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Pedro Páramo
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UN RANCORE VIVENTE

Francisco Goya viene spesso in mente leggendo queste pagine. Qui “Pellegrinaggio a San Isidro�, 1820-23, Madrid, Prado.
Questo è Pedro Páramo, un rancore vivente.
Perché era prepotente, come nessuno, e più di tutti.
Perché ha fatto il bello e il cattivo tempo, il bello per sé, il cattivo per gli altri. Perché ha disseminato quella parte di Messico di figli, tutti figli non riconosciuti tranne uno.

Ancora Goya: “I due vecchi�, 1820-23, Madrid, Prado.
Rulfo va all’essenziale, se scrive un saluto, tralascia la risposta.
E io ho problemi con la gente che si lascia, o chiude una conversazione, senza salutare, ancora peggio se evita di rispondere al saluto dell’interlocutore.
Gli stessi problemi, che per antitesi, ho con chi, come da invalsa pratica, si accommiata dicendo “ciao ciao ciao ciao ciao ciao�.�.
In questo, mi rendo conto, ricalco le orme del Moretti di Palombella rossa.
Ma Nanni, che piacciano i suoi film o meno, è ormai davvero patrimonio nazionale, citato almeno quanto Totò. E più di Albertone.

Juan Rulfo era anche fotografo: qui uno dei suoi magnifici scatti.
E ho problemi col realismo magico.
E quindi dovrei avere problemi anche con questo Pedro Páramo, che da qualcuno viene considerato il padre del realismo magico, e si dice abbia ispirato a Marquez il suo celebre capolavoro.
Invece, non ne ho, non problemi con Rulfo.
Come dicevo, Rulfo salta i convenevoli.
Così come salta nel tempo, i piani temporali si susseguono bruschi senza avvertimento.
Bruschi, e magici. I sessanta e passa anni di vita di questo romanzo sembrano ieri, o oggi, ma anche domani.

Fotografia di Juan Rulfo.
Rulfo compie altri salti: per esempio quello di punto di vista, ora è un narratore intradiegetico, ora invece extradiegetico, ora autodiegetico ora eterodiegetico, ora omodiegetico, ora invece diegetico (io invece non salto, li elenco tutti).
Altrettanto repentinamente si passa dal ‘tu� al ‘lei�: ma siccome quel ‘tu� dura una battuta sola, mi viene da pensare che sia opera (maldestra) di Einaudi, non di Rulfo.

Una delle bellissime fotografie di Juan Rulfo.
I morti parlano, i morti passano a salutare prima di andar via definitivamente, i morti si mescolano ai vivi, si muore di tristezza, si muore sospirando, perché ogni sospiro è come un sorso di vita che se ne va, Rulfo sa come gestire la magia.
E io, che credo poco all’aldiqua, men che meno all’aldilà, mi scopro ad avere una fascinazione particolare per la letteratura dove i morti si mescolano ai vivi, quasi fosse difficile separarli. Penso al magnifico romanzo di Satta, Il giorno del giudizio, penso ovviamente a Spoon River. Leggere Pedro Páramo è un po' come sognare un sogno triste e confuso.

Versione del dio serpente piumato, Quetzalcoat, che si mangia la coda.
Dopo un breve inizio, in cui l’apparente protagonista Juan Preciado parte alla ricerca del padre mai conosciuto, il Pedro Páramo del titolo, perché lo ha promesso alla madre morente, dopo poche pagine ci si perde in un universo altro, in un intrico di storie che sembra le radici di una pianta amazzonica, in una circolarità che ricorda l’Uroboro e annulla il presente nel passato.
Rulfo si guadagnò da vivere scrivendo e fotografando, ma la scrittura fu soprattutto cinematografica, le opere narrative sono una manciata. E viene da pensare che la gabbia (e le griglie) delle sceneggiature lo spinsero a scatenarsi quando dedito a romanzi e racconti. A scatenarsi in un febbricitante delirio.

Un’altra magnifica fotografia di Juan Rulfo.

Francisco Goya viene spesso in mente leggendo queste pagine. Qui “Pellegrinaggio a San Isidro�, 1820-23, Madrid, Prado.
Questo è Pedro Páramo, un rancore vivente.
Perché era prepotente, come nessuno, e più di tutti.
Perché ha fatto il bello e il cattivo tempo, il bello per sé, il cattivo per gli altri. Perché ha disseminato quella parte di Messico di figli, tutti figli non riconosciuti tranne uno.

