تدور الرواية حول قصة عائلة من صقلية نتتبع سيرة أجيالها على مدار أكثر من قرنٍ من الزمان، تمامًا كما في أشهر الملاحم الأسطورية. تحكي الرواية قصة "آل فلوريو"، تلك العائلة التي مرت بالشهرة والغنى والقوة وعلاقات الحب والخيانة والأسرار والانتقام. من القرن التاسع عشر إلى ثلاثينيات القرن الماضي، كان أفراد عائلة "فلوريو" ملوك صقلية من الناحية التجارية الذين بدؤوا كبائعي توابل فقراء، ثم انتقلوا سريعًا إلى صيد التونة وتجارة الكبريت وسبك المعادن، وغيرها من الصناعات المكتشفة حديثًا وقتها، مرورًا بصناعة النبيذ والتي جعلت منهم "أسود صقلية". تأخذنا الكاتبة في رحلة عبر تاريخ العائلة بداية من "باولو" وابنه "فينسينزيو"، مؤسس إمبراطورية "فلوريو"، حتى حفيده الذي بدد ثروة العائلة على الحفلات الصاخبة، بين رجال العائلة العنيدين المتعجرفين الذين يجدون أنفسهم غالبًا مجبرين على الاختيار بين الطموح والتضحية، ونسائها القويات والحازمات، الأمهات الحنونات منهن والعاشقات المغريات، والزوجات المجروحات اللاتي يبحثن جاهدات عن مكان لهن في العالم.
Stefania Auci è nata a Trapani ma vive da anni a Palermo, dopo aver girato l’Italia. Insegnante, ex avvocato, ex cancelliere, si dedica alla narrativa urban fantasy, horror e romance sin dall’adolescenza. A ottobre 2011 è uscito il suo romance di esordio, Fiore di Scozia, edito da Harlequin Mondadori e a dicembre 2012 il suo seguito La Rosa Bianca. Nel 2010 ha pubblicato con edizioni 0111 Hidden in the dark, breve raccolta di racconti urban fantasy tratti dalla saga di Moray Place 12, Edimburgo.
Da scappare a metà lettura; per rabbia. Un bel soggetto, una delle saghe famigliari più straordinarie della storia italiana, bruciato in una specie di telenovela, una roba dichiaratamente pre-televisiva. Dietro la copertina pastello da romanzo rosa, una scorpacciata di frasi ad effetto, banalità da stanza delle lavandaie di un secolo fa e sciatterie stilistiche. La letteratura che prepara materiali per la peggiore televisione è quella che fa più rabbia. E vende tanto! Il problema più grosso in Italia non è che si vede troppa cattiva tivvù e si legge poco; è che quel poco che si legge, dai libri di cucina, ai giallacci, a questa roba qui, scimmiotta e alimenta la peggiore tivvù.
Bellino ma non ci vivrei. Tutto predeterminato, personaggi rivelati già dalle prime righe di descrizione, mai un dubbio, mai un ostacolo efficace per tenere in sospeso il lettore.
Il problema di questo romanzo, secondo me, non sta nel modo in cui racconta la sua storia. È infatti evidente che Stefania Auci ha svolto col massimo impegno il suo lavoro di scrittrice, come si può intuire dalla minuziosa ricostruzione storica e dalle ricche descrizioni ambientali che devono esserle costate mesi di ricerche sulla storia della Sicilia.
Il problema risiede piuttosto nell'oggetto del romanzo in sé: perché per essere gente che—cito dalla quarta di copertina�ha sfidato il mondo, ha conquistato tutto, è diventata leggenda, a me questi Florio sono sembrati discretamente noiosi.
Non che la cosa mi stupisca, anzi: parafrasando Tolstoj, potremmo dire che quasi tutte le famiglie ricche finiscono per assomigliarsi tra loro. Non dubito che i Florio abbiano segnato la storia di Palermo e ricoperto un ruolo cruciale nello sviluppo dell'economia siciliana; semplicemente, penso ci sia un motivo se le librerie di tutto il mondo traboccano di biografie romanzate sulla vita di sovrani, politici, esploratori ed artisti, mentre sono assai povere di opere sulla vita dei mercanti. In altre parole, è difficile rendere interessante una vicenda che ruota attorno ad acquisti, vendite, accordi commerciali, tasse e permessi doganali; e ho la sensazione che Auci abbia cercato di compensare la fredda impersonalità dei fatti con una dose supplementare di melodramma sentimentale.
Il risultato è che il romanzo utilizza un tono asciutto e quasi cronachistico per narrare gli eventi storici, alternandolo ad un registro da soap opera quando si addentra nei drammi personali dei suoi protagonisti. Drammi che però, come ammette l'autrice stessa nella nota finale, sono frutto della sua immaginazione, e finiscono quindi per avere poco o nessun peso sull'andamento dell'intreccio narrativo che rimane invece saldamente ancorato alla realtà dei fatti. Si ha insomma l'impressione che la trama vada avanti da sola, e che le motivazioni, i tormenti interiori, le intime complessità dei personaggi non guidino le loro decisioni. Tutto si risolve troppo in fretta, i conflitti interpersonali si esauriscono in un nulla di fatto, i peggiori abusi e maltrattamenti vengono immancabilmente perdonati (meglio se sul letto di morte) perché alla fine tutto deve filare liscio, tutto dev'essere funzionale all'inarrestabile ascesa dei Florio: manca un vero ostacolo, manca, insomma, un climax drammatico.
Ed è questo, secondo me, il difetto fatale dei Leoni di Sicilia: l'assenza di tensione narrativa, che più di ogni altra cosa—più dei dialoghi espositivi, delle frasi ad effetto inserite a forza, dei continui destabilizzanti salti temporali—mi ha impedito di godermi questo libro come avrei voluto.
Perché io posso leggere di tutto, davvero, ma se c'è una cosa che proprio non sopporto sono i romanzi in cui va sempre tutto bene. E per questo fatico a leggere letteratura rosa, che non a caso è il terreno su cui si è formata Auci. Quindi preferisco lasciare a questa saga, scritta con tanto impegno e tanta passione, il beneficio del dubbio, e dire: non sei tu ad essere noiosa, sono io ad essere troppo cattiva.
