|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
my rating |
|
|
|
|
|
|
|
![]() |
|
|
||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
8842931535
| 9788842931539
| 8842931535
| 3.97
| 16,772
| May 06, 2019
| May 06, 2019
|
it was ok
|
Per cominciare a scrivere un commento su questo bestseller di massa (18 edizioni e forse non finiranno!), devo citare un thread postato dieci anni fa
Per cominciare a scrivere un commento su questo bestseller di massa (18 edizioni e forse non finiranno!), devo citare un thread postato dieci anni fa sul Blog di Loredana Lipperini, la nota giornalista scrittrice di Radio 3. E non a caso Stefania Auci faceva parte di quell'area già all'epoca (mamma mia come passa il tempo): all'epoca autrice di paranormal Romance esattamente come Lipperini, ed esattamente come Lipperini donna di cultura dell'area della sinistra femminista, impegnata da sempre a togliere quell'area di irraggiungibilità all'alta letteratura che da sempre nega rispettabilità ad un modo di scrivere diciamo più facilmente accessibile. Il thread si chiamava "letterarietà " ed è stato qualcosa che potrei dire epocale per un appassionato di lettura. E' ancora online: è rimasto attuale anche oggi. In un' interminabile schermaglia letteraria che si dilungò fino ad oltre 700 commenti si confrontarono scrittori come Wu Ming, Antonio Moresco, Tiziano Scarpa, Antonio Scurati ed altri; critici letterari come Andrea Cortellessa e Gilda Policastro; e poi editors, giudici letterari, ed incredibile a credersi, anche lettori. Qual era il punto della questione? Proprio la legittimità o meno di poter dare la patente di letterarietà , ed in parallelo la possibilità di dedicare energie al suo studio, ad un modo di scrivere meno impegnato e difficile, che si dia l'obiettivo di essere accessibile ai più. Tutto questo potendo o meno togliere risorse alla letteratura astrusa e difficile ma che si dà il merito di guardare avanti, di essere ambiziosa (ricordo una frase di Ottonieri che sembrava ostrogoto). All'epoca ero senza se e senza ma dalla parte del signor Ming e dei paladini di una letteratura più "facile" (estremismo dovuto in parte all'insopportabile spocchia mostrata in quel momento da Gilda Policastro), ma adesso con dieci anni di letture intense sulle spalle, non ne sono più così sicuro. Veniamo dunque ai "Leoni di Sicilia", che dieci anni dopo mette in pieno il dito nella piaga: è un esempio di un libro che vuole essere importante e ben scritto, che manifesta un impegno preparatorio notevole ma, probabilmente nell'ansia di essere leggibile ed aperto al grande pubblico, è sciatto e tirato via in modo a dir poco irritante. Il tutto da un'autrice contigua sicuramente a quell'ambiente di romanzo "medio" che proprio col signor Ming ho molto apprezzato. Auci viene dal paranormal romance, ed affronta con questo libro un genere parallelo: quello dello storico sentimentale: l'ambientazione (la Sicilia dell'unità ) e la scelta dei protagonisti (la grandissima famiglia Florio che fu di fatto la fondatrice di un nuovo modo di produrre il Marsala per tutto il mondo) è la più ambiziosa e sfortunata possibile. Ambiziosa e sfortunata perchè se si vuole scrivere un romanzo sulla Sicilia dell' unità , della fine del feudalesimo, vuoi non vuoi ti devi confrontare con Don Fabrizio Corbera, principe di Salina. Che al confronto con questo don Vincenzo Florio che ha lo spessore di un personaggio di Harmony è come paragonare il Gattopardo ad un cucciolino bagnato. Chi ha amato il Gattopardo può arrivare a sentire rabbia per come la Sicilia viene raccontata in "I leoni di Sicilia", anzi per come non viene raccontata. Perchè si capisce benissimo che il momento storico cruciale per Auci non è importante, fa solo da sfondo per la storia sentimentale che è quella che veramente conta. Lo dimostra il fatto che le sofferenze, i pensieri e le decisioni di Don Vincenzo ed Ignazio Florio non sono mai influenzati dalle turbolenze dell'epoca. Mai. Un colpo di tosse dell'amata di turno li sconvolge dieci volte tanto l'invasione garibaldina della Sicilia o i fatti di Bronte, per capirsi. Vincenzo Consolo fatti da parte, poveretto. Turbolenze che tra l'altro spesso sono tirate via in poche pagine per tornare a parlare della relazione sentimentale lunga una vita. Allo stesso modo, ne "I leoni di Sicilia" semplicemente la Sicilia non c'è. O comunque molto poco. Se decidi di scrivere un romanzo sulla famiglia Florio e sul vino, un prodotto che ha segnato per millenni la cultura di quella terra, quella passione per la terra, per il sole, per il vino si deve vedere. Invece niente, viene tutto liquidato in poche asettiche pagine. Giusto per fare un paragone, mi viene in mente Don Fabrizio che passeggia su una piana di terra secca che si spacca come la creta, sotto un sole spietato e nemico che ride degli sforzi degli uomini (parlare della Sicilia senza parlare del sole significa non parlarne), e mangia un acino di uva così dolce quanto brutta da vedere, e che più soffre sotto il sole più migliora: l' Inzolia (non sto citando alla lettera). In tre righe Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha raccontato della Sicilia, dei suoi vitigni, del suo clima più che la Auci di tutto il libro. E Giuseppe Tomasi di Lampedusa non stava parlando di produttori di vino, la Auci invece si. La quale tra l'altro incappa in un incredibile errore dicendo (se non ricordo male, E SPERO DI RICORDARE MALE) che i Florio si appropriavano di vigneti di Grillo all' inizio dell' ottocento, quando il Grillo come vitigno è nato a Favara sul finire dell' 800 da un incrocio tra Catarratto e Zibibbo. E infatti fino ad allora il Marsala si faceva con il Catarratto, l' Inzolia e lo Zibibbo, appunto. Non sono dettagli, quando il protagonista del tuo libro è Don Vincenzo Florio sono errori gravi. Sia ben chiaro, scrivere un romanzo sentimentale non è mica una bestemmia, tutt'altro. Altissima letteratura è stata fatta su temi di introspezione. "Narciso e Boccadoro" di Hermann Hesse, giusto per fare l'esempio che sto affrontando adesso. Solo che a mio avviso anche nelle pagine sentimentali il libro è scritto male lo stesso. Dialoghi abbozzati e brevissimi che si ripetono sempre uguali lungo tutte le centinaia e centinaia di pagine del libro, storia banale che più banale non si può (giovane ragazza sedotta dal mercante ambizioso che però vuole diventare nobile), rime baciate cuore amore che neanche il miglior Toto Cutugno...ho fatto davvero fatica ad arrivare alla fine. Delle infinite sfumature di pensieri sentimenti e stati d'animo che coinvolgono una persona innamorata, resta invece molto poco. Lo stile è semplice e piano, con frasi brevi a sintassi paratattica che si susseguono una dopo l'altra. Nella sua semplicità la scrittura mi sembra ben curata. Credo che sia stato un gesto di Umiltà da parte di Auci, volendo scrivere un libro leggero e leggibile, non strafare con eccessi baroccheggianti. Che pure ci potevano stare e sarebbero stati apprezzati, visto che siamo nella terra del barocco della Val di Noto, di Vincenzo Consolo, di Gesualdo Bufalino e di Leonardo Sciascia, che di quella scrittura così grassa avevano fatto un fiore all'occhiello della letteratura siciliana. Ho il fortissimo sospetto che "I leoni di Sicilia" sia stato scritto come se fosse stato una sceneggiatura televisiva, e non mi stupirebbe affatto scoprire che ne faranno una serie. E come tutto ciò che è televisivo, ha poco per piacere a chi legge già molto e molto per piacere a chi di solito non legge. E qui si torna a Loredana Lipperini ed a "Letterarietà ". Fino a che punto si può condannare un libro che agli occhi di un esperto può apparire troppo commerciale se ha comunque il merito di riavvicinare alla lettura decine di migliaia di lettori deboli? In altre parole, è legittimo sperare che dopo aver letto "I leoni di Sicilia" qualcuno decida di prendere in mano "Il gattopardo"? Dieci anni fa avrei detto che è legittimo sicuramente, adesso non ne sono più così sicuro. Ma forse, volendo semplificare, anche un libro che si rivolge ad un pubbliuco vasto necessita comunque di maggior cura, come Wu Ming ed i vari Q e Manituana stanno a dimostrare. Per la versione audible, non male la scelta di Ninni Bruschetta, il cui accento siciliano restituisce credibilità al libro. ...more |
Notes are private!
