Ryoko Sekiguchi (Japanese: 関口 涼子) is a Japanese poet and translator. She studied journalism at Waseda University. After graduating, she studied History of Art at the Sorbonne and received a doctorate in comparative literature and cultural studies at the University of Tokyo. She publishes her books in both French and Japanese and works for institutions like Institut National des Langues et Civilisations Orientales.
Este curioso librito es una especie de ensayo sobre las estaciones y cómo estas influyen directamente en nuestro ánimo, lo que comemos, la cultura y en definitiva cómo vemos la vida.
La naturaleza fluye a lo largo de las estaciones en ciclos de vida y muerte para volver a renacer. También nosotros en nuestra vida podemos relacionar las distintas etapas con las estaciones. Incluso la literatura, la poesía, la música, la gastronomía.
Es un libro del que no esperar nada en concreto, para leer con calma, disfrutar fluyendo con las reflexiones y sensibilidad de la autora y hacernos conscientes de la belleza de los ciclos, incluso en la nostalgia de los que ya han pasado.
(3.5/5) ?????? ?muy bonitas reflexiones sobre las estaciones!
Di che tempo/stagione sei? Qual è il tuo concetto di stagione e di stagionalità? Che significa che un cibo sia “fuori stagione”? Vale in modo assoluto? Sono queste le domande che hanno accompagnato la lettura di questo breve saggio, così intenso e istruttivo.
Tre sono i termini giapponesi legati al cibo e allo svolgersi delle stagioni: Hashiri, rappresenta la primizia; sakari, la pienezza della stagione; nagori, la nostalgia.
Nagori sebbene richiami un po’ la saudade brasiliana, se ne discosta molto.
Se è noto che allo scorrere lineare della nostra temporalità, si affianchi la temporalità ciclica delle stagioni (di cui abbiamo percezione), ci sfugge un altro tipo di temporalità, quella industriale, che è un po’ una temporalità ibernata:
“Il cibo industriale rasserena le nostre fragili vite, circondate da stagioni instabili, perché ci promette che non cambierà niente, anche se il tempo avanza impietoso. Il cibo industriale non conosce né nagori né nostalgia. Ci offre riparo, una tana confortevole sempre identica a se stessa.”
E il luogo in cui queste temporalità convivono è la cucina: “Nelle nostre cucine, in fin dei conti, tutte queste temporalità convivono; tra il tempo lineare e il tempo ciclico della stagione, abbiamo a che fare con il tempo diluito, congelato, o modificato tramite altri processi…”
Ma le stagioni non sono solo quattro; possono essere due, dodici, ventiquattro: “Da un lato, come abbiamo visto, le stagioni possono essere due, quattro o settantadue, ognuna con i suoi hashiri, sakari e nagori. Quanto alla temporalità lineare, essa può diventare flessibile, malleabile, secondo i nostri sentimenti e le nostre emozioni, poiché tutti ne facciamo esperienza; la temporalità può diluirsi, come nel caso della fermentazione, o addirittura estendersi per una durata insopportabile, come nel caso della radioattività. Ci troviamo costantemente al crocevia di queste temporalità, nei vortici dei tempi multipli che talvolta ci trasportano e talvolta ci affondano.”
C’è una dimensione altra che determina l’irreversibilità di alcuni disastri, che sconvolgono le stagioni e i prodotti stagionali: la mano dell’uomo. “La natura non guarisce del tutto, specialmente quando la catastrofe è stata causata dagli uomini. La riflessione, va da sé, si applica anche alle catastrofi cosiddette ?naturali?, comunque anch’esse sempre troppo umane.”
“Le stagioni non sono un terreno ben definito. Sono malleabili e multiple. Respirano.”
Nagori è una nostalgia che permane, quando il tempo passa, ma resta l’alone della presenza: “Ogni odore mi portava la presenza di altri esseri, facendomi capire che era questo, la stagione: un profumo, una traccia di un istante di presenza. In quel tempo cosí particolare, ci sembrava di vivere ogni istante in tre tempi – hashiri, sakari e nagori. Ogni giorno ci faceva scoprire una nuova vita, un nuovo profumo, un’evoluzione della natura – hashiri –, e ce ne rallegravamo, immersi nella sua pienezza – sakari –, mentre la nostra vita progrediva in un istante al futuro anteriore, colta da uno sguardo retrospettivo – nagori. Questa temporalità di eccezionale intensità ci sfiniva e ci riempiva di gioia allo stesso tempo, eravamo scossi dalle onde del tempo. Tutto quello che ho scritto qui l’ho imparato a Roma.”
