Le autobiografie sono uno strumento potente ma faticosissimo per farsi un'idea del significato di un personaggio politico, perchè i fatti sono filtratLe autobiografie sono uno strumento potente ma faticosissimo per farsi un'idea del significato di un personaggio politico, perchè i fatti sono filtrati dal ricordo ma soprattutto dal punto di vista meno obiettivo possibile; soprattutto quelle in cui l'amore per il dettaglio ne aumenta a dismisura le dimensioni, ed ancora di più quelle in cui non si cerca in nessun modo di tirare un filo logico, di tessere una visione d'insieme. Ecco perchè faccio sempre una fatica terribile a mettermi davanti alla tastiera per commentare un'autobiografia, specialmente di uno dei personaggi più immensi della scena mondiale del primo quarto di secolo ventuno appena passato. Perchè questo Angela Merkel, quattro volte cancelliere di Germania, sicuramente è stato.
Se dovessi condensare in poche righe il significato della cinquantennale vita politica di un fisico della DDR divenuta la donna più potente del pianeta, direi che è stata la storia del crescere di una visione. Dalla Germania all'Europa, dall'Europa al mondo. La Germania di Merkel è quella della schiacciante dittatura comunista, nata sulle ceneri di una assai peggiore, ma non per questo più leggera. Frau Merkel và incontro alla caduta del muro di Berlino nel fiore della giovinezza, consapevole della sua ambizione e della sua forza. Esattamente come il paese in cui nasce. La Germania, ho letto da qualche parte, è il paese che fa bene le cose. Nel bene e nel male. Unisce bene un paese diviso da cinquant'anni se deve farlo, se deve sterminare sei milioni di ebrei, lo fa bene. Non è un popolo da sottovalutare, quello tedesco, e questa donna dell'est ne è degna rappresentante. Che donna poteva venir fuori dalla ragazza che è cresciuta sotto la dittatura comunista, se non una fiammeggiante guerriera crociata? Innamorata delle libertà individuali così come del messaggio della carità cristiana, entrerà ben presto nelle fila della CDU (il corrispondente tedesco della democrazia cristiana che quei due ideali li incarnava entrambi) diventandone ben presto la spina dorsale.
La vita politica di Angela Merkel nella Germania riunificata è facile da sintetizzare: quarant'anni di successi uno più folgorante dell'altro, a capo di un paese che lei capiva benissimo e dal quale lei veniva capita benissimo. Successi che porteranno la Germania al vertice dell'Europa nel cammino di unificazione. Agli occhi di un socialdemocratico con evanescenti ricordi comunisti come il sottoscritot, ne emergono tuttavia anche le debolezze e le fragilità . La Germania unita sarà costruita molto più su basi economiche e finanziarie che non su basi sociali. Le pagine di "³¢¾±²ú±ð°ù³Ùà " dedicate alla miseria ed alle sofferenze patite dalle città anseatiche dell'est ai tempi dell'unificazione sono striminzite e scritte apparentemente in fretta, come a testimoniare la scarsa priorità da sempre data dal mondo liberale a quei poveri di cui si farebbe volentieri a meno, o meglio a voler nascondere fin dall'inizio quello che sarà sempre il punto debole del liberalismo tedesco: il congiungere il rigore economico e la fede nel successo con il solidarismo protestante. "capitalismo" dal volto umano, lo ha sempre chiamato la cancelliera: parole, solo parole. Il capitale non è mai umano, mai.