Ho comprato questo libro (anche) per colpa di una recensione negativa. Qualche settimana fa, ero alla ricerca di qualcosa da leggere sotto l’ombrellone, un romanzo leggero, possibilmente divertente, preferibilmente non troppo banale. Mentre scorrevo la classifica top 100 di Amazon, l’occhio mi è caduto su questa cover deliziosa. Ho letto la trama e ho subito pensato: “No, non va bene, questo ha tutta l’aria di essere un bel mattoncino.� Poi in una delle recensioni ho letto “Romanzetto rosa inconsistente�. E niente, l’ho comprato. Peccato che chi ha scritto quella recensione, un romanzo rosa non sappia nemmeno cosa sia, sono certa non ne abbia mai letto uno in vita sua. Ho scelto questo romanzo senza sapere nulla dell’autrice e del contenuto, solo le poche righe della trama. L’ho iniziato intenzionata a mollarlo se si fosse rivelato noioso o “inconsistente�. Beh, l’ho letto in tre giorni, sotto il mio ombrellone, mentre i bambini dei vicini mi innondavano di sabbia e si tiravano la palla sopra la mia testa. Non è un romanzo entusiasmante, ricco di azione e colpi di scena, eppure mi ha irretita e affascinata, ogni pagina di più. Solo quando sono arrivata al capitolo in cui si parla della tonnara di Favignana (che ho visitato un paio di anni fa) i miei due neuroni si sono uniti e ho capito che non era un semplice romanzo di fantasia, ma era la storia di una delle più famose famiglie siciliane. Ho ricordato il nome che la guida alla tonnara pronunciava con una sorta di venerazione e solo a quel punto ho aperto Google per avere la conferma. I Florio. Erano proprio loro. Da quel momento il mio interesse è decuplicato e sono arrivata alla fine del romanzo in un amen. Ora, io davvero vorrei chiedere, a chi ha detto che è un “inconsistente romanzetto rosa�, come pensava si potesse narrare una saga familiare senza parlare anche dei matrimoni (e quindi degli amori) dei membri di quella famiglia. Vorrei chiedere a quella persona come sia possibile raccontare la vita senza parlare della morte, dell’odio ma anche dell’amore. Forse che l’amore non fa parte della vita come tutte le altre cose? Senza contare che i sentimenti dei personaggi vengono narrati con un pudore e una delicatezza perfettamente intonati al periodo storico. Come un uomo di quei tempi non avrebbe mai detto alla moglie “Ti amo�, se non, forse, sul letto di morte, allo stesso modo l’autrice lascia che siano i gesti, a volte bruschi, a raccontare sottovoce i sentimenti che legano i personaggi. Mentre lo leggevo, ho pensato a tante cose, tranne che fosse un romanzo d’amore, perché viene davvero appena accennato. Per non parlare poi dell’enorme lavoro di ricerca che emerge con prepotenza da ogni singola frase di ogni singola pagina. Una Palermo di inizio Ottocento prende vita davanti agli occhi del lettore in ogni minimo dettaglio, con un’accuratezza e una vividezza così intense da sembrare di vedere un film. Un lavoro immenso, di cui non oso immaginare la portata, ma da cui traspare anche l’amore che l’autrice prova per la Storia e la propria terra. Quella dei Florio è una storia incredibile e affascinante di per sé, ma nel romanzo si affrontano anche tematiche importanti come la discriminazione tra classi sociali e la figura della donna, che a quei tempi non aveva voce in capitolo in un mondo governato dagli uomini. Quella realtà viene esposta in modo limpido e inequivocabile, senza falsa retorica o luoghi comuni. L’autrice la racconta e basta. Ma la racconta bene. Anche lo stile si intona perfettamente alla storia che viene narrata e ha il sapore e il profumo dei grandi classici. Io ve lo consiglio, perché un buon libro è sempre un buon libro. Va bene anche quando cercavi qualcosa di completamente diverso.
3.75 stars. This historical fiction work is a portrayal of a real Italian family who went from having nothing to becoming rich and influential, reflecting a piece of Sicily’s history and spanning decades from 1799 - 1868. Leaving a small village in Calabria to the city life in Palermo, Sicily, Paolo, his wife Giuseppina, and his brother Ignazio begin their family’s legacy. This is a true rags to riches story as they move over the years from poverty to riches to power. From selling spices to apothecary to shipping and wine and more, this family firmly forges their place in Sicilian history. The novel does more than reflect the history, though. It has complex characters and relationships - between husbands and wives, fathers and their children, mothers and their sons, between brothers. I was particularly struck by the strength of the women who had to take their subservient place to their husbands, dictated by the time and society. Sometimes they would have none of it and stood up for themselves when it wasn’t easy to do so.
It was not quite a solid four stars because I found it a bit slow until Vincenzo, Paola and Giuseppina’s son comes of age. It is through his drive, ambition and pride that the business and the family legacy take hold, bolstered by the insight and love of his Uncle Ignazio. Yet, I thought it was worth reading and rounding up to four stars.
I received a copy of this book from HarperVia through Edelweiss.
«Sono solo romanzetti Non mettetemi alle strette Sono s- sono s- sono solo romanzetti»
Quello che la Sicilia ha lasciato alla mia famiglia, oltre agli splendidi ricordi di ogni tipo - affettivo, familiare, culinario, musicale, artistico, naturalistico - sono un fratello e una sorella nati a Palermo, il culto della caponata di melanzane fatta in casa e una bottiglia di Marsala Florio: prima sempre presente nel mobile bar della nostra casa d’infanzia, e poi anche nella mia (la passione per Boldini, invece, è nata negli anni del liceo). "I Leoni di Sicilia" si iscrive nella tradizione delle saghe familiari e dei romanzi d’appendice senza deludere le aspettative: scivola già come un bicchierino di Marsala - Florio, naturalmente, la cui storia familiare e l’ascesa sono narrate nel romanzo - sorseggiato guardando il mare.
(immagine da blog "Carezze di carta")
Non un capolavoro, eh, molta parte romanzata, ma la storia è così bella e affascinante, così permeata della storia di Sicilia (e d’Italia) che leggerlo è un piacere, nonostante la scrittura piana, priva di picchi letterari, ma pulita, che però è migliore di tante altre cose che hanno velleità letterarie.
This story captures many lives of the Florio family, from their humble beginnings as impoverished shopkeepers to building an empire. The official founder is Vincenzo Florio Sr. (1799-1868). However, the story starts with his father Paolo, who moves family from the mainland of Italy to Sicily and opens a shop in Palermo.
After an earthquake in 1799, Paolo moves his family � wife and newborn Vincenzo, and also his brother Ignazio and niece Vittoria, from Bagnara to Palermo. “Venice built her wealth on the spice trade and customs duties.� Now, Paolo wants to trade spices in Palermo. After much struggle, the brothers become known.