|
1
|
Jun 11, 2020
|
Jul 28, 2020
|
Dec 07, 2019
|
Paperback
| |||||||||||||||
8804713259
| 9788804713258
| 8804713259
| 3.49
| 55
| Sep 10, 2019
| Sep 10, 2019
|
really liked it
|
Basta dare un colpo d'occhio alla mia libreria per capire che tra le terre dove vorrei sempre ritornare la Sicilia ha un posto principalissimo. Non pe
Basta dare un colpo d'occhio alla mia libreria per capire che tra le terre dove vorrei sempre ritornare la Sicilia ha un posto principalissimo. Non per niente ha uno scaffale dedicato. Negli ultimi anni ho per fortuna sempre avuto modo di tornare in quell'isola meravigliosa, e quando non lo posso fare viaggiando lo faccio con le letture: da Leonardo Sciascia a Gesualdo Bufalino, da Andrea Camilleri a Simonetta Hornby, da Gesualdo Bufalino a Dacia Maraini a Vincenzo Consolo fino all'immenso capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa le occasioni di certo non mancano. Questo "siamo Palermo" fa eccezione perchè non è un romanzo nè nella struttura nè nelle intenzioni. E' una passeggiata, una scoperta di angoli caratteristici quanto sconosciuti del capoluogo siculo che hanno la possibilità di raccontare più da vicino quella città millenaria che ha conosciuto così tante civilizzazioni diverse. La parte raccontata dalla Hornby è quella che mi ha colpito meno, non solo perchè conoscevo già la sua storia e le sue opere, ma soprattutto perchè lei, donna ribelle in una società patriarcale, figlia giovane di una famiglia nobile convertitasi con successo in borghese, incarna molto bene quella radice reale che fa da base a tanti stereotipi sulla decaduta nobiltà siciliana. Stereotipi di cui si è letto molto (forse troppo: ma dei "leoni di Sicilia " parlerò quando sarà il momento.) La vera scoperta è invece quella di Mimmo Cuticchio, quel vecchio insciarpato dal sorriso accattivante che ammicca dalla quarta di copertina. Ha la faccia di uno col quale vorresti andare a cena una sera. Se poi scopri che è uno degli ultimi maestri di quell'arte meravigliosa e morente che è l'opera dei pupi, arte capace come nessuna di raccontare la Sicilia e la sua gente, la voglia raddoppia. Ho la sensazione di non poter dire di aver imparato qualcosa della Sicilia se non si è capito come è possibile che per secoli sulla bocca dei servi della gleba delle miniere e del feudalesimo siciliano abbiano potuto comparire i nomi di Orlando e dei dodici paladini dell' imperatore, sia pure associati a quelli di bellissime marionette che popolano un palco. Che cosa resta dunque,dopo aver girato l'ultima pagina, dopo aver fatto l'ultimo passo di questa passeggiata? dal punto di vista quantitativo, forse poco per chi amava già da prima la letteratura siciliana. In realtà tra queste pagine le immagini ed i caratteri visti e rivisti si colorano di un'infinità di sfumature che nessun romanzo (forse proprio il gattopardo fa eccezione) potrà mai dare con tanta vita come le descrizioni di un vecchio maestro dell'opera dei pupi e di una anziana signora della piccola nobiltà decaduta divenuta magistrato inglese. Ad ottobre tornerò a Palermo (Sars-Coronavirus-2 permettendo). Forse, mi convincerò a portare questo libriccino con me. ...more |
Notes are private!
|
1
|
Jun 22, 2020
|
Jul 02, 2020
|
Nov 28, 2019
|
Paperback
| |||||||||||||||
8898451016
| 9788898451012
| 8898451016
| 3.50
| 6
| Oct 01, 2014
| Oct 2014
|
liked it
|
Una promettente raccolta di racconti di giovani scrittori siciliani, redatta e per così dire monoambientata da Antonio Pagliaro, di cui avevo apprezza
Una promettente raccolta di racconti di giovani scrittori siciliani, redatta e per così dire monoambientata da Antonio Pagliaro, di cui avevo apprezzato a suo tempo "I cani di via Lincoln", sempre per Laurana. Dato anche il mio recente quanto irrimediabile innamoramento per la Sicilia, questo mosaico su Palermo risultava quanto mai attraente: ma come ogni volta che le aspettative sono un po' troppo alte ne sono rimasto deluso, forse più di quanto non sia oggettivamente giusto. Si, perché in fondo si sta parlando di un altro capitolo della collana Rimmel, interessata a rappresentare l'Italia contemporanea con un taglio postmoderno, urbanistico, direi quasi underground: e Palermo non poteva fare eccezione. Il punto è che quello che di recente mi dà fastidio di molta letteratura mainstream ma anche alternativa ambientata in Italia, è che semplicemente l'ambientazione non si vede, non emerge. Spesso i luoghi sono solo un nome. Un esempio clamoroso ma potrei dirne mille altri è "La ferocia" di Nicola La Gioia, e questo vale anche per la "Palermo criminale" di Pagliaro ed i suoi compari, solo che mi sorprendo a pensare che, forse, in questo caso sia giusto così. Non è forse vero che le periferie degradate dell' Italia del secolo ventunesimo bene o male si somigliano tutte? Sicuramente si. Ed è proprio la perdita di identità legata a questo appiattirsi sul cemento (ma anche sulla droga, sulla perversione sessuale, tutto sempre uguale a se stesso) che questa collana vuole raccontare. Parliamo tra l'altro di racconti scritti in modo tecnicamente perfetto, pagine che scivolano via velocemente ma che comunque riescono a raccontare molto. Pur tra un'ingenuità e l'altra (perversioni sessuali che emergono all'ultima riga, roba che mi fa ricordare il peperoncino nel piatto per mascherare il fatto che la carne è marcia), la mano o comunque l'inluenza della bottega di narrazione di Mozzi, Garlisi, Dadati e soci si vede eccome. Io credo che il bilancio di "Palermo criminale" e delle sue periferie sia comunque positivo. Perché è una possibilità data a tanti scrittori dell' underground siciliano di avere visibilità , ed è comunque la dimostrazione che si può ancora scrivere in modo leggero, fluente e curato anche al giorno d'oggi. Paradossalmente, mi sono piaciute le pagine in cui si dà notizia di ciascuno degli autori isolani di questi racconti, insieme con le sue attività culturali. Ma, e qui sta il punto, se un romanzo o un racconto si ambienta in Sicilia, la Sicilia si deve vedere. Perché quella terra è troppo importante e scandalosamente bella per nascondersi anche solo dietro la dichiarazione di poetica di una intera collana di narrativa. Per chi decidesse di leggere questa raccolta quindi, sicuramente si cade in piedi. Ma per incontrare la Sicilia bisogna rivolgersi altrove. (E non è che le occasioni manchino: Sciascia, Consolo, Bufalino, Maraini, La Spina, Hornby, Camilleri�.) ...more |
Notes are private!
|
1
|
May 21, 2020
|
Jun 02, 2020
|
Nov 15, 2019
|
Paperback
| |||||||||||||||
8845291529
| 9788845291524
| 8845291529
| 4.02
| 1,258
| 1981
| Aug 07, 2001
|
liked it
|
Per puro caso incontro un altro pilastro della letteratura siciliana, del quale sapevo pressochè nulla. Vedi a volte la fortuna. In effetti è stato fa
Per puro caso incontro un altro pilastro della letteratura siciliana, del quale sapevo pressochè nulla. Vedi a volte la fortuna. In effetti è stato facile verificare che Gesualdo Bufalino insieme con Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo è una delle pietre miliari della letteratura isolana del secondo novecento, e a ragione. L'intervista proprio tra Sciascia e Bufalino che fa da prefazione a questo "Diceria dell' untore" sembra peraltro confermare che stiamo parlando della sua opera principe (ala quale ha dedicato più di dieci anni!), che quindi vale assolutamente la pena di leggere. E' un libro non facile ma sicuramente importante, che si presta ad una duplice lettura. Da una parte la terribile esperienza della tisi e del sanatorio/lazzaretto in un' Italia che usciva dalla seconda guerra mondiale distrutta ed in preda alla fame; dall'altra il poderoso esperimento linguistico che fa dello scrittore di Comiso uno dei maestri del bello scrivere. Guardare in faccia alla morte all'interno di un lebbrosario, vittima di un contagio e rinchiuso come in carcere tra coloro che sono i tuoi compagni di sventura ma anche, perchè no, i tuoi assassini. E' un'esperienza umana spaventosa che già Albert Camus aveva decritto magistralmente nell' imperdibile "La peste", ma questo "Diceria dell' untore" è all'altezza della situazione, dimostrando una sensibilità per le pulsioni umane di fronte alla tragedia che non ha nulla da invidiare a quella del grande premio Nobel franco algerino. Lo scontro tra amore e morte, il dualismo tra rassegnazione e vocazione alla vita, lo straniamento di fronte alla storia, il lugubre senso di colpa di chi si scopre sopravvissuto di fronte agli amici che saranno condannati a morte, nulla manca all' interno delle quattro mura della Rocca che domina la Conca d' oro di Palermo. Altrettanto importante è l'aspetto linguistico. Bufalino è scrittore della Sicilia Iblea: il suo italiano è baroccheggiante e fiammeggiante di metafore in modo altrettanto baroccheggiante che l'architettura della sua terra. Beninteso ci si rende perfettamente conto che tanta opulenza grassezza linguistica non è immediata in bocca ad un condannato a morte, ma da un lato (come viene indicato nella postfazione) il recupero delle massime potenzialità della nostra lingua è una irrinunciabile vocazione di Bufalino, dall'altro la condanna del contagio porta ad essere drammatici in modo quasi eroico nel modo di sentire ma anche nel modo di parlare. Per chi volesse aprire un libro ricercando il godimento della scelta di ogni singola parola, questo è il libro giusto, anche se bisogna precisare che non c'è niente di compiaciuto, di esibito, quasi di sbruffonesco. Non siamo davanti a certi libri di Michele Mari, per intendersi. Queste pagine sono un servizio alla lingua italiana, non una vanteria. E' un modo di scrivere che non mi ha mai attratto, preferisco le parole che riescono a dire molto con poco (e lo stesso Bufalino condivideva questa ammirazione): ma è innegabile che soprattutto nei tempi nostri ("Diceria dell' untore" è stato scritto trent'anni fa!) il rischio di vedere impoverirsi la nostra lingua sempre più è sempre più concreto. Ben vengano dunuqe grandi libri come questo, scritti in questo modo. ...more |
Notes are private!