Nagori, è la traccia , l’atmosfera di una cosa lasciata che in giapponese è la nostalgia della separazione, il lasciar andare andare con rimpianto. Il termine, ampiamente usato per un luogo, una persona, una situazione o un cibo, dà l’idea di qualcosa che slitta via, per questo è indicato anche come “la traccia delle onde”, ossia ciò che si accumula sulla battigia quando le onde si ritirano. Nagori è l’effimero, la rassegnazione di un destino che non possiamo modificare Come le stagioni A volte da desiderare, altre da dimenticare
Questo piccolo libro invita a scoprire l'arte poetica e culinaria giapponese riflettendo sulle emozioni risvegliate dalle stagioni e dalla loro scomparsa, sull’impronta di gusti e sapori che in qualche maniera restano nel corpo e nella memoria, nei paesaggi e nella letteratura.
La riflessione sul ciclo delle stagioni pone la questione della stagionalità dei prodotti che consumiamo e, di conseguenza , il nostro rapporto con il passare del tempo. Nagori è un invito ad assaporare appieno il momento presente, accogliendo il ciclo naturale delle stagioni ed il loro compimento, avendo la pazienza e la saggezza di aspettare il suo ritorno l'anno dopo...
Ryoko Sekiguchi ,con una bella scrittura, parla di questi cicli e dell'effimero, in un bellissimo percorso emotivo. “La nostalgia non è né sofferenza né tristezza: una stagione che svanisce è lasciare il posto a un'altra, perché "Nessuna partenza, nessuna separazione avviene in un istante. Anche se il momento della partenza dura appena un secondo, rimangono ancora le onde, la luce che ha lasciato il tempo passato insieme.”
“… existen tres términos diferenciados para describir en qué estado de la estacionalidad se encuentra un alimento: hashiri, sakari y nagori. Designan, respectivamente el equivalente a “primeros frutos”, a “plena temporada”, y el último, nagori, al final de la temporada, “la nostalgia por la estación que termina”. “
“Las estaciones son emociones; por ello, creemos en el simbolismo del que son portadoras, así como en los alimentos que las acompa?an con total naturalidad”.
“El inicio de una estación, siempre es el nagori de la anterior”.
Un ensayo ligero sobre los ciclos de las estaciones, los alimentos, la cocina y la relación de varias culturas con ellos, sobre todo en la cultura japonesa. Sekiguchi reside desde hace décadas en Francia, pero su estilo narrativo sigo viéndolo muy fiel al japonés; se evidencia, por ejemplo, en la reiteración de la explicación de conceptos. Un mismo asunto puede ser tratado varias veces desde perspectivas sutilmente distintas, aunque de aspecto externo gemelo. Esto llega a ser un problema en ocasiones, pues cae en la llana reiteración sin avance a ojos de un lector no acostumbrado al estilo explicativo japonés.
3.5 Ve?mi príjemné pozastavenie sa nad plynutím ?asu, ro?n?mi obdobiami, sezónnos?ou a pominute?nos?ou. Aj uvedomenie si toho, na ?o stále zabúdame, ako sa máme dnes hrozne dobre (a nikdy sme sa tak nemali) a stále máme potrebu vzdycha? nad t?m, ?e dobre u? bolo...
A veces se me hacía un poco denso de seguir pero luego llegaba a partes mucho más fluidas y con las que conectaba bastante más. Este libro ha sido a veces un poco Ratatouille, o sea que me ha hecho querer levantarme, ir a la cocina y coger un trozo de pan, de queso, una fresa, lo que sea y comérmelo como si nunca antes hubiera comido uno. A veces te hace sentir sabores mientras lo lees. Me ha gustado mucho como ha tratado el cambio de las estaciones y lo ligados que estamos emocionalmente a ello.