Their struggles are intertwined with the volatile history of Sicily. Napoleon’s wars have effects across Europe. It is 1817 and everybody is having a rough time. "Now it’s only closed store windows and bolted doors where the British warehouses used to be.� After Napoleon’s defeat, “the island has lost its strategic importance. The harbors are empty. Palermo seemed dead. (�) The changes over recent years have been too many and too quick.�
A grown-up Vincenzo gets a chance to travel to England and see how businesses operate there. He comes back with some ideas to improve their business. He also craves social recognition after having an unpleasant experience with an aristocratic young lady.
It’s January 12, 1848 and the time for rebellion has come. Palermo has had enough of taxes and tyranny imposed by the Bourbons. The rebels don’t see one’s humble beginnings. They see money and they resent people with money. With gun pointed at Vincenzo, he is forced to pick sides.
Sicilian revolutionary unrest continues to smolder beneath the surface for years, shaping Sicilian history and the Florios business.
The story is mostly concentrated on Vincenzo, the founder.
This story weaves interestingly developed characters with the rich Sicilian history and culture. It vividly portrays a man’s struggle of starting a new life at a new place, which is not that welcoming. They are foreigners and they are being despised. They can feel it and it really bothers them. It gives them an extra push to excel at their business. The brothers know how important it is to make the right appearance and talk the right way. They are quick learners. No matter how successful they are, in aristocratic eyes they are still simple laborers. “They want coat of arms. Noble blood,� which gives respectability. Not the hard work and building an empire with one’s own hands. Their emotions are very intense.
Beautifully written and engrossingly depicted story of inspiring characters.
Source: ARC was provided by the publisher via Netgalley in exchange for an honest review.
Per cominciare a scrivere un commento su questo bestseller di massa (18 edizioni e forse non finiranno!), devo citare un thread postato dieci anni fa sul Blog di Loredana Lipperini, la nota giornalista scrittrice di Radio 3. E non a caso Stefania Auci faceva parte di quell'area già all'epoca (mamma mia come passa il tempo): all'epoca autrice di paranormal Romance esattamente come Lipperini, ed esattamente come Lipperini donna di cultura dell'area della sinistra femminista, impegnata da sempre a togliere quell'area di irraggiungibilità all'alta letteratura che da sempre nega rispettabilità ad un modo di scrivere diciamo più facilmente accessibile.
Il thread si chiamava "letterarietà" ed è stato qualcosa che potrei dire epocale per un appassionato di lettura. E' ancora online: è rimasto attuale anche oggi. In un' interminabile schermaglia letteraria che si dilungò fino ad oltre 700 commenti si confrontarono scrittori come Wu Ming, Antonio Moresco, Tiziano Scarpa, Antonio Scurati ed altri; critici letterari come Andrea Cortellessa e Gilda Policastro; e poi editors, giudici letterari, ed incredibile a credersi, anche lettori. Qual era il punto della questione? Proprio la legittimità o meno di poter dare la patente di letterarietà, ed in parallelo la possibilità di dedicare energie al suo studio, ad un modo di scrivere meno impegnato e difficile, che si dia l'obiettivo di essere accessibile ai più. Tutto questo potendo o meno togliere risorse alla letteratura astrusa e difficile ma che si dà il merito di guardare avanti, di essere ambiziosa (ricordo una frase di Ottonieri che sembrava ostrogoto). All'epoca ero senza se e senza ma dalla parte del signor Ming e dei paladini di una letteratura più "facile" (estremismo dovuto in parte all'insopportabile spocchia mostrata in quel momento da Gilda Policastro), ma adesso con dieci anni di letture intense sulle spalle, non ne sono più così sicuro.
Veniamo dunque ai "Leoni di Sicilia", che dieci anni dopo mette in pieno il dito nella piaga: è un esempio di un libro che vuole essere importante e ben scritto, che manifesta un impegno preparatorio notevole ma, probabilmente nell'ansia di essere leggibile ed aperto al grande pubblico, è sciatto e tirato via in modo a dir poco irritante. Il tutto da un'autrice contigua sicuramente a quell'ambiente di romanzo "medio" che proprio col signor Ming ho molto apprezzato. Auci viene dal paranormal romance, ed affronta con questo libro un genere parallelo: quello dello storico sentimentale: l'ambientazione (la Sicilia dell'unità) e la scelta dei protagonisti (la grandissima famiglia Florio che fu di fatto la fondatrice di un nuovo modo di produrre il Marsala per tutto il mondo) è la più ambiziosa e sfortunata possibile.
Ambiziosa e sfortunata perchè se si vuole scrivere un romanzo sulla Sicilia dell' unità, della fine del feudalesimo, vuoi non vuoi ti devi confrontare con Don Fabrizio Corbera, principe di Salina. Che al confronto con questo don Vincenzo Florio che ha lo spessore di un personaggio di Harmony è come paragonare il Gattopardo ad un cucciolino bagnato. Chi ha amato il Gattopardo può arrivare a sentire rabbia per come la Sicilia viene raccontata in "I leoni di Sicilia", anzi per come non viene raccontata. Perchè si capisce benissimo che il momento storico cruciale per Auci non è importante, fa solo da sfondo per la storia sentimentale che è quella che veramente conta. Lo dimostra il fatto che le sofferenze, i pensieri e le decisioni di Don Vincenzo ed Ignazio Florio non sono mai influenzati dalle turbolenze dell'epoca. Mai. Un colpo di tosse dell'amata di turno li sconvolge dieci volte tanto l'invasione garibaldina della Sicilia o i fatti di Bronte, per capirsi. Vincenzo Consolo fatti da parte, poveretto. Turbolenze che tra l'altro spesso sono tirate via in poche pagine per tornare a parlare della relazione sentimentale lunga una vita.