|
1
|
Apr 05, 2019
|
Apr 13, 2019
|
Jun 25, 2018
|
Paperback
| |||||||||||||||
8804356480
| 9788804356486
| 8804356480
| unknown
| 3.90
| 41
| 1992
| 1992
|
really liked it
|
Il corpo delle donne. Mi ero approcciato a questo libro attratto dalla mia (recente) passione per il teatro insieme quella (altrettanto recente) per la Il corpo delle donne. Mi ero approcciato a questo libro attratto dalla mia (recente) passione per il teatro insieme quella (altrettanto recente) per la Sicilia: una combinazione che in Luigi Pirandello diventa vincente. Ma non per le ragioni che mi aspettavo. Il punto è che oltre alla leggendaria "piece" la patente, questo libro riporta altre due commedie dello stesso periodo (1917-1919), che pur essendo di un secolo fa portano avanti il tema formidabilmente attuale del corpo delle donne. E' cosa nota che, senza che questo ne sminuisse il genio, Luigi Pirandello portasse con se una idea arcaica, tormentosa, diffidente e quasi immorale del mondo femminile. Il grande letterato di Girgenti non è mai stato in grado di superare il dualismo tra l'amante e la madre: tra la donna come oggetto di amore e di passione, e la donna intesa come puro corpo, come macchina riproduttrice che non può venir meno alla sua missione di madre pena la perdita di ogni sorta di dignità umana. Questo dualismo, unito al fatto che entrambe le due visioni restituiscono un rapporto con il corpo delle donne fatto di puro possesso, è il dramma del teatro pirandelliano quando parla al femminile, e per inciso è anche uno dei drammi più spaventosi della nostra realtà sociale. Sono convinto infatti che nel nostro essere incapaci di superare questa concezione riduttiva del femminile nella comunità stanno le radici della violenza, dello stupro, del femminicidio. E del rapporto della donna con lo stupro parla la prima delle tre opere, "L'innesto". Come può sopravvivere l'amore tra un uomo e una donna se questo viene barbaramente attaccato e messo in discussione da un immondo stupro, che per di più lascia dietro di sé l'onta indelebile di un figlio della violenza? L'essere donna di Laura è messo in discussione sia come amante (perchè il suo corpo è stato violato da un PADRONE che non è quello legittimo), che come potenziale madre (perchè il figlio che porta in grembo non nasce da un rapporto riconosciuto). nell'arcaica società dell'Italia di quegli anni non sono previste altre possibilità . Ma il vero dramma, ciò che rende "L'innesto" un' opera sorprendentemente moderna, è quello del marito Giorgio Banti. Costui è una persona così gretta che non riesce a pensare l'amore per la moglie se non in termini di possesso: a causa della sua debolezza ed immaturità (non fa che piangere per tutta la commedia) si sente messo in discussione nella sua posizione di padrone del corpo della moglie, e per questo arriverà a pensare al femminicidio ed all'aborto. Stupro, femminicidio, aborto: parole purtroppo molto attuali in un'opera di cento anni fa. Quanto avanti era Luigi Pirandello rispetto ai suoi tempi, e quanto picchia duro il suo umorismo. Occorreranno a Giorgio ed a Laura una lenta e dolorosa presa di coscienza per superare gli schemi preconcetti di relazione di quei tempi, e ripensare il loro rapporto in modo tale da salvarlo da questa terribile esperienza. Il corpo di Laura viene assimilato (in maniera incisiva ma terribile) a quello di una pianta che ha dovuto essere potata ed innestata (lo stupro) per dare frutto (il bambino-Giorgio è sterile). "L'uomo, la bestia e la virtù" ritorna ancora una volta sul tema del corpo della donna. L'ambivalenza della VIRTUOSA (sic) signora Perella tra la fedeltà ad un modello di donna moralistico e matriarcale ma vuoto e lo strizzare l'occhio alla perversione, alla seduzione, per trarre in inganno il bifolco marito che aveva precedentemente tradito a causa della sua distanza e della sua crudeltà . Anche qui viene riproposta una donna dilaniata tra i ruoli di madre e seduttrice, che sono visti come incompatibili. Anche qui, la donna viene assimilata ad un vegetale, una pianta il cui frutto deve essere colto: anche qui c'è la sgradevole idea del corpo femminile come macchina per figliare. Questa commedia mi ha tuttavia colpito meno perchè tutto è assai più giocoso, clownesco, irridente, tradizionale. Che dire del "la patente"? La fama di questo atto unico è talmente leggendaria che quasi non vale la pena di parlarne. Ma se quasi tutti lo hanno letto ed apprezzato almeno a scuola, mi permetto di consigliarne una rilettura per gustare ancora una volta la portata umoristica di un personaggio indimenticabile come lo iettatore Chiarchiaro. E magari perdere qualche minuto in una riflessione dolce amara su quanto sia facile anche ai tempi nostri cedere alla tentazione di designare una vittima, un debole come capro espiatorio di tutte le nostre insicurezze (chiunque, basta che non sia io). La parola "Bullismo" al contrario di quelle scritte sopra, in Pirandello non si trova; ma il dramma c'è già tutto. Sono tre opere teatrali che hanno cent'anni, e che ai tempi non ebbero neppure troppo successo (come le recensioni coeve riportate in fondo al testo dimostrano - spicca quella nientemeno che di Antonio Gramsci): mi viene il dubbio che non abbiano avuto successo semplicemente perchè troppo avanti per il gusto delle persone comuni di quegli anni. ...more |
Notes are private!
|
1
|
Feb 28, 2018
|
Mar 05, 2018
|
Oct 17, 2017
|
Paperback
| ||||||||||||||
8809815998
| 9788809815995
| 8809815998
| 3.58
| 26
| unknown
| Nov 04, 2015
|
liked it
|
Quando mi è capitato di leggere un accenno a questo libro, ho pensato fin dal primo momento che avrei dovuto leggerlo senza esitazioni. Perchè non sol
Quando mi è capitato di leggere un accenno a questo libro, ho pensato fin dal primo momento che avrei dovuto leggerlo senza esitazioni. Perchè non solo mi coglie nella fase più critica dell'incantesimo che la Sicilia e la sua letteratura mi hanno tirato addosso, ma si propone di presentare la vita di uno degli artisti più affascinanti della storia dell'arte isolana e dell' Italia intera. Che periodo il quattrocento per l'arte, e che personaggio Antonello da Messina! Pochi come lui hanno saputo interpretare quel mescolarsi tra l'angoscia tutta medievale della morte e del peccato con l'ansia di conoscere e di dominare dell'umanesimo e del rinascimento. I ritratti di Antonello non sono solo estremamente innovativi per quegli anni, ma lasciano incantati e sgomenti anche ai nostri tempi, per coloro che li sappiano guardare. Non stupisce che un altro grande scrittore siciliano come Vincenzo Consolo abbia trovato il tempo e le forze per dedicare un libro intero al sorriso di quell'ignoto marinaio che da secoli lascia perplesso lo spettatore incauto che lo incroci. Libro denso, grasso della scrittura barocca e del rancore siciliano, quello di Consolo quanto smaccatamente leggero, piacione, voltapagina questo "L'uomo che veniva da Messina". Voltapagina in senso almeno parzialmente positivo, ci tengo a dirlo. E' una biografia scritta benissimo molto piacevole da leggere, con una sintassi piana e mai faticosa, le pause ed i cambi di tempo tutti al posto giusto: si beve tutto d'un fiato in poche ore e lascia un senso di soddisfazione. Eppure. Eppure almeno in parte da fresco cultore di letteratura siciliana sono rimasto deluso. Perchè la fluidità e la facilità di lettura di questo romanzo in buona parte derivano dal fatto che alla fine della fiera è una storia superficiale, abbozzata, che racconta ben poco. Un romanzo sulla Sicilia e sul Quattrocento io lo vado a prendere di corsa, solo che qui ho trovato pochissima Sicilia (peraltro il messinese dal punto di vista culturale era assai più veneziano ed addirittura fiammingo che isolano), ed ancora meno il quattrocento. Gli splendidi scenari della serenissima repubblica di Venezia, del castello sforzesco, di quel calderone economico e culturale che furono le Fiandre, sono solo raccontati. Tutto resta parola scritta, l'immaginario è fiacco e poco potente. Allo stesso modo gli uomini di un'epoca così decisiva per la nostra storia mi aspettavo che emergessero con una sensibilità ed una profondità tanto drammatiche quanto diverse dalle nostre. Non posso credere che artisti che ci hanno consegnato immensi capolavori come Piero della Francesca, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini ma anche condottieri unici anche ai loro tempi come Lodovico il Moro avessero una visione del mondo, un modo di condurre la propria vita così piatto e banale. Vero è che Silvana la Spina ha prestato grande attenzione a non scrivere un libro erudito e didascalico ma un' opera chiara e leggibile, ma questo ha impoverito davvero troppo l'immaginario e la caratterizzazione dei personaggi. E se si sceglie un'ambientazione più unica che rara come questa, questo problema si vede eccome. pure, mi sembra di capire che ci sia stato un intento deliberato di presentare il protagonista Antonello da Messina ed i suoi formidabili colleghi come persone normali, con le loro debolezze umane, le loro ansie, i loro desideri. Credo di non essere d'accordo. Sono convinto che artigiani ed artisti che hanno cambiato il corso della storia con opere indimenticabili non possono avere avuto in ogni caso una sensibilità ed una percezione del mondo comuni, nel bene e nel male. E proprio gli sguardi magnetici e tormentati degli uomini dei ritratti, che hanno lasciati riflessivi ed incantati generazioni di pittori e scrittori, stanno lì a dimostrarlo. Va benissimo scrivere un romanzo divulgativo leggero e piacevole, soprattutto per chi si avvicina a questi temi per la prima volta. Ma la grandezza sta nello scrivere un libro che gira la pagina ma che sia anche pieno di contenuti. Per chi si volesse avvicinare alla Sicilia ed al rinascimento siciliano per la prima volta, questo è un buon modo per cominciare. per chi è già addentro alla letteratura ed all'arte isolana da tempo è un romanzo troppo leggero e che aggiunge poco. Tre stelle. ...more |
Notes are private!