Nagori est un essai ambitieux: distiller en à peine 125 pages l’essence de la conception japonaise du temps, puis montrer comment elle s’applique à la nourriture et à la littérature, tout en détaillant des éléments de la culture japonaise et du monde culinaire; c’est décidément beaucoup. Pourtant, Sekiguchi y parvient bien, notamment gr?ce à une plume claire, épurée, et parfois surprenamment émouvante. Les 3 derniers chapitres sur le ha?ku, les nouveaux départs et le séjour de l’auteure à la Villa Médicis m’ont beaucoup plu. Cependant, j’avoue que j’ai trouvé les passages sur la nourriture un peu laborieux et redondants, et moins captivants.
(4/5) nagori: la nostalgia por la estación que termina, es en lineas generales un breve ensayo sobre las estaciones y cómo sus cambios a lo largo del a?o y su comportamiento cíclico afectan los comportamientos de los humanos y la manera en que nos relacionamos con el mundo. a lo largo del breve cuerpo del libro, la autora va interconectando elementos de la naturaleza, la agricultura, y sobre todo el arte de cocinar, con la vida humana y la forma en que nos relacionamos y actuamos en sociedad. la literatura japonesa tiene por lo general un deje nostalgico que este libro refleja perfectamente, además de explicar cómo el propio idioma toma expresiones de la propia naturaleza para hablar sobre situaciones que poco tienen que ver con ella. creo que a cualquiera que le interese saber más sobre el japonés y su sociedad, esta va a ser una lectura muy agradable, y aunque por momentos puede volverse algo técnico en cuanto a sus explicaciones, no es un libro nada difícil de seguirle el hilo.
la idea general de la historia juega con la existencia cíclica de las estaciones, su repetitividad y consistencia a?o a a?o, y lo relaciona a nuestra propia existencia lineal, que no ofrece segundas oportunidades como sí lo hacen la llegada cada a?o de una nueva estación, que a nuestros ojos permanecen incambiadas y repetitivas aunque bien sabemos que no es así. pero es por esto, nos dice Sekiguchi, que nosotros mismos basamos nuestra existencia en ciclos, siempre anhelando un nuevo a?o, un nuevo comienzo que nos ofrezca esperanza como las flores que vuelven a abrir cada a?o en primavera. en general es un lindo libro para pensar en nuestras vidas y en como inevitablemente ponemos nuestra fe en que las cosas van a ser mejores una vez que el primero de enero llegue para dar borrón y cuenta nueva a todo.
Les saisons, c'est un sentiment, une émotion. Nous entretenons avec chacune d'elles une rélation intime et personelle.
(Technically I read this book in French but I don't feel capable of reviewing it in French so here we go).
What this book had: - A lot of talk about seasons and time: seasons that come and go, how we structure seasons in different calendars, cyclical seasons vs our linear human lives. Life and death as signified by the cycle of the year. - A lot of talk about food: seasonal food, out-of-season food, food as pleasure and time, food as life. What does it mean to eat out of season? Are conserved, smoked food, marinated food out-of-season? The sense of malaise we get when we eat truly out-of-season fruit (strawberries in winter, as in the fairytale). Is our sense of malaise caused by our sense of time or by our modern notions about ecosystems and carbon footprints? - In the same vein, there was a truly wondrous recount of a feast of 100 ingredients, and several chats with chefs about seasonality in cooking and perceiving, and how seasons bring us emotions and memories in food. - A lot of talk about poetry, particularly about haiku, understood as the "seasonal poetry": there are words, events, people, regions, sounds, smells... Classified as one season or another, and used in haikus accordingly. If our perception of seasons changes with where we live, how can we classify things as seasonal, and then describe them accordingly? How about natural disasters? - The "aesthetics of nostalgia". What do we miss from the season gone by?
What I wish this book had had: - A discussion about climate change and how the seasons we experience now are different from the seasons we remember as children, or the "platonic idea" of seasons as they are taught in schools. What does this disconnect mean? How is it expressed, understood, lived through, or cooked with? - Some more discussions about life and seasons as experienced by the author herself. She discusses very poignantly her stay in Rome and how that inspired the feast of 100 ingredients, but I would have liked some additional thoughts in the differences between seasons in Japan (where she is from) and seasons in France (where she lives), and how that inspires her living, cooking, or writing. - Global South vs Global North. There were some discussions of this, such as the different foods or ways of cooking and interpreting seasonal food, but I would have liked some additional commentary on how are seasons interpreted when there is only two (dry season vs rain season, for instance).
