anni di formazione e da un modello educativo che gli ha sempre garantito la piena realizzazione delle sue vocazioni) di lavorare nel mondo dell’editoria e un male dentro, profondo e vorace, che nessuno vede: «Esistono i mali evidenti, le ferite, ma esistono anche i mali oscuri � si è detto � quelli che non li vedi ma sono i peggiori, sono i più crudeli».
Caminito torna alla narrativa tre anni dopo il grande successo de L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani, 2021) e per certi versi sembra riafferrare la coda del discorso iniziato proprio con l’opera precedente: chi sono davvero gli individui della generazione Millennial? Che cosa sognano, per che cosa soffrono? Che cosa sappiamo di loro, cresciuti e diventati adulti in un tempo tutto sommato pacificato, protetto e privilegiato? Alcune ipotesi le rintracciamo nella storia di Loris, giovane uomo appassionato di libri fino alla compulsività , colto e capace, figlio unico di genitori che lo hanno cresciuto con amore e fiducia nel futuro.
Così Loris si sente inadeguato, inadempiente, in ritardo sulla propria esistenza: e se questo male si vede, si può riconoscere, ce n’� un altro più profondo e nascosto, che tormenta Loris da un’età bambina. Un male che è cresciuto con lui, che non lo abbandona mai, un male che non si manifesta in una tangibilità corporea, patologica, clinica: l’ipocondria. Il romanzo a questo punto imbocca una strada molto interessante, e cioè quella dell’invenzione letteraria che gioca con i generi e con le aspettative del lettore: se da una parte la scrittura di Caminito racconta esplicitamente l’ostinazione ossessiva con cui Loris perlustra il proprio corpo alla ricerca di un nodulo, di una malformazione, di un tumore, di una prospettiva di morte, procedendo per accumuli ed elenchi ansiogeni, dall’altra sceglie una cifra più visionaria, trasformando l’ipocondria del protagonista in un vero e proprio personaggio, di nome Catastrofe. Catastrofe è una creatura mutaforma, che appare a Loris nei momenti di maggiore sconforto e solitudine, talvolta ha le sembianze di una bambina azzannatrice di carne sanguinolenta, talvolta quelle di una donna con caftano e antenne da coccinella, talvolta indossa pantaloni da lavoro e rivela una coda di gatta, talvolta sembra un mimo. E Catastrofe impersonifica l’onnipresente angoscia di Loris: di non farcela, di restare indietro, di non essere come gli altri; di ammalarsi e di morire.
E i simboli non mancano nemmeno nel piano narrativo al passato: i colombi con la loro bellezza e la loro fragilità , una gabbia che forse è anche protezione, la morte che arriva come una scheggia impazzita, nella selvaticità come in una stanza disinfettata � tutto prepara il Loris bambino all’uomo che, suo malgrado, diventerà .
Lo stile di Caminito, materico ed essenziale, illumina il racconto e ne mantiene incalzante il ritmo, i personaggi non cercano l’empatia del lettore, le questioni che emergono sono molte e decisamente contemporanee ma non il risultato di una scrittura a tesi, piuttosto di una visione: l’adultità che si sfalda contro un mondo che non consente la piena emancipazione, la famiglia in bilico tra cura e controllo, lo sfruttamento lavorativo, la precarietà economica, le gravi mancanze del servizio sanitario nazionale, la prima esperienza con la morte � che spalanca e sancisce il tempo della paura. Una società � la nostra, del nostro oggi � perennemente alla ricerca di uno spazio per raccontarsi, anche a costo di mistificare: i social network costringono Loris al confronto costante, e pure nella consapevolezza che ciò che viene esposto è sempre parziale e il risultato di un’accurata selezione, gli causano un profondo malessere. Una società aggressiva, sempre pronta alla gogna collettiva: da dove viene tutta questa rabbia, tutta questa voglia di infliggere dolore?
Il protagonista vuole raccontare del suo male a tutti, ai genitori, a Jo, ai medici che lo visitano. E ancora prima che curato, vuole essere creduto e ascoltato: vuole essere visto. E forse qui il romanzo sembra risalire la china, offrire uno spunto per lasciare l’inferno: forse la domanda è come? Come si fa, a essere visti per davvero? A essere riconosciuti anche nelle proprie mancanze? Loris, nel cercare disperatamente il riconoscimento del suo male, sembra esprimere proprio questo interrogativo. Il suo corpo, i corpi dei Millennial: stretti tra una Catastrofe e un volo di colombi, incapaci di corrispondere al futuro che era stato immaginato per loro, chiedono che il loro dolore sia nominato, accolto. Non vogliono un farmaco che lenisca, sarebbe soltanto il veleno greco dell’etimologia: domandano di esistere.