|
1
|
Jan 26, 2018
|
Feb 03, 2018
|
Oct 06, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
8858824962
| 9788858824962
| B01DPO3RWU
| 3.67
| 1,993
| Apr 28, 2016
| Apr 28, 2016
|
really liked it
|
Quando ho girato l'ultima pagina di "caffè amaro" (si fa per dire: era un audiolibro) ho pensato che questa volta Simonetta Agnello Hornby ha rischiat
Quando ho girato l'ultima pagina di "caffè amaro" (si fa per dire: era un audiolibro) ho pensato che questa volta Simonetta Agnello Hornby ha rischiato grosso. ha rischiato grosso perchè per ambientazione ed argomento questo libro era di quelli che rischiavano seriamente di non piacermi: non amo le biografie reali o romanzate, tantomeno quelle di persone di ambiente neoborghese bell'époque. E invece anche qui attraverso la vita e le battaglie di Maria Marra si trova il modo di parlarci della Sicilia, e attraverso di essa di cosa deve essere stato vivere in quel sanguinoso tempo che fu la prima metà del Novecento. Argomento potente ed interessante come pochi. Chi conosce la vita dell'autrice sa che è una donna che ha dovuto lottare per affermarsi, e quella spaventosa lotta che ha dovuto affrontare in quanto donna, siciliana ed emigrante la trasmette sempre in tutti i suoi libri. E' per questo che mi piace. Certo è un libro un po' troppo lungo, che come ogni libro che si ancora ad un realismo troppo forzato fatica a tenere ancorato il lettore alla storia con il ritmo incalzante dell'azione: ogni forma di genere letterario del resto deve comunque avvincere, mentre invece troppo spesso la vita avvincente non è; ed è forse per questo che è così tanto difficile scrivere romanzi biografici. Resta sullo sfondo e poco utilizzato l'incredibile talento della Hornby nel descrivere panorami, ambientazione borghese porta la scrittrice siculo-britannica a dilungarsi in scenari da amica di nonna speranza di gozzaniana memoria. Se è vero che non è affatto un mistero la sua predilezione per la cucina, per il vestiario, per il dilungarsi nel descrivere dettagli che messi nell'insieme compongono l'eleganza di una casa, è anche vero che secondo me le meravigliose poche pagine che si ambientano nel deserto libico valgono da sole più di tutto il libro, per quel che riguarda l'ambientazione. E poi c'è la storia. Se si decide di guardare alla prima metà del Novecento in Sicilia, bisogna confrontarsi col fascismo, e con la guerra: con la miseria più nera e con la fame che ne sono derivati. "Caffè amaro" diventa uno strumento importante per capire la Sicilia e perchè l'impronta antifascista isolana sia rimasta sempre labile, nonostante l'autrice che tra l'altro è un magistrato in Inghilterra sia perfettamente consapevole della criminalità del regime di Mussolini, e lo dichiari più volte anche in questo libro. La nera miseria dei popoli siciliani è il risultato di un risorgimento monco e fallimentare, che ha visto l'annessione dell' Italia meridionale molto più come la creazione di un dominio coloniale che come il coronamento dell'unità . L'ideologica spietatezza dei liberali nell'asservire i lavoratori alla macchina (con un cinismo che arriva ad includere l'alleanza con la mafia nascente) ha fatto il resto, e poche volte come in queste pagine si capisce come il fascismo in Sicilia sia stato più di tutto il desiderio di garantirsi la sopravvivenza a qualsiasi prezzo, anche quello della libertà . Il fatto che in Sicilia non ci sia stata una lotta partigiana (è stata liberata prestissimo) e che quindi per sua fortuna non abbia vissuto gli orrori repubblichini, l'alleanza esplicita degli angloamericani con la mafia, la restaurazione del regime liberale che tante sofferenze aveva imposto hanno confuso le idee delle masse ignoranti che solo in tempi recentissimi hanno maturato una consapevolezza di che cosa il fascismo sia realmente stato. Ingannati da queste distorsioni, ne patiranno le tragiche conseguenze gli ebrei siciliani, rappresentati nel romanzo dall'ardente Giosuè, che per tanti anni aderiranno appassionatamente al fascismo fino a che l'assassino di Predappio non venderà le loro vite al nazismo senza rimorsi né ripensamenti. E' un libro utile e pieno di temi, ma di certo non è alta letteratura né ambisce ad esserlo. Il personaggio della protagonista Maria è troppo idealizzato, poco realistico nel suo essere perfetta da tutti i punti di vista. se sono rappresentate molto bene le lotte e le amarezze che una donna di quella generazione doveva affrontare per arrivare alla felicità , pure la donna su cui "caffè amaro" si focalizza è talmente priva di debolezze che semplicemente non è umana. Molto meglio riusciti e molto più vivi nella loro tormentata complessità sono il marito Pietro Sala e Giosuè, l'ebreo siciliano che ama Maria di un amore impossibile e disperato (fino allo sdolcinato lieto fine del romanzo). E' un libro che paga tutte le debolezze intrinseche ai romanzi biografici, nel quale per di più gli strumenti narrativi che secondo me rendono Simonetta Agnello Hornby una grandissima scrittrice restano sullo sfondo. Ma la lucida chiarezza con cui ci viene raccontato come la Sicilia ha vissuto il fascismo e le guerre mondiali, la capacità (che già aveva mostrato altre volte) che viene mostrata di resistere a tentazioni feuillettonesche o veriste similverghiane valgono da sole la lettura. Secondo me "Caffè amaro" sta immensamente sopra qualunque libro di Elsa Morante o di Sibilla Aleramo, per dire. Però la prossima volta, Simonetta, torna a parlarci di quel mare, di quel sole spietato, di quei canti che si uniscono al frinire delle cicale. Ti vengono meglio. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
Jan 23, 2018
|
Oct 05, 2017
|
Kindle Edition
| |||||||||||||||
8807883821
| 9788807883828
| 8807883821
| 4.01
| 42,371
| Nov 11, 1958
| Feb 01, 2018
|
it was amazing
|
Oramai è chiaro, la mia vita di lettore non può fare a meno di questa terra meravigliosa e terribile; in base non si sa a quali strani meccanismi, per
Oramai è chiaro, la mia vita di lettore non può fare a meno di questa terra meravigliosa e terribile; in base non si sa a quali strani meccanismi, periodicamente un romanzo di questa terra mi torna sempre in mano. Ma !Il gattopardo" non è un libro come gli altri. Un immenso capolavoro che oltre a dipingere il passaggio dell' isola del sole alla sua travagliata modernità , consegna al lettore la figura del principe di salina, uno dei più grandi personaggi della nostra letteratura. La Sicilia. Ma è una Sicilia diversa da quella di Vincenzo Consolo, o di Simonetta Agnello Hornby, per esempio. Vero è che torna anche qui quella natura esagerata, invasiva dal quale nessuna vita umana può prescindere: ma non è una natura amichevole. Anzi, l'infernale sole estivo sotto il quale soffre una terra riarsa che si spacca come la creta, il mare che (simile al mare di Verga) caccia via da sé coi suoi ruggiti una umanità assetata, sono i peggiori nemici davanti ai quali l'uomo siciliano può opporre solo la corazza di una corrucciata e silenziosa rassegnazione. Come ci può essere voglia di crescere, come può guardare al futuro una umanità che sei mesi all'anno patisce sotto un sole del genere? Quanto sembrano patetici e ridicoli, agli occhi del vecchio Gattopardo, i sogni liberali dei piemontesi in camicia rossa che sono scesi al seguto di Garibaldi. Neppure il Cristianesimo si ammanta di quella speranza che da sempre lo caratterizza, qui. La pesante e feroce devozione religiosa non nasce dal conforto della fede, sembra piuttosto essere il collante che indurisce la corazza protettiva dei siciliani legando e scandendo le ore, i giorni, gli anni con i suoi riti. Capisce meglio la Sicilia e la morale dell' ostrica chi legge questo libro. L'orgoglio silenzioso, certi sguardi fiammeggianti, una rassegnazione feroce eppure mai doma, che ho incontrato tante volte negli occhi dei siciliano. Su tutto, il vecchio Gattopardo, Fabrizio Corbera principe di Salina. Di famiglia nobile ma di pensiero illuminista, con il feroce ed orgoglioso spirito degli isolani ma condito di un amaro e terribile cinismo nel vedere dall' alto la miseria delle cose umane, il protagonista di questo romanzo si staglia con tale forza, emerge con così tante sfaccettature che dà la sensazione di poter uscire dalle pagine e di presentarcisi faccia a faccia. Bisogna ricordare che Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrive questa storia proprio da nobile decaduto, deve averci messo tanta della sua anima in queste pagine, per restituirci una simile figura. Di nobiltà decaduta ci parla lo spegnersi del vecchio gattopardo, che anno dopo anno umilia la secolare fierezza con compromessi col nuovo mondo liberale: in nome di un poteva andare peggio assiste in silenzio all' irrefrenabile ascesa della borghesia corrotta, al dominio del nuovo straniero venuto dal nord, senza rendersi conto che ogni nuovo assenso, ogni nuovo rospo ingoiato fa sopravvivere l'uomo ma uccide il gattopardo. E sarà proprio il mare ad accompagnare alla fine la vecchia, fiera belva i cui figli hanno il sangue già troppo contaminato di liberalismo per essere degni successori. Cominciano i tempi del malaffare, della mafia, degli sciacalli e delle iene. Comincia la Sicilia dei tempi nostri. Tomasi di Lampedusa è in grado con la sua esperienza di vita a restituirci un mondo parallelo e complementare a quello di Consolo (con l'ansia di libertà e di riscossa sociale dei suoi vinti) e della Hornby (con il suo mare che sa essere affascinante e meraviglioso). Ma senza pessimismo cosmico sul futuro tipico del nobile decaduto, senza il doloroso attaccamento alle radici culturali e religiose dei secoli passati, senza la orgogliosa rivendicazione di una identità che nessun dominio straniero ha mai saputo piegare, questa terra sicuramente la capiremmo meno. Ancora una volta restituisce respiro e spessore la eccellente audiolettura, questa volta di Toni Servillo. A Don Fabrizio Corbera forse non sarebbe piaciuta tanta multimedialità . Ed invece anche l'audiolettura e perchè no, l'eccellente interpretazione cinematografica di Burt Lancaster hanno contribuito a perpetuare il suo nome. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Sep 07, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