?Omiokuri significa acompa?ar (okuru) con la mirada (mi). Cada vez que iba a casa de mi abuelo, en el momento de decirnos adiós me hacía omiokuri hasta que yo terminaba de subir la cuesta y dejábamos de vernos. La mirada prolonga el vínculo entre dos personas, incluso después de la despedida.?
Non sono una grande fan delle opere di mistificazione e sensazionalizzazione di semplici pratiche e tradizioni (quale la creazione delle “parole di stagione” degli haiku) culturali giapponesi, soprattutto quando queste analisi vengono create per un pubblico palesemente allogeno. E, anche in questo caso, molte delle analisi sottoposte al lettore—soprattuto quelle legate al mondo della cucina stellata—mi sono risultate forzate, impacciate e addirittura stucchevoli. Ciò nonostante, ho apprezzato, invece, le riflessioni sulla soggettività e relatività culturale e i confronti tra le tradizioni, atteggiamenti e folklore di diverse culture.
“I nostri antenati hanno sempre sognato di sfuggire alle stagioni, che li imprigionavano senza che potessero allontanarsene. Stringere le stagioni tra le mani doveva essere il sogno più grande, alla stregua del desiderio di immortalità: un modo per addomesticare il tempo. ? il motivo per cui le storie che narrano il desiderio di una stagione diversa si trovano in tutte le culture.”
Une courte méditation sur notre rapport aux saisons, envisagé à travers la nourriture, dans un monde où l'on s'est largement émancipé du joug saisonnier. L'autrice s'interroge sur ce que dit de notre rapport au temps notre désir de manger des aliments "de saison", et s'attarde sur les différents plaisirs qu'il y a à manger un fruit ou un légume en début ou en fin de saison. Elle s'intéresse également à la place du "mot de saison" dans les ha?ku, et, à la manière d'Adorno après Auschwitz, se demande comment encore écrire des ha?ku après Fukushima. Malgré certaines répétitions dans les parties plus abstraites et conceptuelles, c'est un livre empreint d'une sensibilité délicate, qui continue, un fois refermé, d'accompagner le lecteur à la manière d'un parfum de fleurs séchées, et qui est rendu doucement touchant par les anecdotes personnelles de l'autrice.
Il libro è uno studio delle stagioni e dei prodotti stagionali con interessanti riferimenti linguistico-culturali e sociologici, oltre che alla psicologia delle persone e alla letteratura, in particolare la poesia. I riferimenti maggiori sono chiaramente legati alle usanze giapponesi, ma anche francesi, italiane e medio-orientali. Da persona la cui conoscenza in materia è piuttosto limitata, ho trovato questo volume illuminante.
A mio avviso si tratta di un libro specialmente adatto a chi cerca di avvicinarsi al lato filosofico (e poetico) della cucina, ma rimane piacevole anche per un lettore più casuale.
He aquí un ensayo escrito con una grata sensibilidad, casi poético en algunos momentos, sobre el paso de las estaciones y lo que significa realmente disfrutar en el momento de lo que la naturaleza ofrece, sobre todo, culinariamente. Uno de esos libros que sé que volveré a leer en un futuro. Para mí, muy recomendable.
