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Alla cieca (Nuova biblioteca Garzanti)
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Magris, da anni, viene considerato il più credibile candidato italiano al Nobel. E il premio Nobel è premio che stimo e rispetto. Come stimo e rispetto il Magris di Danubio.
Qui siamo da altre parti. In questa storia scritta dalla parte di un vinto, e con l'ambizione di raccontare tutti i rivoluzionari sconfitti di ogni epoca e colore (un po' di umiltà , a volte, aiuterebbe i libri a sopravvivere al suo autore), invece stima e rispetto cedono il passo alla sonnolenza post-prandiale, quella che ti artiglia e ti obbliga a leggere e rileggere pagine su pagine, interi capitoli, a volte a riniziare cinquanta pagine prima per vedere se si è perso qualcosa di imperdibile tra le nebbie della confusione.
Chi è l'io narrante? Nonostante venga dichiarato già nelle prime pagine ne saremo certi solo più avanti visto che il protagonista si immedesima nel Re d'Islanda, in Giasone alla caccia del vello e anche le sue amanti cambiano nome, tempo, spazio.
Chi è l'interlocutore dell'io narrante? Non lo capiremo con certezza neanche al termine del libro.
E la scrittura non aiuta: farraginosa, ridondante, faticosa, appesantita dalla necessità di dover raccontare tutto. Con un tentativo di lirismo che abita più dalle parti del barocco che da quelle dell'impero austro-ungarico. O meglio, forse, che sa proprio del neobarocco delle corti primo novecentesche. L'addobbo di una realtà a pochi passi dal baratro, il tentativo di abbellire il crepuscolo.
Poi, ad appesantire ancora le pagine, tanta trita retorica degli sconfitti. I vinti di questo libro fan pensare più al paginone centrale di Repubblica che a Verga,
Una stella in più solo perchè si percepisce, dietro la nebbia, che il talento e l'intelligenza lucida comunque si prodigano a guidare l'autore. Che, però, spinge con troppa forza nella direzione sbagliata.
Qui siamo da altre parti. In questa storia scritta dalla parte di un vinto, e con l'ambizione di raccontare tutti i rivoluzionari sconfitti di ogni epoca e colore (un po' di umiltà , a volte, aiuterebbe i libri a sopravvivere al suo autore), invece stima e rispetto cedono il passo alla sonnolenza post-prandiale, quella che ti artiglia e ti obbliga a leggere e rileggere pagine su pagine, interi capitoli, a volte a riniziare cinquanta pagine prima per vedere se si è perso qualcosa di imperdibile tra le nebbie della confusione.
Chi è l'io narrante? Nonostante venga dichiarato già nelle prime pagine ne saremo certi solo più avanti visto che il protagonista si immedesima nel Re d'Islanda, in Giasone alla caccia del vello e anche le sue amanti cambiano nome, tempo, spazio.
Chi è l'interlocutore dell'io narrante? Non lo capiremo con certezza neanche al termine del libro.
E la scrittura non aiuta: farraginosa, ridondante, faticosa, appesantita dalla necessità di dover raccontare tutto. Con un tentativo di lirismo che abita più dalle parti del barocco che da quelle dell'impero austro-ungarico. O meglio, forse, che sa proprio del neobarocco delle corti primo novecentesche. L'addobbo di una realtà a pochi passi dal baratro, il tentativo di abbellire il crepuscolo.
Poi, ad appesantire ancora le pagine, tanta trita retorica degli sconfitti. I vinti di questo libro fan pensare più al paginone centrale di Repubblica che a Verga,
Una stella in più solo perchè si percepisce, dietro la nebbia, che il talento e l'intelligenza lucida comunque si prodigano a guidare l'autore. Che, però, spinge con troppa forza nella direzione sbagliata.
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November 16, 2012
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August 10, 2016
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October 4, 2017
– Shelved
October 4, 2017
– Shelved as:
delusioni
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sigurd
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Oct 04, 2017 11:11AM

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