Il male che non c’�, è importante ricordarlo, è un romanzo, un’opera di fiction: se pure attinge al bios dell’autrice, come da lei stessa affermato, lo fa trasformandolo in materia narrativa. Si tratta di una scelta peculiare, soprattutto se si pensa alla proliferazione di opere autobiografiche con al centro storie di trauma e dolore, nelle quali la sovrapposizione tra chi scrive e personaggio sembra essere uno dei principali catalizzatori dell’attenzione. Caminito invece scansa l’equazione della letteratura come specchio, o quantomeno prende lo specchio e lo manda in frantumi: starà a chi legge ricomporre i pezzi, non è detto che ne verrà fuori il nostro riflesso preciso, magari sarà una faccia contorta, montata al contrario, in cui non ci riconosceremo affatto. E va bene così, soprattutto se come Kafka ci crediamo ancora: un libro dev’essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.
Un viaggio angosciante nella vita di Loris, o forse nella mia, o della tua, forse in quella del tuo vicino di casa sempre sorridente, di uno sconosciuto che ti è passato accanto per caso. Ho avuto un peso sul petto per tutta la lettura. Volevo essere lì a dirgli che non è il solo, che è normale sentirsi così e l'unico modo per stare meglio è farsi aiutare. Che anche se sembra che tutto il mondo ci stia remando contro, a qualche remo ci potremmo attaccare per essere tratti in salvo...
Romanzo che mi ha permesso di fare pace con Giulia Caminito che avevo adorato in "Amatissime" e per nulla apprezzato in "L'acqua del lago non è mai dolce".
Il romanzo più profondo che ho letto nel 2024. Caminito con maestria e precisione chirurgica si addentra nel malessere e nell'ipocondria del giovane Loris, incarnando così quel senso di precarietà e incertezza che, sono sicura, ognuno di noi ha provato almeno in una certa fase della propria vita. Io ho l'età di Loris e in più punti mi sono sentita rappresentata dalla sua storia e dalle sue paure. Ammetto che dopo un po' ho avvertito un po' di pesantezza nella narrazione, ma questo non ha intralciato la lettura.
Stupenda la descrizione del rapporto tra Loris e suo nonno, le loro scene insieme sono state in assoluto le mie preferite.
Caminito è senza dubbio una scrittrice che merita di essere conosciuta, letta e apprezzata.
Due stelle e mezzo per questo romanzo che pare un po� sprecato per un’autrice che sa usare così bene la penna. Loris è un personaggio per cui difficilmente si riesce a provare qualcosa di diverso dall’antipatia, se non peggio. La prima parte è migliore della seconda, che ho trovato ripetitiva e noiosa. Finale incomprensibile. Complessivamente da evitare.
Il talento di Giulia Caminito è indiscutibile ma a parer mio il modo in cui questo libro rispetto a tanti altri viene percepito è estremamente correlato al proprio vissuto e nel mio caso purtroppo mi ha tramesso molta angoscia. Molto belle le parti che parlano del rapporto tra Loris e suo nonno.
Capisco tutto, l'ipocondria, la malattia mentale che lentamente ti divora dall'interno, le ansie, ma non riesco comunque a sopportare un protagonista del genere. Dopo due libri dell'autrice che ho amato, questo è stato una delusione incredibile.
Il libro mi è piaciuto abbastanza anche se secondo me si è completamente perso nel finale…ad un certo punto ho pensato mi mancassero delle pagine…l’ultima pagina completamente senza senso!come se non si sapesse come chiudere Invece mi è piaciuto la costruzione e involuzione del personaggio, perfettamente descritta in ogni aspetto e pensiero
“E lui non ce la fa più a tollerare questa incertezza, questo vivere che sta per finire, ma non si sa quando, questo ammalarsi senza sintomi che come si manifestano è già tardi.�
“Il futuro cos’� e a se non una macchia scura, una nube interstellare fatta di gas e polveri.�
"L'acqua del lago non è mai dolce" era stato un caso editoriale (finalista al premio Strega, vincitore al premio Campiello), conÌýIl male che non c'è, Giulia Caminito conferma di essere una scrittrice di spessore, capace di costruire storie dando loro profondità .Ìý
Se all'inizio l'angoscia si fa palpabile, nella seconda parte riusciamo a capire cosa sia successo e si fa strada la compassione verso una storia di dolore. Loris è consapevole di stare male, ma non sa come uscirne. Avremmo bisogno di un lieto fine, a questo punto. Per sapere, leggete questa meraviglia.
le cinque stelle sono per il sentimento di consolazione che mi ha resa felice per due terzi del libro: quello di cui le persone attente e fragili come loris hanno bisogno è essere viste, e giulia caminito lo fa! con compartecipazione e pìetas.
Lettura pesantissima senza voglia di finirlo, non sono riuscita mai ad entrare nel libro, nonostante sia scritto molto bene. Non sono riuscita a empatizzare mai con il protagonista, ho sentito anche colpevolezza in questa mia poca sensibilità a problemi di salute mentale, ma poi ho realizzato che direttamente non sento mio questo personaggio. Non mi è entrato nella pelle. Mi è piaciuto molto invece l’escamotage di catastrofe!