Il vedere la vita di una nazione solo in termini di parametri finanziari, e l'incapacità di cogliere la contraddizione insita in un "capitalismo dal volto umano", saranno peraltro il peccato originale che minerà fin dalla nascita (e mina ancora oggi) le fondamenta su cui poggia l'unione europea, che proprio dalla Germania di Kohl e poi di Merkel trarrà la forza per venire al mondo. I tempi erano maturi, come dimostra tra le altre cose la fulminea rapidità con cui si passò da Maastricht a Schengen all'apertura delle frontiere. Ma proprio perchè i tempi erano maturi, l'assurda priorità assoluta data all'aspetto economico è stata prima di tutto una grande occasione perduta. Certo emerge da queste pagine come Angela Merkel ha letteralmente comprato l'adesione all' UE dei paesi dell' ex blocco sovietico a suon di miliardi di marchi, ma sicuramente bisognava andare oltre la sonante moneta per costruire gli stati uniti d'Europa. Non è stato fatto. Certo il mondo liberale non ha mai avuto i mezzi per capirlo, e certo il possente pastore tedesco sarebbe stato disposto a trainare l'Europa intera (mi piace di più pensare ad un pastore tedesco che ad una locomotiva) solo a patto che essa fosse fatta ad immagine e somiglianza della Germania; ma questo si poteva accettare solo all'inizio, solo come un primo passo per andare oltre.
Il mondo protestante tedesco personificato da Merkel si è esteso all' Europa intera senza mai capirne veramente la diversità . E questo, nel bene e nel male, ha avuto delle conseguenze. Se i paesi del ex blocco sovietico accettarono qualunque cosa in funzione antirussa, nell' Europa mediterranea l'incendio non poteva non divampare. Il Pastore Tedesco salvò l' Europa dalla più grande crisi finanziaria dopo quella del 29 (ricordate i subprime?), e successivamente con l'importante contributo dell'italiano Mario Draghi la salvò anche dall'aggressione finanziaria all' Euro, ma facendo pagare ai popoli mediterranei (Grecia e Portogallo, ma in parte anche Italia) un prezzo sanguinoso che faticavano a capire. Tanto dell'euroscetticismo che gira anche oggi discende da questo. Giova ricordarlo, noi ci siamo parzialmente salvati proprio perchè Merkel fece in tempo a cacciar via Berlusconi ed a sostituirlo con Mario Monti (non viene scritto in queste pagine, ma tutti sappiamo come e perchè accadde), il cui impersonale rigore finaniario rasentò la brutalità . Era giusto così, ma solo passati quindici anni cominciamo ad accorgercene. Era giusto così, ma tutto avrebbe avuto un senso solo se ci fosse stato un seguito politico al di là dell'aspetto economico e finanziario. Non c'è stato, ed adesso gli stati europei sono soli, deboli, confusi e presi in mezzo tra due colossi egualmente ostili.
La libertà nel senso occidentale diventa una ossessione nella mente di chi è cresciuto sotto una dittatura socialista. Oltre che il titolo della propria autobiografia. Una ossessione che rende ciechi nei confronti di nazioni che hanno sviluppato un vivere civile magari peggiore ma sicuramente diverso dal nostro. I primi anni del millennio sono stati gli anni dell' 11 Settembre, l'evento che ha costretto l'occidente ad accorgersi dell'esistenza del mondo, volente o nolente. Sciagura volle che al comando degli USA ci fosse George W. Bush Jr, un radicale repubblicano che impostò la risposta all'attentato delle torri gemelle sulla cosiddetta "esportazione della democrazia": una democrazia che i cosiddetti popoli oppressi non capivano, non volevano e che hanno spesso ricevuto a prezzo di fiumi di sangue (il loro). L'idea di esportare la libertà nel mondo si sposava per bene con la visione di Merkel, ed il Pastore Tedesco entrò con fiducia nello sciagurato patto delle Azzorre, con il quale si sanciva l'allinearsi dei paesi europei alla politica degli USA. In queste pagine, a denti stretti, Angela Merkel ammette che tremendo errore sia stato. La pretestuosa aggressione all' IRaq sulla base delle fantomatiche armi di distruzione di massa, un governo ventennale in Afghanistan che ha fatto scorrere fiumi di sangue senza fare un solo passo avanti verso la democrazia, come la rapida caduta di quel paese nelle mani dei talebani ha rapidamente dimostrato.