Avevo forse una aspettativa diversa. Mi aspettavo un libro più profondo incentrato sulla vita e quel senso di nostalgia che spesso abbiamo dei tempi passati, con un contatto speciale con la natura. Invece l'ho trovato un po' ripetitivo e incentrato molto sulla cucina ma senza darmi grandi emozioni
Succede prima o poi che uno si scontra con l’impietosa realtà che lo costringe a dover lasciar andare qualcuno o qualcosa. Quindi mesta e decisa a trovare la catarsi, mi sono buttata su questo libro di neanche 100 pagine sperando di piangere tutte le mie lacrime di fronte ad una lettura che in tempi serenissimi avrei ritenuto una pedante lezione su come (ancora una volta) in oriente vivono troppo meglio di noi. Per l’appunto questa affermazione è purtroppo vera, considerando che hanno una parola per esprimere più o meno tutto, compresa la nostalgia della stagione che è appena passata - Nagori, che è ovviamente applicabile ad ogni momento della vita, morte compresa. E quando si dà un nome alle cose siamo più tranquilli, le riconosciamo e soprattutto nonostante possano non piacerci, smettono almeno di farci paura (questa roba la riprendo alla fine del pippone). Passando a cose più utili, per quanto (come dicevo) cercassi di uscire dal limbo della disperazione mista a rassegnazione, ho trovato un interessante saggio che racconta le differenze culturali sul senso della stagionalità delle abitudini, dei prodotti culinari e di come abbiamo cercato di aggirarla grazie al commercio e manipolarla con le coltivazioni in serra; racconta di come i cambiamenti climatici abbiano alterato il corso della natura, di come il disastro di Fukushima abbia lasciato i frutti sugli alberi e di come per molti la stagionalità sia la normalità delle cose, ma per altrettanti sia un privilegio raro come nel caso dei rifugiati abituati a cibi esclusivamente a lunga conservazione; racconta di come, in effetti, la temporalità ciclica delle stagioni ci movimenti la vita accendendo in noi aspettative e commuovendoci alla loro momentanea fine, mentre la temporalità lineare della nostra esistenza non faccia altro che dare una scadenza a tutto ciò che facciamo e che siamo. In merito a quest’ultimo concetto ho mio malgrado realizzato che fin da piccola vivo tutto ciò che c’è di stagionale come se non tornasse mai più, istituendo - alla fine di ogni vacanza, la giornata che io chiamo “la giornata delle ultime cose”: l’ultima alba, l’ultima colazione, l’ultimo tramonto e così via; in realtà inizio già il giorno prima con “l’ultima alba tranquilla, l’ultima colazione tranquilla” ecc perché a me le ultime cose mi fanno sempre incazzare quindi il giorno prima dell’ultimo giorno è in realtà quello che vorrei fotografare. Riprendendo la parentesi a metà discorso, vivo male? Sì. Ho trovato una soluzione? No. Etichettarla mi farà vivere meglio? Boh.
Este libro me ha confirmado la admiración que tengo a las personas con pasión. La manera en cómo hacen, ven, escuchan y sienten la creación y las criaturas es mágica, maravillosa, con cierto asombro y evocación al milagro. Poder ver dónde y cómo ve el milagro es fascinante, es como entrar a un nuevo universo. Comer y ser consciente de donde vino esa comida, quién la hace, cómo se hace, te ayuda a ser agradecido por lo que hay en tu plato y estar maravillado de Alhamdulillah por todas las bendiciones ya Rabbi que nos has dado y colmado con tu gracia, que ni siquiera el príncipe de Bagdad podía tener en la antigüedad, pero que ahora disfrutamos dónde y cuándo queramos. Parece una tontería, pero quien de nosotros hoy día cuando come con todo su ser y concentrado en la comida que come y no en el móvil o la televisión, me pregunto cuántos sabores y detalles nos estamos perdiendo, estando alelados enfrente de la pantalla móvil. Cuantos de nosotros realmente sabemos cómo sabe el té o los otros alimentos en diferentes estados de su vida, parece algo sin importancia, pero es algo que realmente a?ade belleza, sabor y un vivaz recuerdo al momento. Hay comidas que están rodeadas de momentos de felicidad y alegría. Otras de tristeza y despedida. Cada una de ellas alberga la esperanza o la tristeza de que esto pasará, como todo lo que hay en la vida, o podríamos decir alberga nagori, nostalgia, tristeza y una sonrisa de resignación a veces en el rostro. Subhana Allah, me parece curiosa la sonrisa de resignación de ese momento, explica sin pronunciar ninguna palabra, aunque parece una sonrisa, el otro siente esa tristeza del corazón del otro, esa sonrisa es forzada, los ojos no sonríen, solo la boca, una sonrisa en la que los dos labios están apretados el uno contra el otro, incluso diría que las comisuras de los labios tienen una inclinación sutil hacia abajo.
? Servir una hortaliza en las postrimerías de su temporada puede ser un lujo en sí mismo. Dudar si viviremos aún para presenciar el regreso de una determinada estación es desear ya la estación que no hemos conocido o querer prolongar la que se termina.