Allo stesso modo, ne "I leoni di Sicilia" semplicemente la Sicilia non c'è. O comunque molto poco. Se decidi di scrivere un romanzo sulla famiglia Florio e sul vino, un prodotto che ha segnato per millenni la cultura di quella terra, quella passione per la terra, per il sole, per il vino si deve vedere. Invece niente, viene tutto liquidato in poche asettiche pagine. Giusto per fare un paragone, mi viene in mente Don Fabrizio che passeggia su una piana di terra secca che si spacca come la creta, sotto un sole spietato e nemico che ride degli sforzi degli uomini (parlare della Sicilia senza parlare del sole significa non parlarne), e mangia un acino di uva così dolce quanto brutta da vedere, e che più soffre sotto il sole più migliora: l' Inzolia (non sto citando alla lettera). In tre righe Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha raccontato della Sicilia, dei suoi vitigni, del suo clima più che la Auci di tutto il libro. E Giuseppe Tomasi di Lampedusa non stava parlando di produttori di vino, la Auci invece si. La quale tra l'altro incappa in un incredibile errore dicendo (se non ricordo male, E SPERO DI RICORDARE MALE) che i Florio si appropriavano di vigneti di Grillo all' inizio dell' ottocento, quando il Grillo come vitigno è nato a Favara sul finire dell' 800 da un incrocio tra Catarratto e Zibibbo. E infatti fino ad allora il Marsala si faceva con il Catarratto, l' Inzolia e lo Zibibbo, appunto. Non sono dettagli, quando il protagonista del tuo libro è Don Vincenzo Florio sono errori gravi.
Sia ben chiaro, scrivere un romanzo sentimentale non è mica una bestemmia, tutt'altro. Altissima letteratura è stata fatta su temi di introspezione. "Narciso e Boccadoro" di Hermann Hesse, giusto per fare l'esempio che sto affrontando adesso. Solo che a mio avviso anche nelle pagine sentimentali il libro è scritto male lo stesso. Dialoghi abbozzati e brevissimi che si ripetono sempre uguali lungo tutte le centinaia e centinaia di pagine del libro, storia banale che più banale non si può (giovane ragazza sedotta dal mercante ambizioso che però vuole diventare nobile), rime baciate cuore amore che neanche il miglior Toto Cutugno...ho fatto davvero fatica ad arrivare alla fine. Delle infinite sfumature di pensieri sentimenti e stati d'animo che coinvolgono una persona innamorata, resta invece molto poco.
Lo stile è semplice e piano, con frasi brevi a sintassi paratattica che si susseguono una dopo l'altra. Nella sua semplicità la scrittura mi sembra ben curata. Credo che sia stato un gesto di Umiltà da parte di Auci, volendo scrivere un libro leggero e leggibile, non strafare con eccessi baroccheggianti. Che pure ci potevano stare e sarebbero stati apprezzati, visto che siamo nella terra del barocco della Val di Noto, di Vincenzo Consolo, di Gesualdo Bufalino e di Leonardo Sciascia, che di quella scrittura così grassa avevano fatto un fiore all'occhiello della letteratura siciliana.
Ho il fortissimo sospetto che "I leoni di Sicilia" sia stato scritto come se fosse stato una sceneggiatura televisiva, e non mi stupirebbe affatto scoprire che ne faranno una serie. E come tutto ciò che è televisivo, ha poco per piacere a chi legge già molto e molto per piacere a chi di solito non legge. E qui si torna a Loredana Lipperini ed a "Letterarietà". Fino a che punto si può condannare un libro che agli occhi di un esperto può apparire troppo commerciale se ha comunque il merito di riavvicinare alla lettura decine di migliaia di lettori deboli? In altre parole, è legittimo sperare che dopo aver letto "I leoni di Sicilia" qualcuno decida di prendere in mano "Il gattopardo"? Dieci anni fa avrei detto che è legittimo sicuramente, adesso non ne sono più così sicuro.
Ma forse, volendo semplificare, anche un libro che si rivolge ad un pubbliuco vasto necessita comunque di maggior cura, come Wu Ming ed i vari Q e Manituana stanno a dimostrare.
Per la versione audible, non male la scelta di Ninni Bruschetta, il cui accento siciliano restituisce credibilità al libro.
Leggere un libro le cui frasi, in media, non superano le quattro parole mi crea ansia. Uno stratagemma per condurre una narrazione enfatizzante? Probabilmente. A me ha innervosito fin dalle prime pagine e, aprendo il libro a caso, ho notato che la solfa non cambia fino alla fine. Al termine di ogni periodo mi veniva da esclamare “za-zan�. Quello che ho letto (circa metà) è proprio robetta da romanzotto banalotto, da telenovela stile “Schiava isaura�. Insomma: romanzo a puntate per urfida fiction a puntate in TV. Bocciatissimo, ma a me le trilogie, le quadrilogie...le saghe familiari seriali non piacciono.
P.S. Ho proseguito nella lettura e notato che ci sono anche frasi più lunghe e più articolate. Però il giudizio rimane negativo.
Non è facile recensire un romanzo come questo, in cui non c'è niente - assolutamente niente - che non vada. Già la copertina, con la riproduzione del Ritratto di signora con due adolescenti di Vittorio Matteo Corcos, con il mare di sottofondo, è una cornice meravigliosa per questa storia. Il romanzo ha una struttura solida ma allo stesso tempo leggiadra, con la saga familiare della famiglia Florio che, a partire dal 1799 fino all'Epilogo, nel 1868, attraversa la storia e si impone, diventando una potenza finanziaria impareggiabile in Sicilia, con la cocciutaggine di chi si è sempre sentito chiamare facchino e pirocchio arrinisciuto. La Storia della Sicilia nell'800 è indissolubilmente legata alla storia dei Florio, alle loro idee innovative che sovvertirono il commercio. Il libro è suddiviso in lunghi capitoli intitolati con i capisaldi del commercio dei Florio, ciascuno con un'introduzione che spiega il periodo storico - sintetica ma mai didascalica -, e sono suddivisi a loro volta in brevi paragrafi in cui Stefania Auci utilizza il presente, quasi che i Florio stiano vivendo la storia in quel preciso momento. E quando si finisce di leggere si ha solo il desiderio di: 1. Leggere il secondo capitolo della saga; 2. Aspettare impazientemente che venga realizzata la serie TV, cercando di immaginare quali sarebbero gli attori più adatti a interpretare i ruoli di Paolo, Ignazio, Giuseppina, Vincenzo, Giulia e gli altri.
Ho ripreso e integrato il commento a caldo scritto subito dopo la lettura del libro (avvenuta dal 12 al 13 settembre 2019).
Da quando è uscito sono stata attratta dalla copertina, ma non mi sono mai messa a leggerlo. Per vari motivi: è diventato subito un bestseller; se ne è parlato molto (forse troppo); è stato molto citato. Poi ho visto che facevano la lettura su Twitter. Ma anche lì non è stata sufficiente la spinta per farmelo leggere. E poi ieri [12.09.2019] mi sono decisa ad iniziarlo.
