»Ich halte Simenon für den besten Realisten, besser als Zola oder Balzac.« - Anaïs Nin Der junge Oscar Donadieu, Erbe einer einflussreichen Reederdynastie, kehrt seiner Familie den Rücken und macht sich auf den Weg nach Tahiti. Hier will er sein Leben als »Bananentourist« verbringen, wie die Einheimischen Leute wie ihn nennen â€� im Einklang mit der Natur, fernab von Heimat und Zivilisation. Nach einer anstrengenden Schiffsreise, mit einem Mörder an Bord und allerlei unangenehmen Begegnungen, verbringt er einige Tage unter lauter europäischen »Stammgästen«, dann zieht es ihn in die Wildnis. Doch seine selbst gewählte Einsamkeit wird unverhofft gestört ...Ìý Mit einem Nachwort von Thomas Bockelmann
Georges Joseph Christian Simenon (1903 � 1989) was a Belgian writer. A prolific author who published nearly 500 novels and numerous short works, Simenon is best known as the creator of the fictional detective Jules Maigret. Although he never resided in Belgium after 1922, he remained a Belgian citizen throughout his life.
Simenon was one of the most prolific writers of the twentieth century, capable of writing 60 to 80 pages per day. His oeuvre includes nearly 200 novels, over 150 novellas, several autobiographical works, numerous articles, and scores of pulp novels written under more than two dozen pseudonyms. Altogether, about 550 million copies of his works have been printed.
He is best known, however, for his 75 novels and 28 short stories featuring Commissaire Maigret. The first novel in the series, Pietr-le-Letton, appeared in 1931; the last one, Maigret et M. Charles, was published in 1972. The Maigret novels were translated into all major languages and several of them were turned into films and radio plays. Two television series (1960-63 and 1992-93) have been made in Great Britain.
During his "American" period, Simenon reached the height of his creative powers, and several novels of those years were inspired by the context in which they were written (Trois chambres à Manhattan (1946), Maigret à New York (1947), Maigret se fâche (1947)).
In 1966, Simenon was given the MWA's highest honor, the Grand Master Award.
In 2005 he was nominated for the title of De Grootste Belg (The Greatest Belgian). In the Flemish version he ended 77th place. In the Walloon version he ended 10th place.
Un Simenon che si trasferisce dalle sue solite ambientazioni di piccole cittadine di provincia in località esotica, Tahiti (da cui nasce il secondo titolo di questo romanzo, Le domeniche di Tahiti).
Il protagonista Oscar Donadieu viene da quella famiglia Donadieu di La Rochelle cui Simenon ha dedicato un romanzo precedente, L’eredità Donadieu. Le cose non sono andate bene per la famiglia Donadieu, l’eredità è finita in fumo, hanno perso tutto quanto potevano perdere, padre e madre si sono suicidati. Un’eredità pesante per Oscar.
Il giovane Oscar se ne va in giro per il mondo con spirito che potrebbe ricordare quello degli hippy, ma con meno slancio vitale, con meno spensieratezza: Oscar è gravato dalla sua eredità familiare, non è in pace, cerca, ma non sa cosa. E nulla, o poco, trova. Oscar ha già tentato la sorte negli Stati Uniti dove è rimasto un paio d’anni a fare lavori manuali. Non ha funzionato. Ed ecco che ora approda a Tahiti. Dove spera di ritrovare il contatto con la natura.
Sulla nave che deposita Oscar a Tahiti c’� stato un omicidio: il capitano ha ucciso un ufficiale per una storia di donne. Sull’isola si appresta il processo per giudicarlo.
Oscar vuole scrollarsi di dosso il peso delle sue origini, quella famigerata eredità familiare: ma è come se non avesse fiducia in se stesso, si considera debole e fragile, e tale in effetti sembra essere a giudicare da come si comporta. È, prima di tutto, un introverso. Intorno, la comunità degli europei è quanto di più volgare, di più predatorio, rapace, si possa immaginare, puro spirito colonialista. Una comunità che non può avere in simpatia un’anima candida come Oscar, anzi cercherà di sfruttarla, e stritolarla.
