elipisto's Updates en-US Mon, 14 Apr 2025 03:31:11 -0700 60 elipisto's Updates 144 41 /images/layout/goodreads_logo_144.jpg Rating847082273 Mon, 14 Apr 2025 03:31:11 -0700 <![CDATA[elipisto liked a readstatus]]> / ]]> Rating846782655 Sun, 13 Apr 2025 07:42:13 -0700 <![CDATA[elipisto liked a review]]> /
Fiore di roccia by Ilaria Tuti
"Bello, per carità.
Ma non do 5* perché qualcosa mi stona. Sto ancora cercando di capire se è la trama o lo stile o il punto d'incontro fra i due."
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Rating846076724 Fri, 11 Apr 2025 00:52:06 -0700 <![CDATA[elipisto liked a review]]> /
Hélèna prima della Rivoluzione (Blu Atlantide Vol. 55) by Maria Gabriella Giannice
"Una piacevole sorpresa. All'inizio temevo che questo libro sarebbe caduto troppo nell'emulazione, perchè nasce come omaggio alla grande letteratura russa classica e inoltre a livello di trama ha tanti elementi che ricordano Anna Karenina (si parla di una storia extraconiugale, Hélèna ha numerosi aspetti che ricordano Anna, Stepan in tante cose ricorda Vronskij, ecc), e invece l'ho trovato un omaggio equilibrato.
Lo stile di scrittura di Giannice ti trasporta facilmente nel clima dei grandi romanzi del '900, con una prosa elegante, raffinata Ata, evocativa e poetica ma senza mai essere verbosa e pesante. Particolarmente originale e riuscita l'idea di utilizzare la seconda persona singolare, in una sorta di lungo monologo di Stepan verso la persona amata, raccontando la loro appassionata storia d'amore; bello anche utilizzare il punto di vista maschile, dato che spesso quando si parla di storie romantiche si assume il punto di vista femminile, quasi come a sottolineare che sia appannaggio esclusivo delle donne parlare di sentimenti.
Per quanto riguarda il finale, ho trovato ben riuscita e d'impatto la parte emotiva, mentre poteva essere sviluppato meglio l'elemento della Rivoluzione, come viene gestito e utilizzato dato che riempie poco più di 5 pagine e poteva essere approfondito meglio (soprattutto considerato il fatto che il romanzo non è lunghissimo e poteva essere ampliato senza grossi problemi).
"
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UserQuote92664664 Wed, 19 Mar 2025 06:14:22 -0700 <![CDATA[elipisto liked a quote by Liz Moore]]> /quotes/12260467
elipisto liked a quote
199698485. sx98
� It's the Van Laars, and families like them, who have always depended on others. ...more � � Liz Moore
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Rating828363773 Fri, 21 Feb 2025 03:33:55 -0800 <![CDATA[elipisto liked a review]]> /
Confessioni di un italiano by Ippolito Nievo
&±ç³Ü´Ç³Ù;ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’Ñô�
᛫᛬ LA RECENSIONE D'UN EUROPEO᛬᛫
ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’ÑôÕõ–’Ñô�
Sproloquio torrenziale in due volumi

(séguito della)
᛫᛬� PARTE PRIMA ᛫᛬�



᛫᛬� PARTE SECONDA ᛫᛬�

༺Capitolo IV�
Nel quale io divisava di tracciare con gran studio un compendio di paragoni fra Ippolito ed Alessandro, ma tanta si dimostrò essere la mia scarsità di facondia nell'argomentare le pur ragionevoli mie posizioni che, più che un bel filo teso di discorso intessuto ad arte, ne usciva fuori un nodo scorsojo col quale io arrisicava di fare un'assai triste fine.

Nievo sfida Manzoni, l'italiano risciacquato in Arno non è abbastanza utile ai suoi scopi e così, per dar voce al suo protagonista, approda a una meravigliosa lingua inventata, al tempo stesso poetica e popolaresca; per i termini aulici il riferimento principale è Leopardi, seguito a ruota da Dante, Petrarca, Ariosto e Foscolo; per le sbavature dialettali è il Serenissimo idioma veneto-friulano a dettar legge, ma non mancano i rimandi al lombardo, all'emiliano, al toscano, è un melting pot linguistico, il favellare di Carlo.

