Un agrimensore arriva in un villaggio governato da un misterioso Conte e si scontra con la burocrazia e con il rigido ordine sociale lì presente.
ReceUn agrimensore arriva in un villaggio governato da un misterioso Conte e si scontra con la burocrazia e con il rigido ordine sociale lì presente.
Recensire questa ultima opera (purtroppo incompiuta) di Kafka non è facile, vista la complessità della vicenda e le mille interpretazioni che ne possiamo ricavare. Il protagonista, K. (non conosceremo mai il suo nome) fin da subito si ritrova addosso mille problemi intanto di accettazione (mettono pure in dubbio che lui sia lì per sbaglio) del suo lavoro, e viene sbalzato continuamente da un luogo a un altro, e la sua presenza è subito vista con sospetto e diffidenza da tutti. Più K. fa domande, più tenta di raggiungere almeno un delegato del Conte, più non ottiene nulla o quasi. E in tutta la vicenda respiriamo un'atmosfera cupa, disorientante, alienante, disturbante a tratti, fino all'assurdo. A me è sembrato come se il protagonista si trova in un labirinto e non ha nessuna speranza di uscirne fuori. Gli abitanti non lo aiutano per nulla, anzi, sono tutti impauriti dal Potere (del Conte, della burocrazia, delle regole, degli ordini, ognuno ci può vedere qualunque cosa) e invece di aiutarlo lo scoraggiano, gli consigliano anzi di andarsene, da solo fastidio la sola sua presenza, figurarsi la presunzione di incontrare il Conte o chi ne fa le veci. Anche quando incontra il sindaco del paese non riuscirà a cavare un ragno dal buco. Durante la lettura non fai altro che respirare un'aria di estraneità, di smarrimento, come se la vita alla fin fine non abbia alcun senso e più combatti per ottenere qualcosa più ti ritrovi punto e accapo. Emerge una forte incomunicabilità col mondo e i suoi personaggi, un'impotenza verso le istituzioni che ti chiudono le loro porte e non ti lasciano alcuna speranza per il futuro anche immediato.
Capisco che a molti questa lettura potrà sembrare ostica, noiosa, inconcludente, ripetitiva, addirittura illeggibile, ma credo sia proprio questa l'idea che l'autore voleva trasmettere, ovvero che è inutile lottare contro il Potere, alla fine vincerà sempre lui e tu rimani sono un inutile e arrugginito ingranaggio che gira da solo....more
Questo libro è una raccolta di racconti di Franz Kafka, scrittore boemo. Ne contiene esattamente 11. Ben noto è che tutta l'opera di Kafka è caratteriQuesto libro è una raccolta di racconti di Franz Kafka, scrittore boemo. Ne contiene esattamente 11. Ben noto è che tutta l'opera di Kafka è caratterizzata da atmosfere tetre, angoscianti, dove l'individuo lotta contro il destino avverso e da dove ne esce sempre sconfitto. Non a caso egli è considerato un acuto interprete delle paure della società europea del primo Novecento.
Il racconto più breve di questa raccolta è il primo, L'avvoltoio (1920), dove il protagonista racconta di essere tormentato da un avvoltoio che gli becca con violenza i piedi. Un passante, che giunge quando ormai i piedi sono lacerati, chiede al protagonista perché mai non reagisse per scacciare il feroce volatile: nonostante il tormento sembra essergli indifferente e costretto ad accettarlo. Allora il passante va a procurarsi un fucile per eliminare il volatile: e l’avvoltoio lo capisce e subito si slancia in un affondo attraverso la bocca dell’inerme, spingendosi dentro le sue viscere: “sentii, liberato, che nel mio sangue straripante, di cui erano piene tutte le cavità, l’avvoltoio affogava irrimediabilmente�. Questo brevissimo racconto è certamente ispirato alla leggenda di Prometeo che viene tormentato da un aquila. Il protagonista per liberarsi dalla tortura deve pagare con la vita.
Nel secondo racconto, Il digiunatore (1922), narra una sorta di esperimento umano: una persona decide di digiunare e tutti i passanti possono osservarlo giorno dopo giorno. Qua Kafka ci da una visione del darsi dell'arte, della scrittura nel suo caso. Questo racconto lo scrisse negli ultimi anni di vita, roso dalla tubercolosi e costretto a spostarsi da un sanatorio all'altro fino all'insorgere di una laringite tubercolare che lo inchioderà a un progressivo silenzio e, appunto, digiuno.