Non che la comunità indigena sia senza macchia, Simenon non cade certo nel facile tranello di descrivere i locali come stinchi di santo. Per fino i panorami, il sole, le palme, e gli alberi di banano, sotto la penna (matita, pare) di Simenon diventano tutto meno che cartoline.
Oscar non può sfuggire a se stesso, non può tagliare il cordone
Non fosse per la lunghezza che lo rende romanzo autonomo, “Turista da banane� potrebbe sembrare un capitolo aggiuntivo al ben più corposo e riuscito “L’eredità Donadieu� di cui riprende la scansione nel sottotitolo “Les dimanches à Tahiti�, seguendo le tracce di un componente della famiglia, il figlio più giovane Oscar Donadieu, a dire il vero la figura più pallida e sfuggente della parata di caratteri messa in scena nel romanzo predecessore.
Nei suoi vari pellegrinaggi alla ricerca di una propria dimensione esistenziale Oscar raggiunge questa terra estrema, politicamente affiliata alla Francia nei cosiddetti “Territori francesi d’Oltremare�, dove la popolazione polinesiana coabita con una minoranza di emigrati europei reduci da varie traversie, oscure vicende ed affari loschi che alcuni di essi continuano a perseguire anche nei mari del Sud.
Oscar è afflitto e perseguitato da uno spleen insopprimibile, una noia irrequieta che ne condizionava le azioni già nella natia La Rochelle così come nella parentesi americana e che non trova requie nemmeno nella terra che fu rifugio di Gauguin; il giovane Donadieu è ossessionato dall’impressione e dallo sguardo che gli altri rivolgono su di lui e in ogni suo atteggiamento si impone di non apparire uno dei tanti Turisti da banane, “relitti della vita tropicale vaganti fra sbronze tristi, ragazze facili, squallide notti e sordidi intrallazzi�.
Ma il carattere dell’ultimo dei Donadieu è debole e non riuscirà nell’intento di liberarsi dei suoi tormenti, approdando dopo un vano girovagare alla prevedibile e quasi inevitabile conclusione. Fragile come il suo protagonista è anche questo romanzo, a mio parere, uno dei pochi in cui Simenon non sia riuscito a infondere appieno la sua impronta e il suo stile, quasi fosse a sua volta stregato dall’umida e malinconica atmosfera di luoghi in cui, proprio come Oscar, sembra sentirsi estraneo. E noi con lui�
La nausea e il misticismo ai Tropici, solo che la scrittura diretta di Simenon non si sposa tanto con i languori di Sartre e il tormento di Bernanos. Ne esce un romanzo dove non accade nulla (non in senso letterale), ma è un nulla molto ben descritto. Perchè Sim non sa proprio scrivere male, è una macchina letteraria di altissimo livello. Bello ma non memorabile.
Secondo e conclusivo lavoro dedicato alla saga della famiglia Donadieu. Al pari de "Il testamento Donadieu" non soddisfa appieno. Oscar Donadieu, ultimo rampollo di una famiglia che fu ricca e potente, approda a Tahiti con la disperata intenzione di sfuggire al suo passato, al suo nome e soprattutto a se stesso. Troppo spesso la descrizione ambientale e' di maniera, oleografica e i personaggi di contorno non riescono mai ad essere ben caratterizzati (troppi per cosi' poche pagine). Il risultato e' un romanzo sottotono e discontinuo. Solo nelle ultime venti pagine, quando si arriva al cuore del problema, quando cadono i veli di tutte le illusioni, appare il vero Simenon in tutta la sua geometrica potenza evocativa.
In dem Buch offenbart sich eine hochaktuelle Thematik obwohl es schon 1937 geschrieben wurde: fehlendes Zugehörigkeitsgefühl, Flucht aus dem subjektiv beklemmenden und unpassenden Milieu und Suche nach dem richtigen Platz im Leben.