A chi decidesse d'intraprendere la lettura di questo capolavoro universale la lingua inusitata di Nievo potrebbe risultare inizialmente ostica, potrebbe scoraggiare, apparendo fortemente invecchiata; il mio consiglio è di tenere duro per i primi capitoli, dopo un po� non se ne potrà più fare a meno.
Se Manzoni è a pieno titolo il padre dell'italiano che ancor oggi parliamo, la lingua di Nievo è madre, perché, dondolando costantemente tra aulicità e dialettismi, col suo moto ondivago culla dolcemente il lettore, lo accompagna lungo i tortuosi percorsi di vita e i pensieri del protagonista; è una parlata intrisa d’ironia ed essa stessa è una perfetta metafora dell'indole italiana d'ogni tempo e della sua natura bifronte, sempre tesa verso i più nobili sentimenti, verso le più iperuraniche vette del pensiero, e al contempo sempre preda dei più bassi istinti animaleschi.

Ma la disfida con Don Lisander non finisce certo qui: ai moralizzanti insegnamenti cattolici propugnati da Manzoni, Nievo risponde con i più alti valori civili che esistano, indispensabili per fondare un nuovo Stato democratico ed educarne i cittadini: l'importanza della memoria (e quindi della Storia), l’importanza della consapevolezza, sia come individui che come società (e perciò dell'Istruzione), l’importanza della partecipazione collettiva come popolo al governo del Paese; sono tutte condizioni fondamentali per far funzionare bene una democrazia e potersi dire realmente liberi, nel pensiero e nell'azione. Libro pericolosissimo pertanto, lo capirete da voi, quello di Nievo; molto meglio l'inazione manzoniana e l'illusione di una provvidenza che tutto riequilibra, per tener buono buono un popolo e fargli ingoiare ogni infamia.

A proposito della divina provvidenza, Nievo ci va giù particolarmente pesante. Prima fa dire a Carlo che il caso a guardarlo bene non è altro il più delle volte che una manifattura degli uomini, poi dà il colpo di grazia mettendo in bocca alla Pisana un vivace discorsetto che è una sottile presa in giro della manzoniana Mano di Dio:
� Allora, Carlino, siamo intesi; fammi contenta di tutto quello che ti domando, e dopo pensi la Provvidenza, che tocca a lei.
� Sai, Pisana, che mi fai proprio stupire! Io non ti vidi mai così rassegnata e fiduciosa nella Provvidenza come ora, che la Provvidenza non sembra darsi il benché minimo pensiero di te.
� Che sia vero? ne godrei molto se questa virtù mi crescesse a seconda del bisogno. Tuttavia ti dirò che se comincio ad aver fede nella Provvidenza, gli è che me ne sento il coraggio e la forza. In fondo al cuore di noi altre donne un po� di devozione ci resta sempre: or bene! io mi abbandono nelle braccia di Dio! Ti assicuro che se rimanessimo nudi di tutto, non troveresti due braccia che lavorassero più valorosamente delle mie a guadagnar la vita per tutti e due.
Quella della Pisana non è più la devota e rassegnata speranza di fra' Cristoforo in un disegno imperscrutabile di giustizia celeste, ma fiducia nelle proprie forze. L'azione volta al bene degli altri per Nievo è tutto, è lo scopo della vita. In molte occasioni l'intervento della Pisana sarà provvidenziale per le sorti di Carlo, ma sarà sempre la sua sola volontà a muoverla. La provvidenza divina ha ceduto il passo alla coscienza umana, ed è su di essa che si fonda l'Eterna Giustizia sempre invocata dai personaggi del romanzo.