In Primo dolore (1922) troviamo un giovane trapezista di abilità straordinaria che non vorrebbe mai scendere dalla corda. il titolo sembra alludere al primo momento di un cammino di crescita: il dolore di cui si parla è una raggiunta consapevolezza, il primo grado di una cognizione che si realizza pian piano, come il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Per il trapezista ogni residuo, ogni frammento di comunicazione fra il mondo normale degli uomini e lo spazio trascendente a cui tendono ne impedisce l’assoluta giustificazione e realizzazione.
Un incrocio (1917) è una bestia, un incrocio tra un gatto e un agnello. In una delle sue ultime lettere a Felice Bauer, Kafka aveva scritto di se stesso che non poteva avere “né famiglia né amici; parla altresì del coltello del macellaio ebreo come mezzo per la sua redenzione. Possiamo quindi concludere che, narrando della bestia, Kafka parla di se stesso, affermando di non avere familiari e di desiderare la morte. Si tematizza la problematica dell’identità e del ruolo di un essere strano all’interno dei sistema familiare. Il “gatto�, con la sua vitalità e la sua aggressività, potrebbe simboleggiare l’eredità da parte della famiglia paterna, l'”agnello�, invece, la famiglia materna Löwy, più pacifica e di tradizione più spirituale.
Lo stemma cittadino (1920) ci riporta alla leggenda narrata nella Bibbia in Genesi 11: la costruzione della Torre di Babele. Kafka però ci dice che non fu ultimata non perché gli uomini non riuscivano a capirsi, quindi per mancanza di comunicazione, ma per scelta: una volta concordata l’idea essenziale di costruire una torre celeste � idea che, «una volta concepita nella sua grandezza, non potrà più scomparire» � non c’� fretta di procedere. Dato lo stato attuale dell’architettura, non si può sperare di finire la Torre nell’arco di una generazione, e chiunque vi lavorasse lo farebbe sapendo che non la vedrà mai compiuta; non è più sensato rimandare finché le conoscenze non si siano perfezionate, così da garantire di portare a termine il lavoro nel tempo di una vita umana? Nell’attesa si abbellisce la città nata attorno al cantiere. Sorgono liti per faccende di proprietà; i capi prendono a pretesto le liti per rimandare ulteriormente l’inizio dei lavori; ci si distrae arricchendo i quartieri, originando nuove contese. In questo modo si prosegue per generazioni, incapaci tuttavia di abbandonare la città.
Kafka ci parla ancora della Torre di Babele nell'ultimo racconto della raccolta, Durante la costruzione della muraglia cinese (1917), dove possiamo indovinare cosa intende egli per Babele: la direzione che coordina i lavori ha deciso di costruire la Muraglia per frammenti isolati, così che gli operai non fossero sconfortati dall’immensità dell’impresa; questo ha fatto sì che in essa restassero dei vuoti, destinati tuttavia a non essere colmati, perché non c’� chi possa percorrerla tutta e ripararli. La Muraglia è quindi difettosa fin dalla progettazione. è inutile, perché concepita come difesa contro i barbari del Nord, troppo lontani per costituire un pericolo; eppure essa sola è in grado di fornire «fondamenta sicure per una nuova Torre di Babele».
Si tratta di due Babeli differenti, perché differente è ciò che rappresentano. Nella Costruzione della Muraglia Cinese, la Babele eternamente rinviata non è Babele; è l’Impero. Ma anche questo è inesatto: perché quel che Babele e l’Impero significano, quel che hanno in comune, è precisamente il fatto che non possono significare alcunché. Ne Lo stemma della città la Torre, a suo modo, c’�: l’essenziale di tutta l’impresa non è la Torre fisica, ma l’idea di costruirla, la quale è tanto grande che non potrà mai venir meno; «finché esisteranno uomini esisterà anche lo strenuo desiderio di ultimare la costruzione della Torre». Similmente esiste per il popolo l’Imperatore presente: com’� illustrato dal Messaggio dell’Imperatore, parabola contenuta all’interno del racconto, ogni suddito crede che l’Imperatore in punto di morte abbia affidato a un messaggero un messaggio indirizzato a lui; ma tanto grande è l’Impero che il messaggero non riuscirà mai a raggiungere il destinatario, e se lo raggiungerà il messaggio non sarà più quel che era in partenza � sarà la parola di un re morto, mentre quel che il suddito aspetta è la parola di un re vivo. Ogni costruzione umana, alla luce di questo altrove, è provvisoria.