Es geht um einen gescheiterten Selbstbehandlungs- und Heilungsversuch und um einen fassadären und empörenden Mordprozess.
Gleich zu Beginn möchte ich darauf hinweisen, dass „Der Bananentourist� der zweite und gleichzeitig letzte Teil der Donadieusaga, beginnend mit „Das Testament Donadieu� ist. Mir wurde das erst beim Lesen des Nachworts klar ;-) Man kann daraus ablesen, dass es ohne Weiteres möglich ist, diesen Roman als unabhängigen Band zu lesen und zu genießen. Da er mir aber so gut gefallen hat, werde ich mir nun auch noch den ersten Teil gönnen :-)
Der 25-jährige introvertierte, unsichere und menschenscheue Oscar Donadieu, der Sohn eines verstorbenen, wohlhabenden und angesehenen Reeders aus Frankreich, hat beschlossen, als sog. Bananentourist auf Tahiti „ein natürliches Leben ohne Geld, ohne Zwänge, in idealer Umgebung� (Kindle, Pos. 2328) zu leben. Dieser Entschluss ist eine Flucht und ein kontraphobischer Kraftakt Oscars, um seine Neurose und das Vergangene zu überwinden.
Auf der Schiffsreise macht er täglich seine gymnastischen Übungen und verbringt seine Zeit am liebsten allein. Manchmal spielt er mit dem Missionar Schach.
Wir begleiten Oscar, lernen seine neuen Bekannten kennen und tauchen in den Prozess um den Eifersuchtsmord des 50-jährigen Kapitäns Lagre an seinem Dritten Offizier Riri ein.
Es ist unterhaltsam, beeindruckend und interessant, den Protagonisten Oscar näher kennen zu lernen, etwas von seiner Geschichte zu erfahren, in seine Gedankenwelt einzutauchen und seinen Erlebnissen, sowie seinen inneren Entwicklungen und Veränderungen auf der Pazifikinsel zu folgen.
Die Lektüre verschafft anschauliche, interessante und empörende Einblicke in die zum Teil haarsträubenden damaligen kolonialen Verhältnisse auf Tahiti.
Von den teilweise oberflächlichen, fassadären, korrupten und missbräuchlichen Begebenheiten und Gepflogenheiten im Alltag der Inselbewohner zu lesen, ist erschreckend. Man verspürt Verwunderung und Entrüstung, was den Umgang mit eingeborenen Mädchen und Frauen, das abgekartete Spiel einer Verhandlung oder die Farce einer Verurteilung anbelangt.
Georges Simenon schreibt in einer schönen, lebendig und locker dahinfließenden, bildhaften Sprache. Man kann sich Orte und Menschen lebhaft vorstellen: Die Kokospalmen, den Wasserfall, die Kneipen, das Markttreiben, die zu Bussen umgebauten, mit Eingeborenen vollbeladenen LKWs und die mit Touristen überquellenden Schiffe, die alle paar Wochen auf Tahiti anlegen.
Der Autor erschafft einen gleichermaßen unterhaltsamen und kurzweiligen, wie interessanten und tiefgründigen Roman, der raffiniert und differenziert komponiert ist. Die Spaltung in einen inneren, nach Idealen strebenden und in einen äußeren, angepassten, mut- und hoffnungslosen Donadieu zeigt die Ambivalenz und innere Zerrissenheit des Protagonisten, der alles andere als flach oder eindimensional gezeichnet wird.
Melancholie durchzieht die Geschichte wie Hintergrundmusik. Im Vordergrund stehen einerseits das verzweifelte Ringen des Protagonisten um Heilung und das ärmliche, assimilierte und z. T. hoffnungslose Schicksal der Einheimischen, sowie andererseits das oberflächliche, vor Lebenslust strotzende und vermeintlich sorglose und unbeschwerte Leben der gut betuchten, tonangebenden und hedonistischen Kolonialisten.
