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Foe
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“Quando rifletto sulla mia storia, mi pare di esistere solo come colei che è giunta, colei che è stata testimone, colei che anelava ad andarsene: un essere senza consistenza, un fantasma accanto al corpo vero di Cruso. È dunque questo il destino di chi narra storie?�
Non Crusoe, ma Susan Barton, naufragata nell’isola più celebre della letteratura, che testimonia la testardaggine e la musoneria di Cruso, il naufrago per eccellenza, che però non possiede nemmeno una delle qualità tanto decantate da Defoe, simboli dell’intraprendenza, del buonsenso borghese e dell’ottimismo di un’epoca.
Ma Coetzee riscrive la storia con una lucida consapevolezza postcolonialista e in un’ottica postmoderna.
Perciò il libro è difficile, a tratti astruso, di certo meditativo, filosofico e metaletterario.
Una donna ha bisogno di un uomo (lo scrittore Foe, decurtato del prefisso nobiliare) per trasformare la sua storia in scrittura e farne un prodotto appetibile per un mercato di lettori avidi di ingredienti stimolanti e colpi di scena esagerati. Niente di tutto questo invece: c’� la storia di una donna che tenta invano di comunicare con uomo chiuso in se stesso e insieme la storia di uno schiavo nero (Venerdì) a cui è stata mozzata la lingua: muto, mutilato e reietto si esprime in un linguaggio di gesti e di musica, solipsistico e incomprensibile al mondo.
Al centro del discorso il mistero della scrittura narrativa, strumento ambiguo e potente, falsificazione necessaria per dare voce a uno stralcio di verità. O forse soltanto al suo fantasma.
� Dimenticavo che siete uno scrittore e dunque sapete quante parole si possono succhiare da un festino di cannibali, e quanto poche da una donna in cerca di un riparo dal vento.�
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“Quando rifletto sulla mia storia, mi pare di esistere solo come colei che è giunta, colei che è stata testimone, colei che anelava ad andarsene: un essere senza consistenza, un fantasma accanto al corpo vero di Cruso. È dunque questo il destino di chi narra storie?�
Non Crusoe, ma Susan Barton, naufragata nell’isola più celebre della letteratura, che testimonia la testardaggine e la musoneria di Cruso, il naufrago per eccellenza, che però non possiede nemmeno una delle qualità tanto decantate da Defoe, simboli dell’intraprendenza, del buonsenso borghese e dell’ottimismo di un’epoca.
Ma Coetzee riscrive la storia con una lucida consapevolezza postcolonialista e in un’ottica postmoderna.
Perciò il libro è difficile, a tratti astruso, di certo meditativo, filosofico e metaletterario.
Una donna ha bisogno di un uomo (lo scrittore Foe, decurtato del prefisso nobiliare) per trasformare la sua storia in scrittura e farne un prodotto appetibile per un mercato di lettori avidi di ingredienti stimolanti e colpi di scena esagerati. Niente di tutto questo invece: c’� la storia di una donna che tenta invano di comunicare con uomo chiuso in se stesso e insieme la storia di uno schiavo nero (Venerdì) a cui è stata mozzata la lingua: muto, mutilato e reietto si esprime in un linguaggio di gesti e di musica, solipsistico e incomprensibile al mondo.
Al centro del discorso il mistero della scrittura narrativa, strumento ambiguo e potente, falsificazione necessaria per dare voce a uno stralcio di verità. O forse soltanto al suo fantasma.
� Dimenticavo che siete uno scrittore e dunque sapete quante parole si possono succhiare da un festino di cannibali, e quanto poche da una donna in cerca di un riparo dal vento.�
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Foe.
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Reading Progress
August 3, 2017
– Shelved
Started Reading
August 14, 2019
–
Finished Reading