Dopo le prime pagine, l’ho divorato. È la storia dei Florio, ambientata nella Sicilia dell�800. La famiglia e il nome della famiglia viene prima di tutto: ma questo dura nel tempo solo se c’� l’amore. Ecco è il senso profondo del libro.
La Storia della Sicilia, dopo il 1818 (ben documentati), si incastrano con la storia di questa coraggiosa famiglia imprenditoriale che parte dal niente, per diventare i Florio, scontrandosi con una mentalità radicata, da sempre ostile al cambiamento.
Ci sono molti passi lirici e sono rimasta favorevolmente sorpresa dalla bravura di questa scrittrice. Perché sì, è brava e merita tutto il successo che sta avendo!
«La calma, Vice�. Il controllo di te stesso. Io ho ignorato per anni, ma non ho mai dimenticato.» Si tocca la fronte. «Ho segnato tutto qui. Niente mi scordo di quello che mi hanno fatto. Però mai fargli vedere che sei arrabbiato perché è la collera che fa fare le peggiori fesserie. Questa è gente che ragiona con la pancia. Noi no. Ti devi fare venire i cuorna ruri, le corna dure come quelle dei tori, e non sentire, e andare avanti per la tua strada.»
Come previsto, leggere la Auci subito dopo la Bellonci fa sì che il confronto ravvicinato vada a forte discapito della prima. Ma non è tutto da buttare, anzi, quest'anno mi è capitato di leggere cose molto peggiori.
La scrittura è abbastanza piatta, a tratti elementare e in alcuni momenti sembra frettolosa e imprecisa, e tuttavia si mantiene sempre entro il livello della sufficienza. La trama è strutturata discretamente bene e altrettanto discreto lo sviluppo, la voce narrante onnisciente si cala nei punti di vista dei personaggi quasi sempre con cognizione di causa. Lo sviluppo psicologico con la formazione dei personaggi stessi ha sempre un suo perché, sebbene a volte un po' semplificato, e di quando in quando si assiste a un qualche dialogo in cui un/a bambino/a o ragazzino/a se ne esce con frasi un po' troppo adulte per la sua età (e tuttavia non bisogna dimenticare che un bambino all'inizio del XIX sec doveva per forza di cose essere più precoce di uno del XX sec); si rileva un po' di ripetitività nel sottolineare cento e una volte la differenza tra i nobili e i borghesi; ma nel complesso non c'è nulla di campato per aria.
Il periodare asciuttissimo, quasi secco, con frasi brevissime, non mi ha disturbato: ha un suo senso e quasi quasi una sua musicalità; mi sono invece piaciuti molto meno i capitoli che si concludono lasciando calare il sipario su una frase culminante o una scena significativa e lasciando che sia il lettore a dover intuire il seguito - per fortuna la Auci ha il buon gusto di utilizzare questi stacchi "teatrali" in un numero di volte limitato, in tutto il libro si possono contare sulle dita di una mano, diversamente da quello che fa - ad esempio - Andrea Vitali che i capitoli li chiude tutti, ostinatamente e imperterritamente, a quella maniera lì.
Non posso evitare di fare il confronto con un alto libro letto quest'anno, un libro che sulla carta avrebbe dovuto essere tanto superiore a questo, Il rumore del mondo della Cibrario: finalista dello Strega, tanto più pretenzioso già solamente dal titolo, per non dire delle dimensioni del volume - ottocento pagine con la stessa consistenza di un budino di semolino. Mentre con la Cibrario ho trovato tonnellate di info dumping che inibiscono il piacere della lettura in sé, e poi lo mortificano una volta di più perché lasciano in sottofondo la sensazione di avere a che fare con del dilettantismo; la Auci sotto questo aspetto se la cava invece egregiamente: racconta per il piacere di raccontare, racconta i luoghi e le epoche più indirettamente che può, attraverso protagonisti e luoghi realistici, e non attraverso la lezioncina messa in bocca a bella posta a questo o quel personaggio. All'inizio di ogni capitolo, poche righe fanno il riassunto della congiuntura storico-politica degli anni cui si riferisce il capitolo stesso, e se un lettore possiede già di suo le nozioni storiche del caso, può anche saltare a pié pari: non sarà un'invenzione da premio Nobel, ma a paragone di tanti altri romanzi, questa cosa spicca come una scelta di sobria eleganza.
Anche portando il confronto ancor più nel merito, il risultato non cambia: la storia dei Florio, pur romanzata (anzi diciamo pure soap-operizzata) arriva molto più direttamente a centrare il bersaglio del racconto del XIX sec. come di un periodo frenetico, con al centro di quella frenesia tanti elementi quali le industrie, i commerci, i trasporti, le nuove tecnologie, i prodotti di lusso, gli abissi di differenza tra classi sociali, e centra il bersaglio molto prima e molto meglio della impalpabile storiella della Cibrario. E anche la parte storico-politica, il cui nòcciolo è ovviamente costituito dal Risorgimento, è dosata ed equilibrata, inserita nella storia in maniera armonica, non ha la pretesa di sbattere un Garibaldi o un Crispi in primissimo piano rispetto alla trama raccontata e d'altro canto ha il buonsenso di non ignorarli del tutto. Un altro pregio è quello di non dare mai la sensazione, neanche per brevi passaggi o episodi, di scopiazzare Tomasi di Lampedusa: gli anni e i luoghi e i temi in fin dei conti sono gli stessi, il rischio di trovare un facile appiglio in un'opera così granitica quale è Il Gattopardo era reale e concreto, quindi anche in questo caso brava la Auci che sa mantenere la doverosa e rispettosa distanza.
La media matematica dei pregi e dei difetti è 3,5: nessun entusiasmo da strapparsi i capelli, ma sono sicura che proverò volentieri a leggere il seguito.
Francamente mi aspettavo di più da questo libro, visti i giudizi che ne sono stati dati.
Certo, l'ambientazione è affascinante, ma qui si vince facile: la Sicilia ottocentesca, tra moti di rivolta popolare e dominazioni straniere, tra servitù e indipendentismo, tra nobili indebitati e borghesi malvisti per le loro origini, tra siciliani e gente venuta dalla penisola. Come Paolo e Ignazio Florio, arrivati dalla Calabria per sfuggire a una terra povera e devastata dai terremoti, e farsi una nuova vita in una città che è al centro del commercio del Mediterraneo.
