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Di Jorge Amado avevo già letto Dona Flor e i suoi due mariti e Gabriela garofano e cannella, due romanzi completamente diversi da Cacao. Probabilmente perché quest’ultimo è il secondo libro che ha scritto, quindi più acerbo o forse perché, come lui stesso dichiara, è un racconto, il più onesto possibile, sulla condizione dei braccianti delle fazendas. Mancano, in questa storia, i colori e i profumi di Bahia, ma prendono forma altri temi molto cari ad Amado, quello della denuncia sociale e della “Coscienza di classe.��
Josè Cordeiro, detto il Sergipano per via della regione da cui proviene, nasce benestante, ma alla morte del padre, lo zio si impossessa dell’azienda di famiglia lasciandolo senza un soldo. Inizia così a lavorare prima come operaio e poi come bracciante nella fazenda Fraternità. Il nome, ovviamente, trae in inganno. La vitta alla roça è durissima; fagioli come pasto, una tavola di legno per dormire, una misera paga e la fatica nei campi da mattina a sera. È in questa situazione che giorno dopo, si insinuano in lui la consapevolezza di voler cambiare qualcosa e il senso di appartenenza.
“Solo parecchio tempo dopo ho saputo che il gesto di Honório non si chiamava generosità. Aveva un nome più bello: Coscienza di Classe.��
Poche pagine, semplici ma intense. Amado ha la capacità di rendere reali le scene che racconta e di far emergere l’anima popolare brasiliana in ogni sua opera.