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Frankenstein, il Prometeo moderno
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LA MELODIA DEL DOLORE

Ecco il primo Frankenstein della storia del cinema: 1910, è un cortometraggio muto, americano, regia di James, Searley Dawley.
Sono passati duecento anni, due secoli tra questo 2018 e quella notte del 1818.
Sono la tua creatura, ricordalo: avrei dovuto essere il tuo Adamo, e sono invece l’angelo caduto che tu hai allontanato dalla gioia senza colpa alcuna da parte sua.

Dieci anni dopo, 1920, sempre epoca di cinema muto, il primo Frankenstein italiano: la regia è di Eugenio Testa, Umberto Guarracino interpreta il Mostro (questo è l’unico fotogramma sopravvissuto del film).
Non si può dire che Mary Shelley sia nata sotto i migliori auspici.
Figlia dei due più grandi uomini del loro tempo (definizione che credo sia di Mario Praz), la madre Mary Wollstonecraft, probabilmente la prima femminista della storia, e il padre William Godwin, intellettuale e filosofo radicale, la futura signora Shelley nacque il 30 agosto al posto del figlio maschio che era atteso e per il quale era già pronto il nome di William junior.
Il 30 agosto venne alla luce Mary, la madre si ammalò, dieci giorni di febbre, e, il 10 settembre morì.
Segno indelebile sulla piccola Mary che probabilmente da questo momento acquistò la predisposizione al dolore e la sensibilità esasperata. Una storia più romantica d’ogni possibile romanzo, come Mary stessa definì la sua vita.
Sembra che ogni giorno si recasse sulla tomba della madre: a piangere, ma a sedici anni anche a promettere amore eterno al suo principe, o meglio, al suo poeta azzurro, Percy Bysshe Shelley.

Il Frankenstein che ha cambiato la storia: 1931, regia di James Whale, così appare Boris Karloff nei panni della creatura dopo quattro ore quotidiane di trucco. Da qui in avanti l’aspetto fisico del mostro si rifarà a questo modello.
Per continuare sul terreno fecondo alla sua narrativa impregnata di sorrowful mood, Mary a 19 anni ha già perso la prima figlia, dopo solo un mese dalla nascita; partorisce un maschio, che muore a tre anni; ha un’altra femmina, che muore a un anno.
Più o meno nello stesso periodo, la sorella maggiore Fanny, figlia di padre diverso, si suicida con il laudano. Nel giro di poco si suicida anche la prima moglie di Shelley, preparando così la strada al matrimonio tra la scrittrice e il poeta.
Mary riuscì a seppellire anche il suo amato Percy, che morì annegato.

Il romanzo di Polidori fu scritto contemporaneamente a quello della Shelley.
È proprio in questo arco di tempo, segnato da morte e suicidio (tutte morti premature, se esiste un tipo di morte che non lo sia), che Mary Shelley partorisce il suo romanzo più famoso, Frankenstein, or, the modern Prometheus, tra il 1816 e il 1817, tra i diciannove e i venti anni (fu pubblicato nel 1818).
La genesi è aneddoto piuttosto noto: Mary è convinta da sua sorella Claire (Clairmont: stessa madre ma padre differente), che all’epoca era l’amate di Lord Byron, a seguirla a Ginevra dove affittano Villa Diodati. La comitiva è composta da Mary e Shelley, Claire e Byron, il medico e scrittore John Polidori. Tempo piovoso, fu l’anno definito “senza estate�, gli amici leggono molto, soprattutto storie tedesche di fantasmi e il Paradiso Perduto di John Milton. Alla fine (solo tre giorni), Mary produce il Frankenstein, Byron frammenti di un romanzo, e Polidori Il Vampiro, il primo vampiro moderno.

La versione cinematografica che trovo più prossima al romanzo della Shelley è questa, del 1994: regia di Kenneth Branagh, Robert De Niro interpreta la mostruosa creatura.
Si direbbe che Mary tolga la vita a chi la genera (la morte di parto di sua madre) e generi chi in vita non sa restare (i tre figli): nascere è direttamente collegato al morire, che col Frankenstein diventa assassinio.
E Mary si sente contemporaneamente sia il creatore Frankenstein che la mostruosa creatura: Victor Frankenstein, lo scienziato e costruttore impegnato a riprodurre la vita (dalla morte, servendosi di parti di persone già morte) rifiuta la creatura che ha messo al mondo, e la creatura rifiutata si trasforma in agente di distruzione e morte, con metodo, ostinazione, e si direbbe quasi passione, si impegna a distruggere la famiglia del suo autore.
Nel senso che, se la famiglia non lo vuole, il neonato (di dimensioni e proporzioni mostruose) eliminerà la famiglia.