La storia, pure, è molto bella. Ma anche qui, la realtà spesso batte la fantasia, ed è la storia vera (per quanto ricostruibile) e chiaramente romanzata della famiglia Florio, dal suo arrivo a Palermo fino al suo divenire una potenza economica inarrivabile sull'isola grazie al lavoro e all'impegno, ma anche alla spregiudicatezza, a menti aperte e a una genialità commerciale e industriale fuori dal comune.
E all'inizio di ogni capitolo, che tratta un ben preciso lasso temporale, è presente un breve paragrafo che descrive gli eventi storici che interessano l'isola in quegli anni, così da permetterci di contestualizzare quanto leggeremo nelle pagine seguenti: non c'è infodump, e spesso neanche introduzione agli eventi, quindi questa introduzione al capitolo è manna dal cielo.
Però la valutazione è quella di una sufficienza... il motivo è facile a dirsi, e riguarda la scrittura dell'autrice. Se si parla di saga familiare, viene in mente a tutti (o almeno a tutti quelli che l'hanno letta) la serie dei Cazalet. E quindi, per quanto lì avessimo una famiglia fittizia e qua si narri la storia vera di una potente famiglia siciliana, il paragone scatta naturale e istintivo. Non su colpi di scena o trama, ma sulla tecnica.
Laddove nei Cazalet viviamo insieme ai personaggi, ci affezioniamo a loro e impariamo a consocerli alla perfezione, qua i vari Florio sono mostrati dal di fuori, quasi da lontano. Vediamo cosa fanno, a volte abbiamo un assaggio dei loro sentimenti, ma tendenzialmente sono poco più di robot dediti al lavoro, con piccole parentesi di umanità (solitamente non molto felice o fortunata). Nei Cazalet il ritmo è lento, e una scrittura avvolgente e più pov non ci fanno avvertire questa lentezza temporale mentre viviamo a fianco dei membri della famiglia. Con i Florio invece ogni paragrafo mette in apprensione, visto che potrebbe essere immediatamente successivo a quello precedente, o potrebbe esserci uno stacco di giorni, mesi, anni. Lo si scoprirà solo leggendo. Del resto si coprono più di sessant'anni in poco più di quattrocento pagine... ma la corsa è affannata, si salta da un impresa commerciale all'altra, da una crisi alla successiva, quasi senza soluzione di continuità.
In definitiva abbiamo un lavoro di ricerca e di ricostruzione sicuramente enorme da parte dell'autrice, che però non riesce a scrivere un libro che superi il livello di "biografia prevalentemente lavorativa dei Florio" per diventare una saga capace di affascinare anche senza la veridicità degli eventi. Leggerò il secondo volume, certo, ma senza fretta...
Non amo particolarmente i romanzi storici, forse perché non ho mai avuto un particolare interesse per la storia e per i suoi personaggi, o almeno non per tutti. Ho sempre avuto una particolare avversione per la materia, che mi son ritrovato anche all'università, e ho fatto fatica ad interessarmene per tutti gli anni del liceo (ed è così ancora adesso). Ma la storia dei Florio era qualcosa che aspettavo sin dall'annuncio, stupendo me stesso e chi mi conosce bene. Dico schiettamente che è stato proprio questo romanzo a farmi ricredere, sebbene già un po' me l'aspettassi: la narrazione di Stefania Auci non può far altro che coinvolgere e regalare qualcosa di più del semplice "raccontino" a sfondo storico, pieno di dettagli e personaggi che già conosciamo. Stefania Auci regala una genuina umanità, ci trasporta totalmente ai tempi della Palermo dei Florio, riuscendo a farci vivere un'esperienza del tutto nuova e impeccabile tra quelle strade sterrate e quegli ambienti sporchi, grazie alle immagini vivide che riesce a tirare fuori dalla sua penna. Ogni colore cupo, ogni odore pungente, tutto lo sporco e la fatica e il sudore dei lavoratori è chiaro e non dà tregua, lo troviamo ovunque in queste pagine e ci riempie le narici, gli occhi e l'immaginazione. Trovarsi a Palermo è facilissimo, e da siciliano posso dire che è stato un viaggio che ho amato fare, che mi ha cullato e mi ha fatto vedere tutto con occhi nuovi. Stefani Auci mi ha raccontato di una Sicilia che non conoscevo, di una famiglia che avevo sempre sentito nominare ma che non avevo mai avuto modo di esplorare così a fondo, e sono lieto di averlo fatto tramite questo romanzo, perché ha dato ai personaggi di Paolo e Ignazio e Vincenzo (soprattutto) una nuova immagine e un'umanità sorprendente. Non vedo l'ora di leggere il prossimo o i prossimi volumi di questa saga storica, perché lasciarsi andare tra queste pagine è stato facilissimo, e la storia narrata è davvero interessante. Le difficoltà del lavoro, del commercio, della famiglia e dei rapporti umani e sentimentali traspare in ogni singola pagina, in ogni battuta e in ogni riflessione perfettamente curata dalla penna elegante e schietta della Auci.
Aspettative? Zero. Pregiudizi? Milleduecento Grado di soddisfazione a fine lettura? Buono
Questo libro è come certi miei vecchi fidanzati, tizi che pensavo fossero dei deficienti patentati poi non si sono rivelati malaccio. Oppure io, che sembro la signorina snob, ma poi, giuro, sono simpatica.
La saga dei Florio, i Malavoglia che ci meritiamo nel 2020, è una storiella che ti si appiccica addosso e alla fine vuoi sapere di che morte bisogna morire,ma lo fa in maniera avvincente e furba. Ci sono tutti gli elementi giusti, i capitoli giusti, per farti girare pagina e farti immergere nei profumi di Sicilia. Basta? No. Ma la Auci mica pensava di essere Verga o Tomasi di Lampedusa che poi chissà quanti avranno fatto il compitino citazionistico e storto in naso.
A me è bastato per accompagnarmi in qualche notte insonne e in qualche ora in terrazza con un bicchiere di Negramaro in mano, ah gli ultimi rossi della stagione che sapore hanno in bocca.
Cada vez estou mais convicta de que as sagas familiares são o género que mais me delicia. Histórias de famílias que perduram ao longo dos anos, a passagem por várias gerações, elas próprias a atravessarem a passagem de décadas ou séculos até. Adoro ver a forma como a evolução dos tempos se reflete na vivência destas famílias.