Ippolito non risparmia i colpi bassi e si avventa anche sulla bigotta pruderie del suo avversario, gli fa il verso, e così, la severa condanna del cedere alla lussuria che Manzoni aveva sapientemente sintetizzato nella celebre frase la sventurata rispose, nelle ironiche Confessioni di Carlo diventa scherzo: Cosa volete? Non tento né scusarmi, né nascondere. Peccai.

L'addio ai monti di Lucia è emotivamente surclassato dall'addio alla giovinezza di Carlo, con cui si apre la seconda parte del romanzo, una pagina di commovente beltà:
Addio fresca e spensierata giovinezza, eterna beatitudine dei vecchi numi d’Olimpo, e dono celeste ma caduco a noi mortali! Addio rugiadose aurore, sfavillanti di sorrisi e di promesse, annuvolate soltanto dai bei colori delle illusioni! Addio tramonti sereni, contemplati oziosamente dal margine ombroso del ruscello, o dal balcone fiorito dell’amante! Addio vergine luna, inspiratrice della vaga melanconia e dei poetici amori, tu che semplice scherzi col capo ricciutello dei bambini, e vezzeggi innamorata le pensose pupille dei giovani! � Addio primo nido dell’infanzia, case vaste ed operose, grandi a noi fanciulli come il mondo agli uomini, dove ci fu diletto il lavoro degli altri, dove l’angelo custode vegliava i nostri sonni consolandoli di mille visioni incantevoli! Eravamo contenti senza fatica, felici senza saperlo; e il cipiglio del maestro, o i rimbrotti dell’aja erano le sole rughe che portasse in fronte il nostro destino! � Il tempo non è tempo ma eternità per chi si sente immortale.

Oltretutto Nievo scrisse il suo capolavoro in una manciata di mesi, nell'urgenza vulcanica dei suoi ventisei anni, mentre I promessi sposi, ricordiamolo, è a conti fatti un remake; peggio ancora, perché la prima versione del 1827 è a sua volta un becero riciclo del Fermo e Lucia; alla stesura del suo capolavoro Manzoni dedicò complessivamente la bellezza di ventun'anni, riscrivendolo tre volte daccapo. Oh, se solo fossero stati concessi a Ippolito altri ventun'anni di vita, di quali straordinari portenti letterari oggi noi avremmo potuto essere testimoni! Quanto sarebbe stata diversa la storia delle nostre patrie lettere!

Dal canto mio -lo dico casomai non fosse già abbastanza chiaro- ritengo il capolavoro di Nievo, che romanziere lo era davvero, per citare Calvino, superiore in tutto rispetto a quello di Manzoni: è molto più avvincente, più ironico, più palpitante, più ricco, più romanzesco e innovativo, presenta dei valori nei quali mi riconosco di più ed è artisticamente più vitale.
Manzoni, che romanziere invece non era, volle assecondar l'uzzolo del momento e creare il prototipo impeccabile, il romanzo esemplare da introdurre nell'artisticamente arretrata Italia, cosa che in effetti gli riuscì ma, come tutta l'arte concepita a tavolino, si trattò di un’opera sterile, incapace di generare una prole, un modello così perfetto da risultare troppo ingombrante, da accantonare il prima possibile, da ripudiare per ispirarsi ad altro.

Nievo, al contrario, aveva la più acuta consapevolezza che il romanzo, come forma letteraria, permette un’assoluta libertà di ibridazione fra i generi, e la sfruttò tutta, regalandoci un'opera monumentale e multiforme, dai contorni più frastagliati e incerti, ineffabile, spumeggiante, sperimentale, romanzesca e filosofica al contempo.

༺Capitolo V�
Dove io tentava indarno di migliorare la mia pur già disastrosa posizione, peggiorandola affatto con una nuova calata di mie solinghe fantasie.