Kenneth Branagh, regista e interprete, nei panni (pantaloni) del dottor Victor Frankenstein.
Viene da rintracciare una genesi del pensiero materno in materia di femminilità nel rifiuto della creatura al momento del concepimento: invece di provare affetto in qualche modo ‘paterno�, Frankenstein classifica la sua creazione come mostruosa sulla base del solo aspetto fisico e la respinge immediatamente (rifiuta, rinnega�).
Eppure il ‘neonato� non può essere malvagio fin dal primo momento, non può essere nato cattivo.

Ed ecco qui a confronto la creatura e il suo creatore, Frankenstein/Branagh e Mostro/De Niro.
Victor Frankenstein, medico e scienziato, è il moderno Prometeo: che ruba il fuoco della vita, ruba la vita alla stessa morte: la materia morta si trasforma in energia viva. Orrenda metamorfosi!
Ma se è Frankenstein a sfidare dio, è sulla creatura che si scatena la punizione divina!
È la stessa Shelley a essere, per così dire, schizofrenica con i suoi due personaggi: per quanto il lettore dovrebbe tifare in automatico per la creatura che è innocente, è una tabula rasa, dato che è appena nata, e certo non responsabile della sua nascita (come non lo è nessun figlio), la Shelley ci spinge (forse perfino di più) a prendere le parti del dottor Frankenstein, ci vuol convincere che la creatura è un mostro prima di tutto per il suo aspetto fisico (brutta, antiestetica).
Jekyll e Hyde con settanta anni d’anticipo.

Non poteva mancare il capolavoro, “young Frankenstein� di Mel Brooks (1974). Qui, Aigor “appena morto�.
Ma è un mostro umano, probabilmente il primo, e sin dalla sua prima apparizione il terrore si mescola alla compassione, perché la Creatura, che ruba il nome al suo creatore diventando Frankenstein tout court, è da subito un infelice, una vittima, un diverso, qualcuno con cui possiamo identificarci.
Talmente umano da diventare sovrumano: la sua dimensione sessuale è elemento di curiosità e attrazione, almeno sullo schermo. Si pensi a Udo Kier che si accoppia con Dalila Di Lazzaro in Il mostro è in tavola, barone Frankenstein prodotto da Andy Warhol, oppure ad Aldo Maccione macho trash in Frankenstein all’italiana, al Frank-N-Furter in guêpière e paillettes in The Rocky Horror Picture Show, o al tenerissimo mostro creatura di Mel Brooks dotato di grosso schwanzstuck.

Creatore e creatura, padre e figlio, Gene Wilder e Peter Boyle.
Tutti gli uomini odiano gli sciagurati. Quanto allora devo essere odiato io, di gran lunga il più miserabile tra gli esseri viventi. Pure tu, mio creatore, detesti e disprezzi me, tua creatura, a cui sei legato da vincoli che solo l’annientamento di uno di noi può sciogliere.
PS
I film dove compare Frankenstein, o meglio, la sua creatura, il Mostro, sono decine, io ne ho contati oltre settanta, incluse le parodie (su tutte, Frankenstein Jr), i cross-over (Frankenstein contro l’Uomo Lupo) , le parodie cross-over (Fracchia contro Dracula).

Tim Curry indimenticabile Dr Frank-N-Furter in the “Rocky Horror Picture Show�, il primo artefice bisessuale della “creatura�.

Ecco il primo Frankenstein della storia del cinema: 1910, è un cortometraggio muto, americano, regia di James, Searley Dawley.
Sono passati duecento anni, due secoli tra questo 2018 e quella notte del 1818.
Sono la tua creatura, ricordalo: avrei dovuto essere il tuo Adamo, e sono invece l’angelo caduto che tu hai allontanato dalla gioia senza colpa alcuna da parte sua.