Mumu' - per RFS . Chi è palermitano come me, sa che il nome Florio risuona prepotente tra le ville e i giardini della città, Palermo e i questi sono un binomio inscindibile. In realtà i Florio sono famosi più per quello che hanno saputo dare che per ciò che hanno effettivamente preso. Laddove si è estesa la loro mano è arrivata la ricchezza e se n’� tramandato il prestigio, fino ai giorni nostri. All’inizio del romanzo mi ha colpito particolarmente la descrizione della casa in cui vanno a vivere non appena sbarcano a Palermo, una catapecchia, paragonato a ciò che ci hanno lasciato ancora oggi in eredità. La Tonnara Florio, il Villino Florio, La Cantina Florio, il circuito automobilistico. Uomini dalla volontà di ferro, visionari, instancabili lavoratori. La loro voglia di emergere e affermarsi gli ha permesso di farsi strada tra l’élite cittadina, la stessa che non li ha mai realmente accettati, considerandoli dei ‘bottegai� arricchiti. Ma nulla è riuscito ad arrestare il loro desiderio di fama e successo.
A Vincenzo Florio dobbiamo l’idea della conservazione del tonno in lattina. Eh sì, perché fino all’innovazione di Vincenzo, il tonno si conservava sotto sale, sua l’idea del tonno sott’olio e la sua esportazione in tutta Europa! È grazie alla lavorazione del tonno sott’olio che egli ha trasformato Favignana da isola costituita da 4 capanne al gioiello che possiamo ammirare ancora oggi. Loro, figli e padroni di questa splendida isola!
La storia si apre con i primi Florio che si trasferiscono a Palermo: i fratelli Ignazio e Paolo.
I due hanno cominciato con una botteguccia di spezie ma nulla sembrava arrestare la loro determinazione. Nessuna scorciatoia. Nessuna raccomandazione. Ingegno e ferrea volontà, ecco il segreto del loro successo. Loro hanno piantato il seme, Vincenzo, figlio di Paolo, l’ha amorevolmente coltivato con ancor maggior determinazione. Dalla piccola bottega i suoi affari si sono spostati altrove, tonnara, zolfatare, farmacia; vista lunga quella di Don Vincenzo. Le vicende personali si mescolano a quelle cittadine. In questo libro si dà risalto alla grandezza di Palermo e ai suoi innumerevoli difetti; la città che era, e che avrebbe potuto essere. Nella descrizione dell’autrice, da buona palermitana, ho potuto cogliere l’occhio che guarda al passato e l’occhio che, inevitabilmente, si sofferma sul presente, su una città che, in fondo, rimane sempre uguale a se stessa.
La storia non è posta mai in modo tedioso, pur essendo un romanzo storico infatti riesce a coinvolgere il lettore in ogni sua sfumatura senza mai cadere in momenti di noia.
E se vi state chiedendo se vale la pena leggere una storia che a prima vista può sembrare del tutto palermitana, rammentate che i Florio sono da prendere come esempio da tutti noi. Uomini che non avevano nulla, ma che dal nulla hanno tirato fuori un vero impero! Stranieri in una terra che li considerava dei facchini, nobili che li guardavano dall’alto in basso nonostante fossero proprio questi a bussare alla loro porta per avere credito, una città che li disprezzava apertamente.
L’unica nota negativa di questo libro è che� a un certo punto finisce!
Quindi vi lascio a questa splendida lettura, augurandomi che anche voi la troviate altrettanto piacevole e interessante.
Ho fatto fatica a finire questa Saga. Dopo la prima metà del libro mi sono annoiata. Sapevo già come sarebbe andata avanti. Loro, poi alti, poi bassi, poi il figlio e poi e poi. No, non è Dickens, e neanche Tomasi Di Lampedusa o De Roberto. Troppo scontata e con poca personalità. Dispiace. Due stelle perché apprezzo l’impegno ma ho fatto fatica a finirlo.
Stefania Auci si è documentata parecchio, come afferma lei stessa nei ringraziamenti, per ricostruire e raccontare i Florio, una famiglia esistita davvero. Una famiglia molto simile a tante altre che, tra varie peripezie e accadimenti, riesce a diventare una delle più rinomate e ricche di Palermo, anche se si sentiranno sempre estranei nel territorio. La storia di questa famiglia copre gli anni che vanno dal 1799, anno in cui si trasferiscono a Palermo da Bagnara sino al 1868 che sancisce l'epilogo. Nel capoluogo siciliano, la famiglia Florio, ovvero i due fratelli capostipiti, costruiscono il proprio impero in un commercio che tocca vari ambiti: spezie, turismo, vino, ecc. I leoni di Sicilia è un romanzo che pullula di avidità, di non essere mai sazi di ciò che si ha perché si vuole sempre più, di potere, di successo con gli uomini che sono la base portante, mentre le donne sono le anime del focolare disposte a mettere da parte se stesse e la propria felicità per la stabilità della famiglia. Interessante come la scrittrice riesca a costruire una saga familiare con tutte le vicissitudini che comporta fino ad arrivare alla scalata al successo che va di pari passo con la storia d'Italia. Un affresco storico e familiare che rende merito alla Auci consacrando il successo che è riuscita a ottenere con questa sua opera.
Molto ben scritto ma la trama è troppo scontata, descrive con più passione gli oggetti e la ricchezza dei Florio che l'amore, io avrei fatto al contrario, più cuore e meno testa.
Libro bellissimo che non si limita a narrare solo la storia di come i fratelli Florio arrivarono a Palermo e iniziarono il loro duro lavoro. Stefania Auci è stata bravissima ,ha fatto delle ricerche , si è documentata in modo da poter scrivere correttamente tutte le vicende storiche che nei 60 anni in cui scorre il libro attraversarono la Sicilia . Uno tra questi, i famosi Moti del 1848 ,oppure lo sbarco di Garibaldi, che diventò dittatore della Sicilia . Un libro che consiglio di leggere.
Roman istoric prin excelență"Leii Siciliei" povestește începutul ascensiunii familiei Florio, sosirea acesteia în Palermo din Calabria natală și parcursul anevoios cu care, ca mici negustori și importatori de mirodenii, au putut să își impună numele uneia dintre casele cele mai cunoscute ale vremii în Sicilia și Europa.
Povestea se bazează pe cercetări istorice bine documentate de către autoare, începând cu anul 1799 și până în jurul anului 1870, când Sicilia sub stăpânirea dinastiei de Bourbon a fost cucerită de Garibaldi și a devenit parte a Regatului Italiei.