Sbaglierebbe, tuttavia, chi volesse credere Le confessioni d'un italiano un unicum, un masso erratico nella storia della letteratura; si tratta, al contrario, d'un romanzo parimenti storico, sociale e realistico, perfettamente inserito nel più ampio contesto europeo. Il riferimento principe è il romanzo inglese umoristico-parodico di Fielding e Sterne, da lì Ippolito sugge gran parte della sua ironia, che qui però non è volta a ridicolizzare la società, ma serve per veicolare un'idea, in Nievo vi è, infatti, lo stesso impegno civile di Victor Hugo e che già era appartenuto al Foscolo, ma senza i loro strascichi moralistici; così come non è fine a se stesso il ricorso a molteplici espedienti narrativi tipici dei feuilleton, qui impiegati non solo per rendere rocambolesca una narrazione altrimenti stracarica di concetti filosofico-politici, ma per mettere in luce le idee più profonde di Nievo suggerendole attraverso l'intreccio romanzesco, senza calarle dall'alto come precetti morali; prassi comune fra i grandi romanzieri: il proprio pensiero non va mai gridato, solo i dilettanti lo fanno, quelli bravi lo sanno far emergere per il tramite dei propri personaggi (un esempio su tutti: il fallimento del mazzinianesimo e della carboneria ottocentesca messo in scena implicitamente da Nievo attraverso la parabola esistenziale del rivoluzionario illuminista Lucilio).

Altro punto di riferimento è il romanzo di formazione francese filosofico di Rousseau, ma pure quello tedesco di Goethe; il capolavoro di Nievo è tanto un Bildungsroman quanto ne è la parodia, perché sostanzialmente Carlo Altoviti, pur essendo mosso da altissimi ideali maturatigli in animo nel tempo, è per gran parte del romanzo una vittima degli eventi, subisce e asseconda le altrui decisioni cadutegli sul capo come fulmini dal cielo; in parte perché la sua è una mente aperta, sempre pronta ad accogliere il cambiamento, ma pure perchè è un ingenuo, un Candide, e invero Voltaire è un altro illustrissimo riferimento: Ippolito prende la fiaba illuminista, la amplia, la espande, la squarcia, supera il pensiero romantico, le innesta i tratti del romanzo storico-naturalistico-sociale e la trasforma in epopea napoleonica e risorgimentale, ottenendo come risultato un'opera dalle radici ben salde e ugualmente ricca d'invenzioni e innovazioni letterarie, d'una originalissima pienezza artistica che non trova riscontri nel panorama italiano; Le confessioni d’un italiano è il più europeo dei romanzi italiani e al contempo il più italiano dei romanzi europei.

༺Capitolo VI�
Nel quale, omai certo di non scapolarla a buon mercato, io compieva l'ultimo vitupero dell'onor mio e, dopo aver posato il guardo sulle radici, io completava l'opra mia volgendo gli occhi ai racemi ed ai frutti delle Confessioni di Nievo.

Nonostante l'ombrosità di fama che lo avvolge e lo cela al grande pubblico, molti sono stati e continuano a essere gli scrittori italiani che hanno saputo trar insegnamento grande o piccolo da questo romanzo seminale, a partire da coloro che, come Nievo, si sono inventati una lingua mai vista che fosse diretta emanazione della propria poetica, un vero linguaggio strutturale, come Gadda, Landolfi, Fenoglio, Bufalino, Malerba, Camilleri, in certa misura anche Tomasi di Lampedusa ed Eco (Baudolino e Il cimitero di Praga, soprattutto, sono debitori in più punti anche nella struttura narrativa alle Confessioni), giusto per fare qualche nome.
Molti tra gli scrittori della Resistenza ne hanno ricalcato i valori, gli ideali, e principalmente la dimensione antieroica del protagonista, quel voler mettere al centro delle vicende narrate non un animo prode, ma un individuo comune, una figura media, uno qualunque insomma, mosso dalle contingenze del momento storico, costretto ad agire suo malgrado, spinto all'azione dalla propria coscienza, come reazione ai gravi fatti della sua epoca, e non per rincorrere chissà quali velleitarie rodomontate.