Ma il frutto avvelenato è cresciuto dopo, come possiamo vedere adesso. Quelli erano anche gli anni in cui in Russia prendeva il potere un ex ufficiale del KGB chiatao Vladimir Putin. E man mano che a suon di bombe gli USA si espandevano in medio oriente alal ricerca di vendetta, il Vozhd prendeva nota. E vent'anni dopo, in Ucraina, ha applicato bene la lezione. La politica aggressiva della Russia di oggi è anche figlia della politica aggresiva dei paesi del patto delle Azzorre di allora, è difficile non vedere il nesso.
Tantissime sono le battaglie che Angela Merkel ha combattuto per la Germania e per l' Europa in questi ultimi venti anni, vincendone molte ma subendo anche pesanti sconfitte. Dalle crisi finanziarie al dualismo Israele Palestina, dalle crisi migratorie alla primavera araba, dal COVID alla Brexit alla gestione dell' Ucraina e, più in generale, ai rapporti con il dragone cinese prima e con l'orso russo poi, interlocutore assai più duro.
Lavoratrice inesauribile, leader rigorosissima, difesore indefesso delle proprie idee ma anche instancabile negoziatrice, in tutte queste sfide Angela Merkel si è rivelata il miglior capo di stato che l'occidente del dopo guerra fredda abbia espresso. Proprio l'essere riuscita con i suoi diuturni sforzi e con la sicurezza e le risorse che il popolo tedesco gli forniva a tenere la guerra lontano dall'Ucraina per ben nove anni, ne è la dimostrazione. L' Europa aveva bisogno di leader, e lei lo è stato: sicuramente però la sua impronta ha fatto sì che i suoi punti deboli siano diventati i punti deboli dell' Europa stessa. Impossibilità di capire la diversità delle nazioni nell'intendere la libertà (anzi, direi persino il disinteresse a provarci) in un mondo complesso e multipolare, l'incapacità tutta liberale di riconoscere che la dignità di uomo e di cittadino prescinde dall'efficienza e dalla prosperità (chi, peraltro, nel mondo protestante è stato in grado di farlo?). Giova farci caso, in tutti i progetti politici trentennali della cancelliera le masse, l'insieme di coloro che sono campioni di niente, non hanno mai avuto un ruolo. Mai.
Tutto questo ha reso l' Europa debole e divisa (la Brexit ne è l'esempio più clamoroso), ha fomentato guerre spaventose ed un modo di far politica basato sulla sopraffazione che Putin, Xi e Trump hanno imparato fin troppo bene. Finchè Angela Merkel ed il suo Pastore Tedesco erano forti, bene ma...come ebbe a dire Putin "lei, Merkel, non sarà cancelliera per sempre ed allora..."
Oggi, che Angela Merkel è giunta al fondo del suo percorso, l'orso russo si è alzato sulle zampe posteriori, con gli artigli snudati, e ci guarda sapendoci deboli. L'orso che noi stessi abbiamo addestrato. Saremo in grado di gestirlo? Viene da pensare male, ma la velocità supersonica con cui Scholl ha costruito una grande coalizione dopo elezioni problematicissime ci ricorda che il popolo tedesco, quando deve fare qualcosa, la fa bene.......more
C'è una strana sensazione nel commentare un libro di storia, e di storia militare in particolare. Non puoi certo dire che la trama non sia avvincente,C'è una strana sensazione nel commentare un libro di storia, e di storia militare in particolare. Non puoi certo dire che la trama non sia avvincente, oppure che sia troppo scontato. La storia quella è: forse, è proprio sbagliato leggere un libro sulla seconda guerra mondiale come se fosse un romanzo, anche se la tentazione è davvero forte, vista la densità e la drammaticità degli eventi.