Dieci anni dopo, 1920, sempre epoca di cinema muto, il primo Frankenstein italiano: la regia è di Eugenio Testa, Umberto Guarracino interpreta il Mostro (questo è l’unico fotogramma sopravvissuto del film).
Non si può dire che Mary Shelley sia nata sotto i migliori auspici.
Figlia dei due più grandi uomini del loro tempo (definizione che credo sia di Mario Praz), la madre Mary Wollstonecraft, probabilmente la prima femminista della storia, e il padre William Godwin, intellettuale e filosofo radicale, la futura signora Shelley nacque il 30 agosto al posto del figlio maschio che era atteso e per il quale era già pronto il nome di William junior.
Il 30 agosto venne alla luce Mary, la madre si ammalò, dieci giorni di febbre, e, il 10 settembre morì.
Segno indelebile sulla piccola Mary che probabilmente da questo momento acquistò la predisposizione al dolore e la sensibilità esasperata. Una storia più romantica d’ogni possibile romanzo, come Mary stessa definì la sua vita.
Sembra che ogni giorno si recasse sulla tomba della madre: a piangere, ma a sedici anni anche a promettere amore eterno al suo principe, o meglio, al suo poeta azzurro, Percy Bysshe Shelley.

Il Frankenstein che ha cambiato la storia: 1931, regia di James Whale, così appare Boris Karloff nei panni della creatura dopo quattro ore quotidiane di trucco. Da qui in avanti l’aspetto fisico del mostro si rifarà a questo modello.
Per continuare sul terreno fecondo alla sua narrativa impregnata di sorrowful mood, Mary a 19 anni ha già perso la prima figlia, dopo solo un mese dalla nascita; partorisce un maschio, che muore a tre anni; ha un’altra femmina, che muore a un anno.
Più o meno nello stesso periodo, la sorella maggiore Fanny, figlia di padre diverso, si suicida con il laudano. Nel giro di poco si suicida anche la prima moglie di Shelley, preparando così la strada al matrimonio tra la scrittrice e il poeta.
Mary riuscì a seppellire anche il suo amato Percy, che morì annegato.

Il romanzo di Polidori fu scritto contemporaneamente a quello della Shelley.
È proprio in questo arco di tempo, segnato da morte e suicidio (tutte morti premature, se esiste un tipo di morte che non lo sia), che Mary Shelley partorisce il suo romanzo più famoso, Frankenstein, or, the modern Prometheus, tra il 1816 e il 1817, tra i diciannove e i venti anni (fu pubblicato nel 1818).
La genesi è aneddoto piuttosto noto: Mary è convinta da sua sorella Claire (Clairmont: stessa madre ma padre differente), che all’epoca era l’amate di Lord Byron, a seguirla a Ginevra dove affittano Villa Diodati. La comitiva è composta da Mary e Shelley, Claire e Byron, il medico e scrittore John Polidori. Tempo piovoso, fu l’anno definito “senza estate�, gli amici leggono molto, soprattutto storie tedesche di fantasmi e il Paradiso Perduto di John Milton. Alla fine (solo tre giorni), Mary produce il Frankenstein, Byron frammenti di un romanzo, e Polidori Il Vampiro, il primo vampiro moderno.

La versione cinematografica che trovo più prossima al romanzo della Shelley è questa, del 1994: regia di Kenneth Branagh, Robert De Niro interpreta la mostruosa creatura.
Si direbbe che Mary tolga la vita a chi la genera (la morte di parto di sua madre) e generi chi in vita non sa restare (i tre figli): nascere è direttamente collegato al morire, che col Frankenstein diventa assassinio.
E Mary si sente contemporaneamente sia il creatore Frankenstein che la mostruosa creatura: Victor Frankenstein, lo scienziato e costruttore impegnato a riprodurre la vita (dalla morte, servendosi di parti di persone già morte) rifiuta la creatura che ha messo al mondo, e la creatura rifiutata si trasforma in agente di distruzione e morte, con metodo, ostinazione, e si direbbe quasi passione, si impegna a distruggere la famiglia del suo autore.
Nel senso che, se la famiglia non lo vuole, il neonato (di dimensioni e proporzioni mostruose) eliminerà la famiglia.

Kenneth Branagh, regista e interprete, nei panni (pantaloni) del dottor Victor Frankenstein.
Viene da rintracciare una genesi del pensiero materno in materia di femminilità nel rifiuto della creatura al momento del concepimento: invece di provare affetto in qualche modo ‘paterno�, Frankenstein classifica la sua creazione come mostruosa sulla base del solo aspetto fisico e la respinge immediatamente (rifiuta, rinnega�).
Eppure il ‘neonato� non può essere malvagio fin dal primo momento, non può essere nato cattivo.