Fra i più grandi estimatori di Nievo vi fu poi Italo Calvino, per sua stessa ammissione sappiamo che nel Sentiero dei nidi di ragno e nel Visconte dimezzato vi sono elementi d’ispirazione ippolitesca; senza Carlo Altoviti non sarebbe mai esistito Cosimo Piovasco di Rondò, almeno non come lo abbiamo conosciuto; tutto Il barone rampante, a ben guardare, è una ripresa delle Confessioni: lo stesso arco temporale, la stessa stralunata famiglia nobiliare, lo stesso amore tormentato, lo stesso cameo di Napoleone, gli stessi traffici coi Turchi finiti malissimo, la stessa maturazione interiore del protagonista alla ricerca della propria libertà e la stessa trasfigurazione della memoria in continua presenza reale, sempre per usare le parole di Calvino stesso.
Memoria, memoria che sei tu mai! Tormento, ristoro e tirannia nostra, tu divori i nostri giorni ora per ora, minuto per minuto e ce li rendi poi rinchiusi in un punto, come in un simbolo dell’eternità! Tutto ci togli, tutto ci ridoni; tutto distruggi, tutto conservi; parli di morte ai vivi e di vita ai sepolti! Oh la memoria dell’umanità è il sole della sapienza, è la fede della giustizia, è lo spettro dell’immortalità, è l’immagine terrena e finita del Dio che non ha fine, e che è dappertutto. Ma la mia memoria frattanto mi servì assai male; essa mi legò giovine ed uomo ai capricci d’una passione fanciullesca. Le perdono tuttavia; perchè val meglio a mio giudizio il ricordar troppo e dolersene, che il dimenticar tutto per godere.

༺Capitolo VII�
Nel quale metto fine a questa Recensione per non incorrere nel motivato rischio di provocar noja e non acquistar troppa fama di gran sobillatore presso i vecchi perrucconi all'ascolto, omai certo d'averli scandolezzati a dovere; traccio succinte conclusioni e ringrazio fin d’ora i lettori della loro pazienza.

Per tutti i motivi fin qui elencati non posso che unirmi anch'io al dolente rammarico di Piero Dorfles; questo romanzo andrebbe letto e conosciuto di più, sin da giovani, non solo perché è un capolavoro letterario imprescindibile, ma perché in esso Nievo ha saputo infondere come forse nessuno mai, né prima né dopo di lui, tutto l'italico spirito, i nostri vizi (tanti), le nostre virtù (poche ma nobilissime), cogliendo sia quel senso di sconsolata rassegnazione tipico dei Verga, dei De Roberto, degli Svevo, degli Sciascia, e sia il desiderio di rivalsa e riscatto che pur ci appartiene, quello che verrà poi immortalato dagli scrittori della Resistenza; nell’opera di Nievo era già presente, più genuino e vibrante che mai.

I valori civili ne sono esaltati; il sugo di tutta la storia è che non possono esistere libertà e democrazia senza memoria, consapevolezza e partecipazione, se loro vengono meno, come Carlino ebbe a sperimentare sulla propria pelle, il demos sarà sempre in balìa di una vile schiatta di bugiardi arraffoni incapaci e beoti. Una lezione che noi, come popolo, ancora non abbiamo del tutto imparato; motivo in più per leggere Nievo, direi! È tuttora un testo attualissimo, come dimostra il seguente estratto, che sembra rivolgersi esplicitamente a noi e alla nostra epoca:
Carlino! La rivoluzione per ora ci fa più male che bene. Ho gran paura che avremo di qui a qualche anno superbamente insediata un’aristocrazia del danaro, che farà desiderare quella della nascita. Ma ho detto per ora, e non mi ritratto; giacchè se gli uomini hanno riconosciuto la vanità di diritti appoggiati unicamente ai meriti dei bisnonni e dei trisarcavoli, più presto conosceranno la mostruosità d’una potenza che non si appoggia ad alcun merito né presente né passato, ma solamente al diritto del danaro che è tutt’uno con quello della forza. Che chi ha danaro se lo tenga lo spenda e ne usi; va bene; ma che con esso si comperi quell’autorità che è dovuta solamente al sapere e alla virtù, questa non la potrò mai digerire. È un difettaccio barbaro ed immorale del quale deve purgarsi ad ogni costo l’umana natura.

