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Open: La mia storia
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Sei un campione di tennis, ma il tennis l'hai sempre odiato. Perché ti è stato imposto da un padre padrone, perché ti ha rubato l'infanzia, perché ti distrugge nel fisico e nella mente prima, durante e dopo ogni partita. Perché è ciò che dà senso alla tua vita e contemporaneamente ti impedisce di viverne una. Perché è lo sport più solitario del mondo, dici. E qui ti sbagli, Andre. Quando vuoi o devi essere il primo tocca lasciare gli altri molto, molto indietro; e il principale avversario da battere sei tu, i tuoi fantasmi, le tue paure, le tue ossessioni. Una lotta che richiede esercizio, disciplina, concentrazione. Solitudine, appunto. Lo sport, la danza, la cucina, la scrittura, la musica possono essere così. Devono, se vuoi praticarle a quei livelli. Il punto è se non si è affatto sicuri di volerlo, ed è questo che rende il libro - e l'uomo - così interessanti. Di persone distrutte dal proprio talento ce ne sono state a migliaia; il ragazzo sbanda, sciupa, spreca, sanguina ma non soccombe: resta in trincea. Diventa un campione solo quando impara a perdere, ad accettare di non poter sempre giocare il colpo perfetto. Quando poi riuscirà a far entrare nella sua vita qualcosa di più importante del tennis: delle persone, diventerà finalmente un uomo. Mai amato particolarmente il tennis e Agassi non è mai stato il 'mio' tennista, ma qui lo sport è uno sfondo, echi alla Infinite Jest per quella che è in realtà un'appassionante storia di guerra, ossessione e dipendenza raccontata da chi l'ha faticosamente combattuta e vinta (e scritta benissimo da un premio Pulitzer). Traduzione sciatta e refusi sparsi, sarebbero state cinque stelle.
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Grazia
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Sep 01, 2017 11:35AM

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