Sono stato di parte, lo ammetto. Nell'affrontare l'opera divulgativa di uno dei più famosi storici della seconda guerra mondiale del secolo ventuno, mi sono limitato solo alla seconda parte, quella dove i nazifascisti perdono. Questione di principio, questione di sangue.
Non posso dire che sia stato un libro inutile, perchè man mano che le pagine scorrevano, man mano che si formava nella mia testa la domanda "ma cosa ti aspettavi di trovare?" mi adeguavo istintivamente alla maniera corretta di leggere un testo storico divulgativo, ovvero non focalizzandosi sugli eventi che si conoscono già , ma sul punto di vista, sul taglio. In quest'opera Robert Citino è quel che è, cioà un italo americano di oggi. E come tale dà molta importanza all'aspetto etnico culturale del confronto; cerca il più possibile continuità tra il modo della wehrmacht di fare la guerra ( la terribile blitzkrieg, il terribile kesselschlacht) e la tradizione prussiana che risale a Federico il Grande, a Clausewitz, a Von Moltke.
Non posso dire che sia del tutto sbagliato, perchè quei parallelismi si possono cogliere davvero, a partire dalla preferenza per una guerra di movimento e di aggressione, fino ai discorsi deliranti di Hitler negli ultimi, tragici giorni prima della caduta. Allo stesso tempo una simile totalizzante sottolineatura sembra esagerata. Mancano una infinità di sfumature, la più importante delle quali è secondo me la complicità , la contaminazione delle forze armate in quel bubbone pervertito della storia germanica che è il delirio nazista. La piaga nazista si vede troppo poco, in questo libro.
Persino le ultime pagine, che con grande saggezza Citino dedica alla descrizione di Ferdinand Schorner, il tipico feldmaresciallo nazista del 1945, trasudano sete di sangue, ansia di distruzione e di tragedia, ma non spiegano la forma mentis con la quale la tradizione prussiana è confluita nel nazismo. Altrettanto smaccato il tentativo di allineare l'Unione Sovietica di Stalin alla germania nazista. Al netto di alcuni inevitabili parallelismi, secondo me è una operazione sbagliata. Questo non perchè il comunismo sovietico non sia stato per molti versi altrettatnto deleterio che il nazismo: proprio lo spaventoso impatto che le due esperienze ebbero sulla storia dei popoli che li subirono, nazismo e comunismo sovietico vanno studiati a fondo, a parte e per quello che sono stati, nella loro grande diversità .
Poche energie vengono dedicate alla spiegazione degli eventi, all'aspetto tattico, a ciò che succedeva sul campo. Potrebbe essere dovuto al fatto che tutto quello che si doveva sapere è stato già documentato più e più volte in testi precedenti; il punto è che chi comincia a leggere questo libro partendo da zero, non capirà molto di quello che è successo nella seconda guerra mondiale.
La storia della seconda guerra mondiale presentata da un americano agli americani, alla maniera americana. Il che non è necessariamente un male (tra l'altro il testo è rapido, snello, leggibilissimo e godibilissimo) ma un europeo che quegli eventi se li porta dentro, magari si aspetta un po' di più.
Nota di demerito per la pessima redazione, strapiena di refusi. Un po' più di impegno, nel correggere le bozze?...more
In tutti questi anni mi è capitato tante volte di dare all'orrore della guerra una connotazione geografica: quel parallelogrammo compreso tra la VistoIn tutti questi anni mi è capitato tante volte di dare all'orrore della guerra una connotazione geografica: quel parallelogrammo compreso tra la Vistola ed il Dnepr, tra i Carpazi e la palude del Pripjat. Un parallelogrammo di sangue che richiama il meridiano di sangue di Cormac McCarthy con l'aggravante che è tutto vero: dalla guerra civile russa a Holodomor, dalla seconda guerra mondiale al conflitto tanto terribile quanto imprevisto esploso tra Russia ed Ucraina due anni fa. In generale, i territori in cui risorse economiche, significato geopolitico ed odio etnico si incrociano, non riescono a conoscere pace. Ovviamente peraltro i poveracci non li vuole nessuno e li lasciamo magnanimamente agli altri.