È soprattutto un romanzo luminoso, fulgido, risplendente di Fede e Speranza, non nell'Altissimo, ma nei popoli, nel genere umano. Dietro alle Confessioni dell'ottantenne Carlo si celano i sogni per l'avvenire del ventiseienne Ippolito. Nievo termina la stesura del libro nel 1858, un anno prima della II Guerra d’indipendenza e due anni prima della spedizione dei Mille (parteciperà a entrambe come volontario al fianco di Garibaldi), quando l'idea di un'Italia unita era solo nelle menti e nei cuori dei patrioti, una speranza lontanissima dal concretizzarsi; eppure Ippolito in queste pagine dà l'unificazione nazionale come cosa certa, imminente, inevitabile, irreversibile, l'unica strada da percorrere; potere della memoria storica, ovvero della conoscenza del Passato, e della consapevolezza di sé e della società del tempo in cui visse, cioè contezza del tempo Presente e visione del Futuro, che insieme lo avrebbero spinto a intraprendere la via della partecipazione attiva nei fatti risorgimentali; ovverosia i tre fulcri del romanzo perfettamente fusi nella sua persona, mettendo così in pratica la teoria del buon esempio alla base della sua poetica. Ippolito Nievo, il più grande romanziere italiano dell’Ottocento, trasfigurò l'invenzione letteraria in realtà; in lui opera e vita, parola e azione, coincisero in maniera esemplare.

C’� un’ultima cosa che mi preme dire, la più importante, un dettaglio senza il quale non avrei mai incensato a tal punto il libro: è una lettura estremamente spassosa, divertentissima, e con questa rilettura -la prima di molte, spero- ho riso a più non posso; il godimento che offre questo romanzo è doppio, è sia intellettuale che fisico.
E chissà, chissà quanto ancora avrebbe potuto regalarci Ippolito, quanto l'influenza del pensier suo avrebbe potuto mutare la nostra Storia, se solo l'Ercole non avesse fatto naufragio e lui non fosse morto fra le onde, con i suoi ultimi scritti mescolati ai preziosi libri contabili della spedizione dei Mille, entrambi persi per sempre nelle vastità sottomarine; di sotto sta il nulla, tutto intorno l’obblio, di sopra il mistero.
Che immane perdita!
Maledetta questa vita lusinghiera e fugace che ci mena a diporto per golfi ameni e incantevoli, e ci avventa poi naufraghi disperati contro uno scoglio!


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UserChallenge58420576 Wed, 01 Jan 2025 23:46:17 -0800 <![CDATA[ elipisto has challenged herself to read 42 books in 2025. ]]> /user/show/12359820-elipisto 11627
She has read 6 books toward her goal of 42 books.
 
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UserChallenge48747441 Tue, 09 Jul 2024 05:59:02 -0700 <![CDATA[ elipisto has challenged herself to read 42 books in 2024. ]]> /user/show/12359820-elipisto 11634
She has completed her goal of reading 42 books in 2024!
 
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UserFollowing304209038 Wed, 29 May 2024 22:43:48 -0700 <![CDATA[#<UpdateArray:0x0000555576551128>]]> Comment267962861 Thu, 16 Nov 2023 22:29:52 -0800 <![CDATA[elipisto commented on lise.charmel's review of La mia Africa]]> /review/show/5957534364 lise.charmel's review of La mia Africa
by Karen Blixen

Finito ieri sera. Per fortuna che alcuni aspetti stridono con la sensibilità contemporanea. Io l'avevo letto da ragazzina curiosa del mondo e le descrizioni paesaggistiche mi avevano incantato, ma non avevo notato così stridente l'atteggiamento nei confronti delle popolazioni indigene. Meno male che adesso la sensibilità e l'attenzione è cambiata! ]]>