Die Hauptfigur lebt einige Zeit in der tahitianischen Wildnis nur von Früchten und Fischen � solche Aussteiger heißen dort Bananentouristen. Simenon schildert plastisch das träge Leben im provinziellen Haiti mit ein paar Kolonialbürokraten, ein paar Gastronomen und einheimischen Barfrauen. Der Autor liefert gewohnt markante Dialoge und reizvolle Beobachtungen. Die verschiedenen Verwaltungs- und Justizmenschen konnte ich nicht immer vollständig auseinanderhalten. Und eine echte Handlung fehlte mir: Das Buch tröpfelt so dahin, teils beherrscht von den öden Grübeleien der Hauptfigur. Den zweiten Buchteil bestimmt zeitweise eine Gerichtsverhandlung, welche die Hauptfigur als Zuschauer mitverfolgt � sie hat aber mit den Beteiligten wenig zu tun, Simenon verflicht hier scheinbar angestrengt mehrere Handlungsstränge, die allein nicht genug für einen Roman hergeben. Das Vorgängerbuch: Zwar tritt im Roman Bananentourist ein Spross des Hauses Donadieu auf, den wir aus dem langen Simenon-Roman Das Testament Donadieu (1937) kennen. Doch der Bananentourist ist keine übliche Fortschreibung eines Romans: Der Bananentourist spielt in einer anderen Zeit und einer anderen Welt (Tahiti vs. Frankreich). Im Bananentourist-Roman agiert nur ein einziger Donadieu, alle anderen wesentlichen Akteure sind neu. Simenon konstruiert eher angestrengt ein paar Bezüge zur alten Geschichte � so gibt's auf Tahiti ein paar Franzosen, die einst das Handelshaus Donadieu kannten oder dort sogar arbeiteten. Aber sie agierten nicht schon im vorherigen Roman, hatten mit einer Ausnahme nichts mit Oscar Donadieu zu tun, dem einzigen Familienmitglied, das für Der Bananentourist Bedeutung hat. Ein paar andere Donadieus werden zwar ganz am Rand erwähnt, man könnte aber auch auf sie verzichten. Oscars unzertrennlicher Begleiter aus dem ersten Band, der Hauslehrer Edmond, taucht in der Forsetzung gar nicht auf. Beide Bücher enden reichlich melodramatisch. Assoziationen: Wegen der Europäer in der Südsee verflossener Jahrzehnte: einige Bücher von W. Somerset Maugham, Joseph Conrad (zumindest fast Südsee) und R.L. Stevenson; Stevenson wird sogar im Bananentouristen erwähnt; und nein, Graham Greene passt nicht in diesen Vergleich Die Vorgeschichte des Bananentouristen liefert Georges Simenons Langroman Das Testament Donadieu Ein weiterer schwülheißer Simenon ist Tropenkoller von 1933, mit deutlich mehr Handlung als Der Bananentourist und angesiedelt in Afrika Wegen des tropischen Einsiedlertums mit Fischefangen: Wasserspiele, engl. Playing with Water, von James Hamilton-Pattern (1987)
Georges Simenon ist aus vielen Gründen ein Phänomen. Unter anderen auch das viele seiner Romane an den verschiedensten Orten handeln. Dieser ist in Tahiti angesiedelt. Hervorragend auch die Beschreibungen der Anfahrt des Protagonisten auf einem Luxusdampfer. Oscar Donadieu ist ein noch junger Mann, der in Tahiti die Rolle des Aussteigers einnimmt, der der Zivilisation den Rücken kehrt. Aber auch in Tahiti ist er ein Außenseiter. Mich überzeugt das Buch solange aus Donadieus Perspektive erzählt wird. Das Buch schwächelt in der Mitte, in der Donadieu abwesend ist. Später wird eine Gerichtsverhandlung im Mittelpunkt stehen, bei der gegen einen Mann verhandelt wird, den Donadieu auch kennt. Letztlich belibt Donadieu rastlos, die Einsamkeit in der Wildnis bringt nicht die erhoffte Erlösung.