La battaglia di Stalingrado non ricade nel parallelogrammo (è qualche centinaio di chilometri a est del Dnepr, ma per le distanze russe cento chiloetri sono niente), ma ne ricalca la logica come pure questo saggio dovrebbe spiegare e non fa. E' uno scontro per un territorio strategico e ricco di risorse, ed è anche il culmine dell'odio ideologico (nazismo contro comunismo) e razziale (ucraini e calmucchi contro russi, ancora una dannata volta). Anche solo per fare chiarezza su questo, "Stalingrado" di Anthony Beevor è un libro che avrebbe potuto essere attuale.
Ma per quel che riguarda la mia esperienza di lettura le positività finiscono qui. Il punto, ed è un problema generalizzato e preoccupante, è che nell'affrontare da profano appassionato un qualunque tema, ad un certo punto o ci si pone ad un livello specialistico che non si hanno nè il tempo nè le risorse per affrontare, oppure si incontra sempre e solo le stesse nozioni spicciole. Nel caso specifico, il leggendario testo di Anthony Beevor dimostra tutti i suoi anni (è del 1998), sotto molti punti di vista. E' puramente qualitativo, mancano numeri e stime. La lettura dello scontro è puramente militare, mancano considerazioni sull'aspetto logistico, sull'aspetto delle risorse e soprattutto sull'aspetto etnico. Ma ciò che è peggio è che le considerazioni che farebbero capire le decisioni spesso apparentemente insensate dei protagonisti di quello scontro epico, mantengono tutte il punto di vista della guerra fredda.
Stalin cinico e disposto a tutto, Zukhov che usa migliaia di soldati come carte da macello, Hitler il pazzo che distrugge le strategie dei generali tedeschi (che non a caso, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale ebbero un ruolo importante nel consolidare le armate NATO in Europa). Davvero troppo, troppo poco per rendere un libro attuale nel ventunesimo secolo. Peccato.
Alla fine, la sufficienza se la guadagna comunque, alla luce della brillantissima penna di divulgatore di Antony Beevor, ma nulla più....more
Inconfondibile Alberto Angela, non solo nei suoi (eccellenti) programmi televisivi ma anche nella pagina scritta: questa volta il miglior divulgatore Inconfondibile Alberto Angela, non solo nei suoi (eccellenti) programmi televisivi ma anche nella pagina scritta: questa volta il miglior divulgatore italiano (se la gioca alla pari con Alessandro Barbero) decide di scrivere lui stesso il libro che avrebbe voluto leggere da sempre, e ci consegna un ritratto della roma imperiale del primo secolo facendo giustizia di Nerone, l'imperatore al quale forse fummo troppo molesti.
La prima tappa della trilogia racconta la città eterna nei momenti immediatamente precedenti l'incendio, con gli occhi di due vigiles addetti appunto a sorvegliare la città contro rischi di questo tipo. Ne emerge l'immensa vitalità , una modernità architettonica ed istituzionale inimmaginabile per quei tempi, ma anche le spaventose difficoltà del gestire una megalopoli di un milione di abitanti con le conoscenze del mondo antico.
Lettura bella, piacevole ed abbastanza interessante, paga forse il tono e l'intento forse troppo divulgativi, che rischiano di tagliar fuori il lettore appassionato di storia romana; dall'altra parte il taglio molto didascalico rischia di non catturare l'attenzione del lettore occasionale. Magari spostarsi di più verso la parte più romanzata avrebbe reso il libro più gradevole, forse di più che trasformare il primo capitolo della trilogia di Nerone in un saggio. Così resta una via di mezzo che non si può definire un successo assoluto, anche se il giudizio resta enormemente positivo.
Nel prossimo capitolo le fiamme divamperanno sulla caput mundi!...more