Sunt ani plini de evenimente istorice: miscarile de la 1848 care au dus la schimbări sociale profunde greu de înțeles și acceptat pentru cei care le-au trăit. Este un roman cu o poveste foarte umană redată prin viața și faptele personajelor.
În cadrul unor peisaje minunate din Sicilia prin care se amestecă mirosuri, culori, sărăcie și bogăție, locuite de grupuri etnice de-a lungul timpului, familia Florio a știut să întemeieze un imperiu folosindu-se de oportunitățile și comorile oferite de Sicilia.
Pornind de la importul și comercializarea condimentelor au putut să-și lărgească orizontul prin introducerea inovațiilor tehnice importate din Franța și Anglia, au privit mai departe, dar întotdeauna cu inima legată de Sicilia.
Hotărârea aproape inconștientă a fraților fondatori Paolo și Ignazio, războiul infinit al sotiei și cumnatei lui, Giuseppina care nu iartă că a fost smulsă din țara ei, caracterul dur, oportunist și lipsit de prejudecăți a fiului ei Vincenzo, adevăratul intemeietor al averilor casei Florio, previziunea Giuliei, soția lui, sunt toate ingredientele care fac din acest roman o lectură captivantă și care te îmbrățișează cu atmosfera sa, cu personajele sale atât de bine conturate, cu mirosurile și culorile pe care pare să le simti și să le vezi , iar în final rămâi cu o călătorie măcar imaginară pe străzile și porturile Siciliei.
Cieszę się, że postanowiłam zabrać „Sycylijskie lwy� Stefani Aucie (tłum. Tomasz Kwiecień) na moje totalnie chillaksowe i leżakowe wakacje. W Grecji podarowałam sobie kilka wspaniałych i rozkosznie długich dni na odpoczynek i leniwe polegiwanie na (niejednej) plaży i w tych okolicznościach powieść Aucie sprawdziła się wprost wybornie. To jedna z tych książek, które dają głowie zasłużony relaks, a jednocześnie nie wydają się absolutną stratą czasu (tak, czasem cierpię na kompletnie nieuzasadnione czytelnicze poczucie winy� ).
Aucie pisze o jednej z wielkich, szacownych włoskich rodzin, snując niespieszną (ok, czasem może troszkę zbyt niespieszną) narrację o historii, polityce i obyczajowości Włoch XIX wieku. Jest klimatycznie, lekko i angażująco. To, co na początku mnie zaskoczyło i niekoniecznie ucieszyło, to odkrycie, że fabularnie u Aucie nie dzieje się zbyt wiele � sagi rodzinne, po które zwykle sięgałam, obfitowały w wielkie wydarzenia i opisywały dzieje co najmniej kilku pokoleń dziadów, pradziadów i pociotków. Szybko odnalazłam ukojenie - okazało się, że bohaterowie „Sycylijskich lwów� nadrabiają prawdziwym włoskim temperamentem, który sprawia, że historia rodziny Florio staje się pełnokrwista i wciągająca. Ja sama nie mogłam się oderwać, wertowałam jak szalona.
Mi aspettavo grandi cose da questo romanzo, non vedevo l'ora di leggerlo, e quando ho cominciato mi sono trovata davanti una telenovela povera nel linguaggio e nel modo di raccontare. Perfetta come sceneggiatura per un futuro sceneggiato televisivo senza neanche tante pretese, e lo dico senza esserne felice perche' penso che i Florio meritino una biografia piu' ben fatta e raccontata. Sono adesso alla ricerca di un saggio su di loro, altrimenti mi consolero' con il podcast del radiodramma RAI che apparentemente e' molto bello. Peccato peccato peccato!
Don't ever read a book too many people are enthusiastic of. I am disappointed, because i thought it would be the new great Italian novel about one of its more famous families (the one who brought us the wine Marsala) in Sicily in the middle of so many important historical facts for the Italian history, but no, nothing at all. And so I'm disappointed. So many good chances thrown in the wind. I can't even express how empty I feel after reading 430 pages, expecting something great that never happens. Too frustrating to express properly. Oh, it's nice to read, it's entertaining, if you like keeping the surface, it's a "beach reading", but nothing more. It's like one of those tv shows that aren't so bad if you want to switch off your mind, but they leave you nothing. So, 2 stars only because it's written nicely and in the end reading it isn't so dramatic, but I think the critics and the ratings are too high.
3.5!! Divorato, semplicemente divorato. Stefania Auci sta primeggiando nelle classifiche di vendita per il suo “I leoni di Sicilia� e, una volta tanto, credo che l’hype sia meritato. Questo libro è davvero piacevolissimo ed è un gradito ritorno alle saghe familiari siciliane (il mio genere letterario preferito in assoluto). Questo primo volume, che spero sarà seguito dal secondo al più presto, racconta uno spaccato molto particolare della storia d’Italia: gli anni dell’Indipendenza, anni di instabilità continua. Ma in questi anni così complessi la famiglia dei Florio riesce a creare un impero commerciale dal nulla, da una botteguccia di spezie. Questi Florio sono realmente esistiti, ma Stefania Auci ne ha fatto materia di romanzo con capacità e piacevolezza. È una droga e voglio la nuova dose ASAP.
3,5 Piaciuto, non da strapparmi capelli e sentimenti ma è narrato in modo convincente; la lettura è scorrevole talvolta dilunganta ma anche saltando qualche riga qua e là il risultato non cambia, avvincente! Però quel Vincenzo mi sta proprio su... "i cabasisi!".
Come può il mio commento rendere giustizia a questo romanzo? È da leggere e da vivere. Ti trasporta e ti culla in una Palermo ottocentesca aspra e ruvida che tutto chiede e poco rende; dove gli scalini sociali sono sin troppo ripidi e scivolosi. Se sai cosa che vuoi, devi andartelo a prendere con le unghie e con i denti, e lo sanno bene i Florio, dalle umili origini, che hanno avuto l'arroganza di non accontentarsi di essere "i Bagnaroti". Uomini quasi estemporanei, alla continua ricerca del domani, di idee per il futuro. Una storia di forza e riscatto che vi farà venir voglia di migliorarvi giorno per giorno e non arrendervi mai, proprio come i Florio. Scritto estremamente bene, Stefania Auci è stata una penna sapiente e al contempo interessante. I fatti storici rendono il tutto palpabile ed entusiasmante. Emozionante e mai stucchevole, lo rileggerei domani stesso! Prossimo viaggio: Palermo. I Florio mi hanno stregata!