8858818598
| 9788858818596
| B00N2ZYC18
| 3.22
| 520
| Feb 2013
| Aug 27, 2014
|
really liked it
|
Il mio rapporto letterario con la Sicilia si arricchisce di un tassello importante con questo "Il veleno dell' oleandro"; sia perchè è assolutamente a
Il mio rapporto letterario con la Sicilia si arricchisce di un tassello importante con questo "Il veleno dell' oleandro"; sia perchè è assolutamente all'altezza del livello dei romanzi della Hornby, sia perchè per la pria volta incontro un romanzo che visita quella bellezza tormentata che è la Sicilia Iblea. La terra che scende dall' Etna lungo la costa orientale traversando la provincia di Ragusa è ricca di storia ma anche di vecchie e nuove miserie che circondano un'economia ancora agricola ed estrattiva. L'autrice trova il modo di raccontarcela focalizzandosi sulla famiglia Carpinteri, che trova l'occasione per riunirsi alla vecchia tenuta di Pedrara nella lenta agonia della zia Anna, tenutaria della villa e probabilmente di un tesoro di cui tutti i figli e figliastri per un motivo o per l'altro hanno bisogno. Complice lo svuotamento delle campagne aggravato dalla crisi, il proliferare del malaffare mafioso e non (a partire in questo caso dalla famiglia Lo Mondo, tenutaria della villa), Pedrara non è più una casa accogliente, ma un luogo ricco di segreti, misteri e minacce che agiteranno il sonno dei protagonisti fino alla fine. I personaggi sono abbastanza stilizzati nella loro personalità , ma non si appiattiscono mai in un bidimensionale manicheismo. C'è sempre una grande doppiezza: lo stretto intrecciarsi di positività e negatività si manifestano in ciascuno dei familiari in modo diverso ma sempre inscindibile, a restituire il tema vero del romanzo che si affianca a quello del racconto di un pezzo di Sicilia mai visto finora. La necessità di ogni famiglia di dover convivere con il compromesso, con le mezze verità , col segreto da nascondere per mantenere un'aura di rispettabilità . All'interno di questo schema credo che sia però un difetto l'aver caricato l'ambivalenza materiale e morale a tinte troppo forti. I problemi, le perversioni nascoste, il non detto sono fin troppo esagerati e caricatureschi nella loro gravità : nella vita quotidiana si passa attraverso sfumature assai più labili. Figura speculare a quella della famiglia Carpinteri è Bede Lo Mondo, il personaggio in assoluto meglio riuscito del romanzo. Androgino dichiarato ed apparentemente totalmente dedito al piacere qualunque esso sia, nasconde in realtà al suo interno una capacità di fedeltà e devozione che davvero non si trova in coloro che invece esteriormente sono inappuntabili. Su tutto la mafia, che come sempre nei romanzi della Hornby rimane dietro le quinte, come il burattinaiio con i suoi patetici pupazzetti, come il pesce gatto della "mennulara" che nuota al di sotto della superficie per colpire a morte chi incrocia la sua strada. Il pesce gatto che qui abbruttisce una terra già sconfitta escogitando sempre nuove forme di sfruttamento, di schiavitù e di tortura, sempre più raffinati e spietati. Più in alto ancora i panorami sofferenti ma meravigliosi della Sicilia sudorientale, con le sue rupi, i suoi tramonti di una bellezza scandalosa, i suoi coloratissimi oleandri che, degne piante protagoniste di un libro sulla doppiezza, nella loro bellezza possono essere usati per avvelenare e torturare. Sia chiaro, non stiamo parlando di alta letteratura: come detto sopra gli espedienti per caratterizzare i personaggi sono un po' grossolani, e comunque la trama appare deboluccia. Ma Simonetta Agnello hornby scrive in un modo che rende comunque leggero e piacevole il girare la pagina, oltre a restituire un immaginario sempre vivido ed efficace. Gli lascio quindi comunque quattro stelle. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
Dec 27, 2017
|
Sep 07, 2017
|
Kindle Edition
| |||||||||||||||
3.73
| 16,766
| 1961
| Feb 01, 2002
|
really liked it
|
Ancora prima di poterlo affrontare con disponibilità immediata attraverso gli audiolibri avevo maturato la volontà di leggere Leonardo Sciascia, perch
Ancora prima di poterlo affrontare con disponibilità immediata attraverso gli audiolibri avevo maturato la volontà di leggere Leonardo Sciascia, perché è l’archetipo di quel tipo di scrittore che davvero ti consente di farti un’idea di cosa sia l� Italia: sia per la sua vocazione di giornalista e politico parallela a quella di scrittore, sia perché appartenendo alla prima repubblica comincia ad essere abbastanza lontano da noi da consentirci di guardare da lontano e quindi con chiarezza al suo messaggio. Una scelta quanto mai giusta ed importante, probabilmente leggerò altro di questo scrittore. Siciliano, amico personale di Marco pannella ma anche di Giovanni falcone e Paolo Borsellino, Sciascia si distingue per non essere stato moderato in nulla ed affiliato a nulla. Sia da politico di primo piano (visse da protagonista la risposta delle istituzioni al sequestro Moro) che da scrittore non permise mai che l’opportunità politica od eventuali interessi settari condizionassero le sue scelte politiche od artistiche. “Il giorno della civetta� è una delle sue opere che meglio racconta la sicilia mafiosa, oltre ad essere un cristallino esempio della radicale chiarezza di cui scrivevo sopra. Quando l’imprenditore Colasberna resta vittima di un omicidio legato al malaffare delle campagne siciliane, a risolvere il caso viene chiamato il capitano Bellodi, persona forse la più sbagliata possibile per risolvere un caso come questo. O forse la più giusta? Carabiniere ma partigiano, uomo di stato ma comunista, in un dualismo che è stato ed è ancora oggi l’incarnazione perfetta dell’emilianità , il parmense Bellodi da un lato non può capire né concepire la rassegnata e radicalmente conservatrice Sicilia, ma dall’altra è un uomo il cui acume di investigatore si sposa con la adamantina purezza ideologica del rivoluzionario: una serietà morale di durissima pietra alla quale la mafia non è ancora abituata, e nei confronti della quale sarà anche dopo la sua ennesima vittoria sulle istituzioni, costretta a togliersi il cappello. E� la storia di mafia raccontata da un uomo del novecento, e quindi senza gli abbellimenti e le confusioni della cinematografia della televisione post Via D’Amelio. La mafia che dalla Sicilia nasce e che della Sicilia è l’espressione più deteriore ma non per questo meno sincera e perfetta. Nelle parole di Sciascia la mafia è il criminale tentativo delle genti isolane di essere governate da qualcuno della propria terra; è l� abitudine dei contadini di regolarsi i propri conti da soli senza ricorrere alle istituzioni che però diventa abnorme e sanguinosa; è la maniera che il privilegio feudale e la spiritualità cristiana (?) hanno trovato di sopravvivere alla rivoluzione liberale ed ad un materialismo che i siciliani non hanno mai potuto accettare, pena lo svuotamento della loro idea di esistenza. Ovvio che il capitano Bellodi giungendo a S. col suo bagaglio di partigiano, con le sue idee marxiste, abbia sentito a fianco della sua opera di investigatore una vocazione missionaria di recupero all’Italia di questa terra: quanto fossero goffi e velleitari questi pensieri lo capisce il lettore, mai l’ufficiale in persona. Perché un emiliano che giunge in Sicilia può innamorarsene ma non capirla, e non sarà con l’idea di Rivoluzione che la si potrà vincere. Peraltro, anche la Sicilia mafiosa resterà affascinata dell� Emilia e della sua gente disposta a morire per un’idea, e lo riconoscerà per bocca del boss Don Mariano Arena, che parla col capitano Bellodi prima di calare l’asso che chiude la partita. “Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo�. Ahh la Sicilia. Se penso a quella terra (e pure che non ci sono mai stato!), da emiliano percepisco quell’attrazione che condurrà Bellodi a ritornare in Sicilia fino a rompercisi la testa. Quel mare, quei profumi intensi che nella inquinata pianura padana non si percepiscono più e che giungono a noi attraverso gli aromi dei vini grillo ed inzolia; quelle spiagge arroventate, quelle grinzose mani che stringono rosari essendo magari sporche di sangue, quel sole meraviglioso eppure così nemico…attraverso i suoi libri ed i suoi vini la ho conosciuta, e forse non è un caso che in molti romanzi siciliani letteratura e cibo si sposino, come ben racconta Simonetta Agnello Hornby� E' stata una scelta felice quella di conoscere questo romanzo in formato audiolibro, perchè la lettura di Massimo Malucelli garantisce un grande valore aggiunto; in particolare mi ha impressionato la cura con cui il narratore ha proposto le diverse cadenze (emiliana e siciliana) nel momento in cui prendevano la parola i vari personaggi. E' un effetto che ha restituito grande incisività e profondità all'audiolibro. Tra qualche mese andrò in Sicilia, ma per il momento dovrò incontrarla di nuovo negli occhi del personaggio di un libro, eccolo che si avvicina, austero e terribile nel suo potere e nella sua intelligenza. Preceduto dallo scodinzolante Bendicò, mi pare di sentirlo, Don Fabrizio Corbera principe di Salina, ridere di me mentre si avvicina guardandomi negli occhi “� arrivato il garibaldino emiliano a cambiare tutto perché nulla cambi�. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Sep 07, 2017
|
Paperback
| ||||||||||||||||||
884591514X
| 9788845915147
| 884591514X
| 3.82
| 6,913
| 1966
| 2000
|
really liked it
|
Conversazioni in Sicilia... ...perchè è tra quelle conversazioni dette sottovoce, incorniciate da attestazioni di ignoranza che paiono virgolette, che Conversazioni in Sicilia... ...perchè è tra quelle conversazioni dette sottovoce, incorniciate da attestazioni di ignoranza che paiono virgolette, che in quell'isola meravigliosa e maledetta bisogna cercare la verità . Non certo nelle indagini delle forze dell'ordine, rappresentanti di uno stato che per i siciliani non significa nulla; non certo nelle attestazioni di buona politica e di progresso della Democrazia Cristiana, il partito che in nome della libertà e dell'anticomunismo per quarant'anni ha schiacciato un paese intero sotto un giogo di corruzione, di violenza privata, di malaffare. Si vede forse meno la Sicilia in questo "A qualcuno il suo" rispetto per esempio al "Giorno della civetta", ma questo non significa certo che sia assente, anzi. Solo che nei giorni che seguono il tragico omicidio del dottor Roscio e del suo amico, il farmacista Manno, a raccontare questa terra è esattamente quello che non si vede. I pettegolezzi, il sottaciuto, l'omertà di chi tutto conosce però niente sa, la rassegnazione di un popolo piegato a regole ancestrali che non sono quelle del vivere civile, e che pure la Democrazia Cristiana ha fatto proprie tanto bene. Questa è la sola verità che sia ammessa in Sicilia, e chi intende darle un significato diverso ne paga comunque le spese, come si scoprirà leggendo il libro. La chiave di lettura e la rappresentazione che Sciascia fa della propria terra sono talmente amare che "A ciascuno il suo" resta comunque un romanzo profondamente politico, anche se l'intreccio in sé sembra andare in una direzione diversa. Resta vero che la capacità di restituire una realtà come quella isolana in maniera tanto intensa e disturbante con poche pagine scritte alla perfezione e che comunque si leggono d'un fiato, conferma Leonardo Sciascia come una primissima penna nel panorama letterario italiano del Novecento. Mi viene da chiedere come mai sui banchi di scuola ai miei tempi non se ne parlasse. A no scusate, quando a scuola ci andavo io c'era ancora la Democrazia Cristiana. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Sep 01, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
880788612X
| 9788807886126
| 880788612X
| 3.44
| 208
| Oct 14, 2013
| May 27, 2015
|
really liked it
|
E� un fatto curioso, se ci si pensa. In quasi tutte le città oitaliane che ho visitato si può trovare una via o un viale XX Settembre, e non ho la più
E� un fatto curioso, se ci si pensa. In quasi tutte le città oitaliane che ho visitato si può trovare una via o un viale XX Settembre, e non ho la più pallida idea di che cosa sia accaduto in questa data. Nel mio paese natale è un grande e bel viale alberato in pieno centro, nella Palermo dove Simonetta Agnello Hornby è cresciuta come persona e come donna di cultura è una larga ed elegante via che alla metà del Novecento ha conosciuto i fasti del boom economico ma anche i drammatici effetti collaterali di quest’ultimo: l� affiliazione della borghesia alla mafia, il tracollo definitivo della classe nobiliare, lo scollamento tra società ed una fede cattolica divenuta ormai un coacervo di incomprensibili precetti. Ha buon gioco la Hornby nel trattare il paradossale declino di Palermo che coincide con il boom economico del resto dell’Italia: è in questa grande occasione perduta, nell’usare il denaro per costruire enti inutili e clientele anziché fabbriche che sta la spiegazione di tutto quello che è successo dopo, inclusa la Mafia. La piovra siciliana ha avuto il tempo di crescere e di sostituire al sistema feudale il proprio sanguinoso sistema, battendo sul tempo una borghesia ignorante, marginale, povera di mezzi e di ambizioni. Sullo sfondo la vita della scrittrice (anche se per molti versi è solo un espediente, questo resta un romanzo biografico) che rappresenta un ottimo esempio dei difficili rapporti tra un’adolescenza sempre meno rassegnata e sempre più aperta ai tempi nuovi da una parte ed un incancrenito e morente mondo di precetti dall’altra; entrambi abbarbicati agli scenari mozzafiato della Sicilia dorica, resi come sempre con impareggiabile maestria dalla scrittrice anglo-siciliana. Io rimango convinto che non sia un caso: la storia della Sicilia (o di altri simili paradisi) è stata pesantemente influenzata dal suo essere di una bellezza semplicemente disumana per mare, clima e territorio. Ce lo vedete un impiegato milanese alzare il naso dai propri registri per godersi il bellissimo (!) panorama naturalistico (!!) della Brianza? Io davvero no. E davvero l’Isola del Sole col suo fascino deve aver fiaccato le gambe della borghesia, al suo tempo. Per chi ha tempo per leggere solo un libro della Hornby (e ne vale davvero la pena), secondo me si può trovare di meglio di “Viale XX Settembre�: su tutti il bellissimo “La Mennulara�. Per chi come il sottoscritto è appassionato di questa penna, anche questo libriccino è all’altezza della situazione. P.S. All' Inferno esiste un girone pensato apposta per i democristiani. Io ne sono ugualmente convinto. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Aug 23, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
8807017121
| 9788807017124
| 8807017121
| 3.41
| 479
| Mar 2007
| Mar 12, 2007
|
it was ok
|
"Boccamurata", per stessa ammissione di Simonetta Agnello Hornby, non è un romanzo ispirato, ma frutto quasi di una commissione da parte di chi, dopo
"Boccamurata", per stessa ammissione di Simonetta Agnello Hornby, non è un romanzo ispirato, ma frutto quasi di una commissione da parte di chi, dopo il successo della "Mennulara" e della "zia Marchesa", era convinto che ci fosse spazio per un terzo romanzo che guarda alla Sicilia che cambia. E si vede. Per certi versi è stata una fortuna, perché ciò ha consentito di consegnare ai lettori altre pagine di pregevole scrittura, per altri versi è stata la premessa di un fallimento: perché al di là delle pagine stupende come sempre che descrivono quel paradiso di una bellezza scandalosa che è la Sicilia, questo libro è il tentativo di tradurre in una storia un’idea già vista mille volte, in letteratura o alla televisione. Ed in effetti la storia del declino della grande famiglia che ruota attorno a Tito, ex brillante leader del pastificio familiare e carismatico pater familias nel senso più tradizionale, non riesce secondo me ad aggiungere qualcosa di radicalmente nuovo a storie che raccontano la crisi della borghesia familiare come “I Buddenbrook�, o come certe serie televisive degli anni �80. Certo non manca una certa suspence dovuta al graduale disvelamento dei molti segreti che sono andati accumulandosi nel corso dei decenni, la maggior parte dei quali legati all’arrivo della misteriosa figura di Dante, e l’ambientazione siciliana è spettacolare come sempre: ma da fedele lettore della Hornby sono convinto che questa volta non sia bastato. Manca la spinta, manca la passione, si vede che questo è un romanzo doveristico e non ispirato. Perché se lo scopo della trilogia nata con “La Mennulara� e proseguito con “La zia Marchesa� è quello di raccontare la Sicilia che cambia, in questo caso non ci riesce soprattutto perché proprio la sicilia resta troppo sullo sfondo in una storia che avrebbe potuto benissimo ambientarsi a Falcon Crest o nella Lubecca di inizio secolo. Romanzo consigliato a lettori che già apprezzano la hornby per la fluidità e la correttezza della sua scrittura e per l’immaginario potente: ma se qualcuno non avesse mai letto nulla della ottima scrittrice Anglo-siciliana, non gli consiglierei di cominciare da questo. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Aug 22, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