Es ist eine eigenwillige Südsee-Atmosphäre, die Simenon erzeugt und manchmal erinnert es leicht an die Erzählungen von W. Somerset Maugham.
Es ist sicher nicht SÃmenons wichtigster Roman, aber er hat durchaus Qualitäten.
Liked this story for it's Tahitian setting. Also the lost way of the character. Though i am not sure it needed to end as it did... suicidal sprawl. Yes it showed his sincerity, but there was always the option of following the cliche through and becoming a tahitian french layabout making his way. why not? because he thought he should be more special than that ... and who's to gainsay him? yes, it was fine, but still - in the end - a bit self indulgent. Enjoyed the milieu of the restaurant at the pier.
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Si tratta di un romanzo molto diverso dal solito Simenon. L’autore è stato capace di ricreare la perfetta atmosfera coloniale, appesantita dal sole cocente, dall’afa e dalle difficoltà che europei e popolazione locale sperimentano nel vivere in quelle zone. Il protagonista è odioso: Simenon è riuscito a far comprendere al lettore la personalità insicura e ignava di questo in maniera eccellente. Consiglio vivamente questo piccolo romanzo a chiunque voglia leggere qualcosa di diverso dalle atmosfere di inchiesta di Simenon a cui siamo abituati.
Interessante Geschichte über einen Mann, der von allem genug hat und sich entschließt, fernab seiner Heimat in einer Höhle zu leben. Das Eremiten-Dasein deprimiert ihn jedoch ebenfalls zusehends. Im Laufe der Geschichte wird er Zeuge eines Gerichtsprozess, in dem er nach und nach schreiende Ungerechtigkeiten erkennt. Vor allem hadert er hier mit sich selbst und seiner Unfähigkeit, diese anzuprangern. Gute Geschichte, jedoch nur drei Sterne, weil die Backstory und die inneren Beweggründe nur im Ungefähren bleiben.
Two men travel ever closer to their separate (but neither too shiny) destinies in Tahiti. The first half of this I really liked, reminiscent of a couple Graham Greene books. There was also something with the wild man in the jungle bit that reminded me of the much more recent Under Radar by Michael Tolkin. That said, it kinda stumble-yawns toward a conclusion. Not unpleasant, but doesn't reap the early promise it shows.
I didn't finish this. I read exactly half of it and decided I really didn't care one way or another for any of the characters. Only now do I realise this is a sequel to an earlier Simenon. Perhaps it would have made a difference had I read and cared for the earlier one.
An odd but short book about a troubled soul who leaves France to try and live life away from society in the wilds of Tahiti. Honestly it reminds me a lot of Camus and L’Étranger, because we have a lot of the same scenarios, with a troubled individual in a new land, caught up with a murder, and somehow embroiled in plots that are neither real nor fiction. An ok quick read.
Veramente un bel libro (nonostante io non abbia letto quello che veniva prima...); ben dipinge tutta la disperazione di un destino inevitabile, di una redenzione impossibile.
Turista da banane è un libro bellissimo e spietato. La vicenda del giovane Oscar, dilaniato tra il desiderio di differenziarsi dalle proprie origini e la propria fragilità , lo rende il protagonista ideale per una storia che tiene il protagonista incollato al testo fino all’ultima pagina. Vittima della propria ingenuità , fragilità e debolezze, Oscar sembra riflettere i conflitti che prima o poi attraversano ognuno di noi durante il periodo della crescita. Tuttavia, lui ha l’aggravante di essere completamente solo...
Banana Tourist is sort of an existential sequel to Donadieu's Will. Tahiti as hell. The last stop in a descent into nothingness. The story is one-half of the volume "Lost Moorings".