In Prometeo (1918) Kafka riferisce le variazioni del mito sull’eroe che rubò il fuoco, la luce, agli dei. Quattro leggende riassunte in poche righe, come appunti interrotti. La prima è quella tradizionale: “…fu inchiodato al Caucaso, …e gli dei gli mandavano aquile a divorargli il fegato sempre ricrescente�. Le ultime tre non sembrano diversi epiloghi del suo supplizio, ma la concatenazione dello stesso evento. Prometeo per il dolore si ritrae sempre più nella parete di pietra, fino a diventare roccia egli stesso. Prometeo è dimenticato da tutti, dagli dei e dalle aquile. E� dimenticato il suo tradimento. Tutti si stancano di lui che non ha più motivo di essere; anche la sua ferita si stanca di sanguinare e così si richiude. L’enigma rimane per Kafka la montagna rocciosa. La leggenda contiene sempre un fondo di verità, scrive, e riesce a spiegarsi solo nell’inspiegabile: anche lui vuole dimenticare Prometeo, senza permettergli salvezza. E� del tutto trascurato, infatti, l’epilogo della storia, raccontato da Eschilo: Eracle libera il titano. Il semidio si fa tramite degli dei e degli uomini e riconduce l’equilibrio perduto.
Sciacalli e arabi (1917): in questo racconto, uno sciacallo si spinge sotto il braccio del narratore che sta dormendo accampato in un'oasi in mezzo agli arabi. Gli parla del conflitto tra sciacalli ed arabi. Questi ultimi sono da disprezzare, nonostante la loro fredda superbia, perché uccidono le bestie per mangiarle e disprezzano le carogne. Essi, gli arabi, solo con la loro presenza infettano l'aria. Sudicia è la loro barba orrenda, i loro occhi e il cavo delle loro ascelle è l'inferno. Per questo gli sciacalli amano il deserto. Vogliamo "purezza, soltanto purezza", dice il vecchio sciacallo, mentre gli altri singhiozzano e piangono, per cui sarà lui, l'uomo del Nord, tanto atteso, a compiere giustizia e gli offrono una forbice per uccidere gli arabi. Ma il capo degli arabi si sveglia e li frusta, poi porta loro in dono un cammello appena morto. "Bestie meravigliose non è vero? E come ci odiano!" afferma l'arabo. Addomesticare l'odio con la forza della necessità è il gioco dell'arabo, secondo Kafka.
Nel racconto Relazione per un'accademia (1917) il professor Rotpeter ci racconta la sua vicenda personale di scimmia che ha dovuto reprimere la propria natura per adeguarsi a quella da uomo pur di avere una via di fuga dalla condizione di cattività in cui era caduto. Come ci tiene a ribadire durante l’esposizione, non è stata la voglia di libertà a fargli trovare la soluzione per uscire dalla gabbia in cui lo avevano rinchiuso gli uomini che lo avevano catturato, ma la necessità di trovare una via di fuga. La libertà, infatti, sebbene puntasse a riconquistare lo status quo contemplava numerosi rischi, e soprattutto metteva in pericolo la propria vita, la via di fuga, invece, puntando solo ad uscire dalla condizione in cui era � su una nave rinchiuso in una gabbia con la faccia verso un baule � comportava meno rischi. Questa scelta, presa con la pancia, così come fanno le scimmie, segna l’inizio di una nuova vita per Rotpeter: la sua rinascita come uomo. La commistione uomo-animale è ancora più plausibile perché ciò che si verifica in Rotpeter è solo una sorta di accelerazione del concetto darwiniano di evoluzione: la scimmia che si ingegna per trovare una soluzione a un problema e, una volta giunta allo stadio più avanzato, è impossibilitata dal tornare indietro.