8804528540
| 9788804528548
| 8804528540
| 3.20
| 176
| 1976
| Jan 01, 2004
|
liked it
|
Definito da molti anche qui come un classico del Novecento, "il sorriso dell'ignoto marinaio" è stato per me un altro momento di quell'incontro con la
Definito da molti anche qui come un classico del Novecento, "il sorriso dell'ignoto marinaio" è stato per me un altro momento di quell'incontro con la Sicilia che sto portando avanti da tempo, ed un altro grado dell'irresistibile attrazione che quella terra sta esercitando su di me (e dire che in Sicilia non ci sono mai stato!) La storia è di quelle già sentite, ma c'è una ragione. Si parla della rivolta dei contadini dei Monti Nebrodi nel periodo immediatamente successivo all'annessione dell'isola all'Italia: la reazione delle masse inferocite dalla terribile disillusione del regno sabaudo che, in perfetto stile schifosamente liberale, è molto interessato ad estendere i diritti civili ma per nulla i diritti sociali. La povera gente dovrà continuare ad essere povera gente, per sostenere il regno. In questo senso il "Sorriso" è una schiaffo a Giovanni Verga ed alla sua compiaciuta rassegnazione da Morale dell'ostrica che emerge dalla novella "Libertà ", che tratta dello stesso argomento, in fondo. E infatti la congiura che si nasconde dietro l'incredibile capolavoro che è il Ritratto di Ignoto di Antonello da Messina, pur non risparmiando affatto le crudissime scene della repressione, non termina allo stesso modo, ma con un afflato grido di rivolta non sopita che ricorda le rivendicazioni sociali degli anni sessanta (gli anni in cui il libro fu scritto). Protagonista indiscussa, la natura siciliana. Presentata dagli aspri panorami dei Monti Nebrodi e dal loro mare di sconvolgente bellezza: questi elementi che andiamo scoprendo insieme al nobile e naturalista Mandralisca, danno occasione di creare ancora una volta quell'immaginario potentissimo che in altri scrittori siciliani (come Simonetta Agnello Hornby) spesso si incontrano. E poi c'è quel ritratto. Quel sorriso enigmatico è stato uno dei motivi principali che mi hanno portato a scegliere questo libro. Strano a dirsi, ma in tutta la colossale storia dell'arte italiana, il sorriso spesso sembra nascondere inganno, enigma, tensione pronta ad esplodere. Penso al ghigno beffardo dell' Apollo di Veio, all'enigmatico sorriso della Gioconda di Leonardo, ma anche questo Capolavoro di Antonello da Messina non è da meno dei primi due. Ne dimostra consapevolezza l'autore, che per tramite di un rivoluzionario dal viso identico a quello dell'opera, non manca di nascondere dietro l'Ignoto Marinaio l'ennesima congiura. Un problema di questo libro è che non si riesce ad apprezzarne tutto il significato se non si conoscono le circostanze in cui è stato scritto. Emigrante (come tantissimi) al nord Italia per motivi di lavoro, Vincenzo Consolo si è trovato immerso nell'ambiente culturale milanese, dove già fiammeggiavano le prime rivendicazioni operaie che avrebbero incendiato l'Italia negli anni Sessanta e Settanta. Ha conosciuto la reazione al Nerorealismo, ha conosciuto Calvino e Vittorini: indiscutibilmente il Sorriso è un tentativo di riproporre il tema della rivendicazione sociale in chiave siciliana, unito ad una rivisitazione personale del metalinguismo e delle sperimentazioni su struttura e lingua del romanzo che in quegli anni si andavano facendo.Il risultato non è riuscitissimo secondo me, in quanto la trama è abbastanza fragile e lo stile spesso è pesante. Ma è proprio la reazione di Vincenzo Consolo al verismo verghiano, il risvegliarsi della rivendicazione sociale contro la compiaciuta morale dell'ostrica che mi ha fatto apprezzare "Il Sorriso dell'ignoto marinaio". Quella rivendicazione che mette in bocca ai dannati di Bronte, chiusi nell'inferno dantesco del carcere sotterraneo di Sant' Agata di Militello (che nella sua asfissiante tenebra e nella sua forma a spirale ricorda davvero l'Inferno di Dante), la parola immortale che Verga si era loro rifiutato di concedere, scritta con un pezzo di carbone sul muro alla fioca luce di una torcia eppure sempre splendente LIBBIRTAA ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Aug 22, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
8807018233
| 9788807018237
| 8807018233
| 3.52
| 517
| 2010
| 2010
|
really liked it
|
Si, non si può non essere d'accordo almeno in parte con i detrattori dei libri della Hornby, soprattutto per quel che riguarda la trama: spesso ricord
Si, non si può non essere d'accordo almeno in parte con i detrattori dei libri della Hornby, soprattutto per quel che riguarda la trama: spesso ricorda quella dei romanzi di appendice degli anni in cui le storie si ambientano, a volte quella di qualche romanzo verista. Il punto però è che a me piace come scrive. Non solo perchè le pagine scivolano via una dopo l'altra senza nessuna fatica o perchè si fa molto prsto ad affezionarsi ai personaggi, ma anche e soprattutto perchè riesce a rendere la sanguigna vivacità della cultura siciliana scrivendo comunque in italiano (problema davvero difficile); anche e soprattuttpo perchè la forza dell'immaginario della romanziera italo-britannica riesce ad essere adeguata al potente paesaggio dell'Isola del sole. E' una storia come tante, in fondo, nel'Italia dei primi anni del novecento: la storia di una vocazione forzata dalle pessime condizioni economiche della nobiltà borbonica, la storia della graduale sottomissione dell'Italia del sud al dominio britannico (che arriverà a minare la sttomissione dell'Italia del Nord a quello austriaco), la storia dello sbattersi al vento dei sentimenti della giovane monaca Agata, divisa tra quella che sembra essere una vocazione sincera e l'amore inandescente per l'ufficiale inglese James Garson. Non so se sia uno stereotipo o meno, ma c'è molto di siciliano nelle furoreggianti passioni di Agata che la spingono da una parte o dall'altra dell'ingresso del chiostro come se fosse una dei dannati del secondo cerchio dantesco: ma non è l'aspetto più importante. Perchè il vero protagonista del romanzo, ciò per cui vale la pena leggere questo come tutti i libri di Simonetta Agnello Hornby, è e sarà sepre la Sicilia con i suoi accecanti panorami, le sue battute di pesca, il suo mare che anche agli occhi di una giovane monaca rimane un bellissimo e terribile Dio. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Aug 22, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
8807818833
| 9788807818837
| 8807818833
| 3.75
| 1,042
| Jan 01, 1993
| Oct 2006
|
really liked it
|
Ho deciso di leggere "La zia marchesa" dopo le ottime impressoni che avevo ricevuto da "La mennulara", e devo dire che anche il secondo romanzo della
Ho deciso di leggere "La zia marchesa" dopo le ottime impressoni che avevo ricevuto da "La mennulara", e devo dire che anche il secondo romanzo della Hornby che leggo si è rivelato una piacevole conferma. La conferma che scrivere romanzi di stampo realista nel ventunesimo secolo non equivale automaticamente a scrivere un pacco, come tanto materiale di post verghiana memoria sembrava dimostrare. Attraverso scenari di grande bellezza descritti in modo magistrale, un sapiente utilizzo della discontinuità temporale, una cura maniacale del dialogo e soprattutto del difficile compromesso tra la vividezza del dialetto siciliano e la necessità di scrivere comunque in un italiano comprensibile, l'autrice riesce a raccontare una storia credibile e non troppo romanzata, ma avvincente. Sullo sfondo della vita contadina della Sicilia dei primi del novecento, caratterizzata dalla miseria più nera ma anche da scenari da cartolina, la storia racconta per bocca della serva Amalia Cuffaro della vita e della morte della Marchesa Costanza Safamita, che nel suo insofferente adeguarsi ai secolari modelli della nobiltà palermitana, cosi come nel suo singolare aspetto nordico (che solo al termine del romanzo troverà spiegazione), è sia la personificazione del decadimento del sistema di potere borbonico, sia quella della consegna del sistema politico, economico e sociale isolano alla mafia nascente. Il ricchssimo substrato umano e culturale dell'isola è reso in assoluta completezza, cosi come il dipanarsi degli eventi sia storici (la sofferta adesione al regno d'Italia e lo scatenarsi del brigantaggio; sono messe molto ben in evidenza le pesantissime responsabilità di casa Savoia che vedeva le regioni meridionali come un dominio coloniale, non come una terra da governare), che personali; riuscire a farlo mantenendo un intreccio scorrevole e vivace mostra con grande chiarezza il cristallino taento di narratrice della Hornby. Sono molto belli e mai banali i personaggi secondari, che spiccano con tale forza da costituire la vera struttura della storia. Su tutti l'affezionata Amalia Cuffaro, il campiere e protomafioso Pepi Tignuso, il sevitore orgoglioso e sanguigno Don Paolo Mercurio, il prete depravato e servile padre Puma e mille altri. Essere stato costretto a leggere negli anni di liceo scialbi pacchi veristi di verghiana memoria mi aveva convinto che non fosse possibile scrivere buona letteratura che non fosse romanzata, o che non si distaccasse dal reale in modo intelligente. Devo essere grato alla Hornby per avermi dimostrato col suo lavoro che questo in realtà non è vero: non è impossibile scrivere magnifica letteratura verista, richiede solo molto più talento. Sia grato il mondo culturale siciliano a questa scrttrice per aver raccontato al mondo la sua storia. Un inciso post descrizione: la Hornby ha deciso di porre a mo' di introduzione di ciascuno dei numerosissimi paragrafi un proverbio della tradizione popolare agrigentina che fosse in qualche modo correlato con la storia che veniva raccontata nel paragrafo stesso. Ebbene, questi proverbi sono stupendi e da soli giustificano la lettura del libro. La scelta e la selezione appaiono estremamente curati e sono un ulteriore segno della passione che Simonetta Agnello Hornby nutre per la letteratura e per la storia di questa terra martoriata. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Aug 22, 2017