? La sensibilidad nace de las palabras. No sabemos percibir aquello que carece de nombre. Si tuviera que tomar partido por el huevo o la gallina diría que es sin duda la literatura, lo escrito, lo que ha forjado la conciencia y el imaginario estacional para los japoneses.
? Nagori no se utiliza únicamente en situaciones concretas. Puede emplearse con el verbo nagori wo oshimu, a?orar un nagori, con el sentido de entristecerse por una separación, por una despedida. El objeto del nagori puede ser un lugar, una persona, una estación o incluso objetos o acciones que evoquen todas esas cosas.
? En el nagori se entreveran apego, nostalgia y temporalidad. Nagori evoca, ya nuestra nostalgia por algo que nos abandona o que nosotros abandonamos, ya la noción de algo que trasciende ligeramente su estación, como si ese algo abandonara de mal gana este mundo y la estación que le es propia. Tanto la cosa contemplada como la persona que la contempla experimentan la pesadumbre de la partida.
? La etimología de la palabra se remonta a nami-nogori, vestigio de las olas., que designa el astro que deja el oleaje después de retirarse de la playa. Esto incluye tanto la huella de las propias olas, esos surcos inmateriales dibujados sobre la arena, como las algas, las conchas, los trozos de madera y los guijarros que quedan a su paso. No hay razón ni lógica detrás de esa acumulación de sedimentos, pero, una vez que aparece, se sienta ahí durante un tiempo, efímera.
Bello ensayo de esta autora japonesa que descubrí por casualidad en uno de los mesones de la biblioteca Jaume Fuster de Barcelona. Antes de leerlo, siempre me cuestioné si vivir las cuatro estaciones era suficiente para afirmar que yo había vivido en algún lugar. Después de atravesar los diferentes olores las diferentes capas de frío y calor que la escritora atravesó, de poder acercarme de otra forma a la cultura japonesa con lo que ello implica, con la belleza de sus palabras y conceptos que resumen su forma de comprenderse dentro de la naturaleza, puedo confirmar mi teoría. Convivimos en un mundo complejo con seres humanos y otros seres vivos, y cada uno posee diferentes estaciones. Incluso los mismos humanos en diferentes puntos del planeta comprenden su tiempo lineal con los tiempos de las estaciones, y así le van dando sentido a como la carne se va desgastando. Creo que con lo que más me voy a quedar de esta lectura es con el concepto de nigori que titula el libro. Podríamos resumir fácilmente que esta palabra puede ser el saudade japonés, y a su vez el saudade es la forma en como los hablantes del portugués expresan la nostalgia, pero es mucho más complejo que eso. Requiere un esfuerzo de nosotros mismos, de visión, tacto, silencio y otros elementos que vamos construyendo cada vez que leemos una nueva página.
Un libro dolce che racconta le stagioni, la loro ciclicità e i vari momenti che le contraddistinguono: le primizie, il cuore e l'ultimo frutto prima del passaggio a quelli della stagione successiva. Piacevoli riflessioni che intrecciano la cultura orientale e quella occidentale.
"Di quel soggiorno romano non mi restano né hashiri né sakari, perché non ci sono più. Rimane solo nagori. Non nel senso stretto del termine, ma simbolicamente: il retrogusto, le consistenze e le emozioni a esso legate restano ancora nitide."
quizá sin querer, quizá por ser japonesa huida de Japón, la autora logra profundizar más (con menos, una sola idea) en la forma de pensamiento del país que la mayoría de libros sobre cultura nipona / ?el corazón que experimenta el nagori es generoso: no teme entregarse a esas peque?as cosas insignificantes, no necesariamente dramáticas pero sí frágiles y delicadas, que componen nuestra vida?
Sinceramente, compré este libro, porque me esperaba que hubiese otro tipo de contenido. De igual manera, me gustó la prosa, un tanto poética, de la autora y por eso decidí terminármelo. Tuvo comparaciones buenas y pude comprender su forma de ver cada estación.
Размышления об ощущении времени через призму питания и приготовления пищи (в прошлом и при сегодняшних условиях глобализации) . Книга-эссе для современного гастрономического гедониста, которую можно прочесть за 1 вечер. Редакция подготовила книгу для легкого восприятия любым читателем.