In Undici figli (1917) un padre ci descrive i suoi undici figli, che in realtà sono gli undici racconti che Kafka sta o ha scritto.
Un fatto di ogni giorno (1917) è un altro racconto presente in questa raccolta. ...more
Dopo aver letto Il processo eccomi a una nuova lettura di Kafka, anche in questo caso incompiuta.
Un ragazzino sedicenne viene incolpato di aver messoDopo aver letto Il processo eccomi a una nuova lettura di Kafka, anche in questo caso incompiuta.
Un ragazzino sedicenne viene incolpato di aver messo incinta la cameriera e i suoi genitori lo spediscono in America a cercarsi un lavoro. Qua trova suo zio che lo prende sotto la sua ala e inizia a studiare l'inglese, ma un imprevisto lo scaccerà via da casa e inizieranno le sue disavventure.
La prima cosa che colpisce del protagonista è la sua estrema ingenuità: tanto è vero che viene preso in giro e scacciato più di una volta dai vari lavori che prova a fare. Effettivamente in questa opera si percepisce l'ispirazione allo stile dickensiano e anche stavolta vi è del surreale. Karl non si scoraggia nonostante le diverse batoste che prende e ricomincia ogni volta daccapo verso un nuovo lavoro/disavventura. Quanta rabbia mi è salita tutte le volte che veniva ingiustamente incolpato e poi licenziato, oppure quando viene maltrattato dai due amici approfittatori che incontra nella locanda. Avrei tirato io il pugno in faccia a loro al posto suo! Sicuramente il primo capitolo potrebbe annoiare, mentre la parte di quando lavora come ascensorista nell'hotel è quella meglio scritta a mio parere. L'ultima parte, quando viene letteralmente preso in ostaggio dalla matrona Brunilda mi ha abbastanza irritato, e poi peccato che il romanzo non è stato completato ma abbiamo solo due frammenti più il capitolo finale sul teatro (il peggior capitolo).
Non posso negare che Kafka aveva molto talento, peccato che in questa opera non ha sicuramente dato il meglio di sé o comunque si sente che l'opera sarebbe stata molto più lunga e forse più interessante. A tratti potrebbe risultate indigesto. ...more
Il processo è un romanzo incompiuto di Franz Kafka che ci parla di una passiva accettazione dell'ineluttabilità di una giustizia con logiche insondabiIl processo è un romanzo incompiuto di Franz Kafka che ci parla di una passiva accettazione dell'ineluttabilità di una giustizia con logiche insondabili contro cui a nulla servono la razionalità e la lucidità di Josef K., accusato, arrestato e processato per motivi misteriosi. Il romanzo è composto da 10 capitoli che Kafka scrisse tra l'agosto il 1914 e il gennaio del 1915, che l'autore più volte rivide e che il suo amico Max Brod volle pubblicare dopo la sua morte, contrariamente al volere di Kafka che aveva espresso il desiderio di bruciare tutto.
K. è un banchiere il quale una mattina viene dichiarato in arresto e non gli viene detto quale sia il motivo. Così si reca davanti alla corte e assiste alla sua prima udienza dalla quale ne esce spaesato e inizia così a cercare aiuto e, consigliato da suo zio, si trova un avvocato. Nonostante è stato dichiarato in arresto, dunque, è stato lasciato libero di continuare a lavorare ma K. non sarà più come prima.
In questo romanzo Kafka utilizza uno stile che rende la narrazione spersonalizzante e angosciosa, e tutta la trama mette in dubbio qualunque punto di riferimento. Il protagonista, da quando viene posto in arresto, non fa che lottare contro il destino che improvvisamente gli si fa contro: egli viene raggirato, preso in giro, si confonde, si spazientisce, corre da una persona a un'altra, si perde in labirintici edifici, si innamora. Egli si sente in un certo senso perseguitato, stalkerato dal fato impersonato dalla macchina giudiziaria dalla quale intuisce non ne uscirà più, nonostante egli sa di essere innocente. Il mondo stesso sembra essere in rivolta con lui. L'autore sembra volerci dire che non esiste alcuna giustizia e che ogni nostro tentativo di scagionarci è inutile. E ciò comporta la solitudine che emerge preponderante dalle azioni e dalle riflessioni del protagonista, sempre più disorientato e rassegnato.