Ed ecco qui a confronto la creatura e il suo creatore, Frankenstein/Branagh e Mostro/De Niro.
Victor Frankenstein, medico e scienziato, è il moderno Prometeo: che ruba il fuoco della vita, ruba la vita alla stessa morte: la materia morta si trasforma in energia viva. Orrenda metamorfosi!
Ma se è Frankenstein a sfidare dio, è sulla creatura che si scatena la punizione divina!
È la stessa Shelley a essere, per così dire, schizofrenica con i suoi due personaggi: per quanto il lettore dovrebbe tifare in automatico per la creatura che è innocente, è una tabula rasa, dato che è appena nata, e certo non responsabile della sua nascita (come non lo è nessun figlio), la Shelley ci spinge (forse perfino di più) a prendere le parti del dottor Frankenstein, ci vuol convincere che la creatura è un mostro prima di tutto per il suo aspetto fisico (brutta, antiestetica).
Jekyll e Hyde con settanta anni d’anticipo.

Non poteva mancare il capolavoro, “young Frankenstein� di Mel Brooks (1974). Qui, Aigor “appena morto�.
Ma è un mostro umano, probabilmente il primo, e sin dalla sua prima apparizione il terrore si mescola alla compassione, perché la Creatura, che ruba il nome al suo creatore diventando Frankenstein tout court, è da subito un infelice, una vittima, un diverso, qualcuno con cui possiamo identificarci.
Talmente umano da diventare sovrumano: la sua dimensione sessuale è elemento di curiosità e attrazione, almeno sullo schermo. Si pensi a Udo Kier che si accoppia con Dalila Di Lazzaro in Il mostro è in tavola, barone Frankenstein prodotto da Andy Warhol, oppure ad Aldo Maccione macho trash in Frankenstein all’italiana, al Frank-N-Furter in guêpière e paillettes in The Rocky Horror Picture Show, o al tenerissimo mostro creatura di Mel Brooks dotato di grosso schwanzstuck.

Creatore e creatura, padre e figlio, Gene Wilder e Peter Boyle.
Tutti gli uomini odiano gli sciagurati. Quanto allora devo essere odiato io, di gran lunga il più miserabile tra gli esseri viventi. Pure tu, mio creatore, detesti e disprezzi me, tua creatura, a cui sei legato da vincoli che solo l’annientamento di uno di noi può sciogliere.
PS
I film dove compare Frankenstein, o meglio, la sua creatura, il Mostro, sono decine, io ne ho contati oltre settanta, incluse le parodie (su tutte, Frankenstein Jr), i cross-over (Frankenstein contro l’Uomo Lupo) , le parodie cross-over (Fracchia contro Dracula).

Tim Curry indimenticabile Dr Frank-N-Furter in the “Rocky Horror Picture Show�, il primo artefice bisessuale della “creatura�.
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Amarilly
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Aug 22, 2018 11:44PM

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Mi sono divertito molto a scrivere questo commento, ho (avuto) un debole per questo genere di letteratura che mi riporta a un periodo della mia vita di diversi anni fa.
E poi, Frankenstein ha così tanto a che fare col cinema, che il mio piacere più che raddoppiare, si triplica.

Anche a me il libro è piaciuto. Apre a più ampia riflessione di quanto comunemente si pensi.

Personalmente rivedrei Frankenstein Junior fino a diventarne parte 😀

Anche a me il libro è piaciuto. Apre a più ampia riflessione di quanto comunemente si pensi."
Vero, la tendenza è quella di banalizzarlo.

Libro letto anni fa . Mi piacque. Ma sto sempre più imparando che la conoscenza approfondita dell'autore e la contestualizzazione dell'opera sono direi quasi necessari, benché ci sia qualcuno che la pensa diversamente (noto , sempre di meno).

Libro letto anni fa . Mi piacque. Ma sto sempre più imparando che la conoscenza approfondi..."
Tra quelli che la pensano diversamente ci sono proprio gli stessi scrittori.
Se nel caso della Shelley e del suo Frankenstein alcuni aspetti biografici e il suo parto letterario appaiono connessi, trovo tuttavia che ricorrere sempre al dato biografico sia una scorciatoia che spesso conduca fuori strada.

Io invece credo che su questa versione passerò.