Ancora Goya: “I due vecchi�, 1820-23, Madrid, Prado.
Rulfo va all’essenziale, se scrive un saluto, tralascia la risposta.
E io ho problemi con la gente che si lascia, o chiude una conversazione, senza salutare, ancora peggio se evita di rispondere al saluto dell’interlocutore.
Gli stessi problemi, che per antitesi, ho con chi, come da invalsa pratica, si accommiata dicendo “ciao ciao ciao ciao ciao ciao�.�.
In questo, mi rendo conto, ricalco le orme del Moretti di Palombella rossa.
Ma Nanni, che piacciano i suoi film o meno, è ormai davvero patrimonio nazionale, citato almeno quanto Totò. E più di Albertone.

Juan Rulfo era anche fotografo: qui uno dei suoi magnifici scatti.
E ho problemi col realismo magico.
E quindi dovrei avere problemi anche con questo Pedro Páramo, che da qualcuno viene considerato il padre del realismo magico, e si dice abbia ispirato a Marquez il suo celebre capolavoro.
Invece, non ne ho, non problemi con Rulfo.
Come dicevo, Rulfo salta i convenevoli.
Così come salta nel tempo, i piani temporali si susseguono bruschi senza avvertimento.
Bruschi, e magici. I sessanta e passa anni di vita di questo romanzo sembrano ieri, o oggi, ma anche domani.

Fotografia di Juan Rulfo.
Rulfo compie altri salti: per esempio quello di punto di vista, ora è un narratore intradiegetico, ora invece extradiegetico, ora autodiegetico ora eterodiegetico, ora omodiegetico, ora invece diegetico (io invece non salto, li elenco tutti).
Altrettanto repentinamente si passa dal ‘tu� al ‘lei�: ma siccome quel ‘tu� dura una battuta sola, mi viene da pensare che sia opera (maldestra) di Einaudi, non di Rulfo.

Una delle bellissime fotografie di Juan Rulfo.
I morti parlano, i morti passano a salutare prima di andar via definitivamente, i morti si mescolano ai vivi, si muore di tristezza, si muore sospirando, perché ogni sospiro è come un sorso di vita che se ne va, Rulfo sa come gestire la magia.
E io, che credo poco all’aldiqua, men che meno all’aldilà, mi scopro ad avere una fascinazione particolare per la letteratura dove i morti si mescolano ai vivi, quasi fosse difficile separarli. Penso al magnifico romanzo di Satta, Il giorno del giudizio, penso ovviamente a Spoon River. Leggere Pedro Páramo è un po' come sognare un sogno triste e confuso.

Versione del dio serpente piumato, Quetzalcoat, che si mangia la coda.
Dopo un breve inizio, in cui l’apparente protagonista Juan Preciado parte alla ricerca del padre mai conosciuto, il Pedro Páramo del titolo, perché lo ha promesso alla madre morente, dopo poche pagine ci si perde in un universo altro, in un intrico di storie che sembra le radici di una pianta amazzonica, in una circolarità che ricorda l’Uroboro e annulla il presente nel passato.
Rulfo si guadagnò da vivere scrivendo e fotografando, ma la scrittura fu soprattutto cinematografica, le opere narrative sono una manciata. E viene da pensare che la gabbia (e le griglie) delle sceneggiature lo spinsero a scatenarsi quando dedito a romanzi e racconti. A scatenarsi in un febbricitante delirio.

Un’altra magnifica fotografia di Juan Rulfo.
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April 9, 2017
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April 14, 2017
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April 17, 2017
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April 17, 2017
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message 1:
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Gilla
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rated it 5 stars
Apr 19, 2017 12:38AM

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Le Pitture Nere di Goya sono meravigliose! :-))


Non ho una grande passione per il realismo magico, tutt'altro. Ma Pedro Páramo, realismo o meno, magia ne ha, è stato una breve immersione in una dimensione altra.


Gran bel libro.

Di Alina Bronsky ho letto "La vendetta di Sasha" e "I piatti più piccanti della cucina tatara", Laia Jufresa invece mai sentita. Provvederò.

Can't say about my comment (😉), but the book is more than interesting: it's great!


A great photographer, I believe. Thanks Maria!