|
Paperback
| |||||||||||||||
8807817942
| 9788807817946
| 8807817942
| 3.73
| 3,294
| 2002
| Jan 01, 2008
|
it was amazing
|
Questo "La mennulara" è un romanzo che non solo mi è piaciuto molto più del previsto, ma che ha segnato un passaggio nelle mie letture: è riuscito nel
Questo "La mennulara" è un romanzo che non solo mi è piaciuto molto più del previsto, ma che ha segnato un passaggio nelle mie letture: è riuscito nell'impresa che consideravo impossibile di riconciliarmi col Verismo, e di questo sarò grato alla Hornby (letterariamente, si intende). La storia si svolge in una piccola cittadina siciliana alla metà del Novecento: rappresenta un ritratto fresco, vivace e vitale della gente dell'isola, fotografata nelle sue reazioni, nei suoi pettegolezzi, nelle sue speranze alla morte di Maria Rosalia Inzerillo, detta "La Mennulara". Mennulara in siciliano potrebbe essere tradotto come mandorlara, ed è una figura dell'Italia contadina che già in quegli anni cominciava a scomparire: al momento della battitura dei mandorli le ragazze giovani venivano portate nei campi a raccogliere i frutti caduti a terra, accompagnate dal canto allusivo ma affettuoso dei loro uomini al fianco. Vita e povera e dura dei contadini siciliani, ma che scena doveva essere! Sole splendente che colora di rosso il cielo sopra un mare mozzafiato, il canto delle mennulare che si intreccia a quello dei loro spasimanti, il vento che soffia tra le piante...la Sicilia racconta il meglio di sè proprio mostrando la sua immensa ricchezza nascosta in mezzo alla miseria senza speranza. Senza speranza? Non nel caso della Mennulara, che pagina dopo pagina si scopre essere stata protagonista di una carriera economica e sociale folgorante; grazie a quel carattere aggressivo e battagliero, grazie al suo spirito mai domo, grazie al suo orgoglio di povera donna disgraziata ma che ha saputo vincere le sue battaglie. Resta comunque un mistero collettivo (che fa da oggetto agli spassosissimi pettegolezzi delle donne di paese) come abbia potuto una povera Mennulara vittima di ogni disgrazia arrivare ad occuparsi di finanza, persino di arte antica per conto della famiglia nobile decaduta degli Alfallipe, al punto tale che pur rimanendo orgogliosa della sua condizione di serva, arriverà a dettare loro ordini. Saranno gli Alfallipe stessi che, prigionieri della loro decadenza economica, indagando alla ricerca di rendite economiche che la serva dovesse aver tenuto nascoste, getteranno luce sulla situazione: ed è una luce terribile che, in mezzo alle acque lucenti e cristalline della vita di paese, rivela i neri tentacoli della piovra. E' difficile per chi non sia nato in quelle terre capire quanto profondo sia il legame avvelenato che lega saldamente la mafia alla Sicilia: la grande vittoria del boss non sta nella potenza o nell'arricchirsi, ma nell'aver fatto passare il suo ordine morale falso e pervertito come alternativa ad una struttura sociale che lo stato non riesce a dare. Peggio ancora. proprio in quegli anni l'Italia Democristiana arriva all'orrore di concedere a quell'ordine dignità , ragione d'essere e coscienza di sè. Tutto quando si parla della piovra è omertoso silenzio. Come il mostro marino fluttua nelle acque nere senza far rumore quando è in caccia, così le gambe tremano e persino il vento sembra tacere quando passa Don Vincenzo Ancona. La descrizione vivida e grondante di tensione dell'incontro col boss mi ha ricordato una stampa di Maurits Cornelis Escher, il pesce gatto. Una creatura orrenda ma silenziosa, che sembra fondersi con l'acqua e le foglie soprastanti, ed allo stesso tempo le acque e le foglie sembrano esistere solo in sua funzione, pronte a spostarsi per far emergere il suo attacco assassino. Ma se si volesse distinguere nettamente il prorompente e rumoroso calore dell'umanità siciliana, la bella e rabbiosa volontà di rivalsa della Mennulara, gli stupendi paesaggi della Sicilia Dorica del dal silenzioso, freddo ed oscuro dominio di Vincenzo Ancona ebbene, non ci si riesce. E' un mistero che chi volesse capire la Sicilia dovrebbe poter penetrare. Aver mostrato la sua esistenza al lettore è uno dei punti forti di questo libro. Sebbene tratteggi una società sostanzialmente conservatrice e del tutto paurosa di affrontare un rinnovamento pur inevitabile (è una Sicilia che cambia, quella degli anni '60. Le mennulare spariranno dai campi, l'istruzione si va diffondendo, persino la mafia sarà con rammarico costretta a cambiare le regole del gioco), questa non è una terra rassegnata. Non c'è traccia di morale dell'ostrica o altro ciarpame di verghiana memoria in questo libro. Anzi dalle innumerevoli fotografie a colori vivaci della Mennulara che emergono dai pensieri e dalle parole degli Alfallipe, dei paesani, del pesce gatto/ boss, emerge uno stupendo ritratto di donna a tutto tondo che pur nascondendosi dietro il mistero di una sicilianità del tutto aliena dal resto dell' Italia, resta comunque un dono prezioso e piacevole da ricordare. Del tutto diverso il vuoto immaginario di Marcello Fois e della saga dei Chironi, ambientata nella Sardegna dello stesso periodo! Credo che da questo punto di vista, la Hornby sia stata superiore. Sarò sempre molto grato a questo libro di avermi fatto riscoprire il verismo in chiave moderna, e sono determinato a leggere altri libri della Hornby. Se poi nei prossimi romanzi sarà raccontato con la stessa maestria anche un cane, sarà perfetto! ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Jan 24, 2014
|
Paperback
| |||||||||||||||
8896999065
| 9788896999066
| 8896999065
| 4.04
| 28
| Nov 11, 2010
| Nov 11, 2010
|
it was amazing
|
Il tenente Cascioferro dei carabinieri di Palermo è persona scafata. Rotto alle più brutali bestialità mafiose ma anche uomo di mondo,consapevole di q
Il tenente Cascioferro dei carabinieri di Palermo è persona scafata. Rotto alle più brutali bestialità mafiose ma anche uomo di mondo,consapevole di quanto la realtà siciliana sia aliena da quella che lo stato italiano incarta nelle sue leggi, con eroica ma semplice costanza passa le sue giornate a mantenere l'ordine in un inferno. E (schiacciato tra i cavilli di uno stato oppressivo e corrotto e la criminalità organizzata) ci riesce anche, finchè un brutale omicidio in un ristorante non coinvolge la comunità immigrata cinese. Duro e sanguinario quanto vivo ed incisivo, questo "I cani di via Lincoln" è stato il primo noir che abbia letto che mi sia piaciuto davvero. E non solo perchè riesce a raccontare la mafia in maniera diversa e per nulla televisiva, non solo perchè è scritto in maniera scorrevole ma precisa, ma soprattutto perchè fa sentire nello stomaco il modo diverso di sentire la vita, la comunità , il futuro della sicilia e dei siciliani; perchè consegna ai miei ricordi di lettore la figura indimenticabile del tenente Cascioferro, eroico tutore della legge e pronto a violarla quando questa si riduce a burocrazia, animato da istinti sanguinari e bellicosi simili a quelli dei "cani" mafiosi e pronto a far violenza su se stesso e a domarli se vanno contro al suo spirito di giustizia. Ma i personaggi degni di nota sono tanti: i cani mafiosi che stanno dall'altra parte della barricata con la mostruosa naturalezza con cui Saro Trionfante include il sangue in una vita di per sè normale, l'irresistibile e nerissimo carisma di Don Luca Leone Davì, boss di Palermo, che con un sussurro smuove le montagne. La scena con cui un bambino di appena dieci anni viene consacrato alla mafia costringendolo al disumano gesto di uccidere il suo affezionatissimo cane, è un cazzotto nello stomaco. I miei complimenti e la mia gratitudine a Laurana per confermarsi con questo libro assolutamente consigliato una vera scuderia di narratori di talento. ...more |
Notes are private!
|
1
|
not set
|
not set
|
Apr 29, 2013
|
Paperback
|

18 of 18 loaded