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L'educazione
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piperitapitta's review
bookshelves: autori-usa, famiglia, letteratura-usa, religione, romanzo-biografico
Sep 30, 2018
bookshelves: autori-usa, famiglia, letteratura-usa, religione, romanzo-biografico
«Ho perdonato i miei genitori quando ho perdonato me stessa»

L’importanza dell’educazione per affrancarsi dalla miseria, dalla grettezza, dalle violenze subite, come un tarlo che si insinua nel buio e trova uno spiraglio di luce, che apre una breccia nel sonno della ragione e nei mostri che ha generato.
Dell’importanza dell’educazione, che si offre come un gancio in mezzo al buio per aprire la strada alla fuga, in letteratura ce ne hanno parlato in tanti: penso ad Annie Ernaux, naturalmente, che la usa non solo come strumento di ascesa sociale, ma soprattutto per allontanarsi dalla soffocante vita di provincia, ma anche a Il caso Eddy Bellegueul di Édouard Louis, che grazie all’istruzione riesce a trovare la strada per fuggire alle violenze che sin dall’infanzia accompagnano la sua scoperta della sessualità e la presa di coscienza della propria omosessualità ; oppure al racconto Segatura di Chris Offutt in Nelle Terre di Nessuno, nel quale il poverissimo protagonista, appena un bambino, capisce che la sua curiosità e la sua intelligenza, se indirizzate, possono aprirgli porte di cui nemmeno sospettava l’esistenza. E indipendenza. E libertà .
Ma il caso di Tara Westover, classe 1986, è diverso ancora, e per certi versi maggiormente emblematico e sconcertante, perché Tara oggi scrittrice di questo romanzo di autofiction e docente di Storia a Cambridge, è cresciuta nella parte rurale dello stato dell’Idaho, a Buck Peak, insieme a sei fratelli (sono due femmine e cinque maschi) in seno a una famiglia che appartiene al mormonesimo più rigido e intransigente che si possa immaginare. Sempre che noi, oggi, si possa immaginare qualcosa, perché al di là delle poche conoscenze che riguardano i Testimoni di Geova presenti anche da noi (e la recente lettura di La ballata di Adam Henry di Ian McEwan ha aggiunto un prezioso punto di vista), e delle comunità Amish raccontate nei film, di comunità mormone che vivono apparentemente integrate nella società americana (sono una vera e propria chiesa, che non si faccia l’errore di confonderle con una piccola setta religiosa) - laddove, come in questo caso, non vi sia una deriva che sconfina nel fanatismo - credo che la maggior parte di noi ne sappia pochissimo.

Photo from Tara Westover’s book educated

La sua è una famiglia apparentemente normale, mimetizzata dalle poche possibilità economiche in un contesto sociale semplice, e dove la maggior parte dei concittadini sono anche loro mormoni; il padre e i fratelli, ma anche lei, quando i fratelli maggiori lasceranno la casa di famiglia, lavorano in una discarica casalinga piena di pericoli, fra i rottami delle automobili, mentre la madre, che inizialmente si occupava di preparare unguenti e misture di erbe a scopo curativo per la levatrice del luogo (quando già partorire in casa è proibito dalla legge), nel corso degli anni diventerà lei stessa levatrice e nel contempo, spinta dal marito - ostile a tutto ciò che proviene dallo Stato, e quindi anche dai medici, colpevole ai suoi occhi di volerli uccidere - e per sostituirsi in tutto e per tutto alla medicina allopatica, naturopata.
Quella di Tara Westover e della sua famiglia è una storia di follia, dove le manie di persecuzione del capofamiglia, probabilmente affetto da disturbo bipolare (non sono io a dirlo, è una delle ipotesi cui giunge la stessa l’autrice nel corso degli anni di studio), le violenze fisiche e psichiche da parte di uno dei fratelli (a indicare che forse alcune tare sono di natura genetica e che forse questo fratello era affetto da schizofrenia), la chiusura a tutto ciò che proviene dall’esterno e dalla società civile - la scuola, dove nessuno dei fratelli, tranne i più grandi nei primi anni della loro esistenza, sono mai andati, i documenti, che non hanno mai avuto, l’informazione, cui non hanno accesso - d’altra parte l’istruzione è qualcosa che nella loro vita viene a mancare molto presto, essendo incaricata la madre, non troppo istruita di loro, di occuparsene - si misurano con le manie persecutorie, in crescendo, del padre, che è convinto di dover proteggere la propria famiglia dall’arrivo dei Giorni del’Abominio, che distruggeranno il mondo, accumulando cibi, armi e costruendo un gigantesco rifugio nascosto nella collina, e da chi, sempre lo Stato, cercherà di ucciderli.
Sembrerebbe quasi un racconto distopico con tendenze apocalittiche, se non fosse che il racconto di Tara Westover attinge dalla sua giovane memoria familiare (l’autrice inserisce nei momenti cruciali e più drammatici del suo racconto delle note con cui informa il lettore dei dubbi riguardo all’esattezza degli stessi, delle diverse versioni date dai fratelli con i quali si è confrontata), se non fosse che l’autrice, oggi appena trentaduenne, ha portato sulla pelle e dentro di sé i segni delle violenze subite.
Se non fosse che lentamente, Tara Westover, inizia ad avere coscienza di sé e del fatto che potrebbe essere qualcosa di diverso da quello che i genitori hanno pensato per lei, che vede la sua strada già tracciata oltre che dalla madre anche dalla sorella maggiore. Se non fosse che lentamente inizia ad aprirsi con curiosità al mondo esterno: al canto. Al ballo. Allo studio inteso come strumento di conoscenza, prima ancora che di istruzione - Tara, per esempio, quando ha accesso al primo programma di istruzione, ignora cosa sia successo l�11 settembre del 2001 e cosa sia l’Olocausto - alla conoscenza come lasciapassare per l’autonomia, autonomia che serve per liberarsi dalla sudditanza psicologica che la paralizza ogniqualvolta prova a liberarsi dal giogo impostole dal padre e dal fratello, ma anche dalla passività della madre.
Bello di una bellezza dolorosa, perché se è vero che c’� riscatto, e basta guardare le foto di Tara Westover oggi e leggere della strada che ha fatto come studiosa e accademica, dall’altro non si può non inorridire di fronte a tanta miseria umana e ignoranza e rabbrividire pensando a quanto orrore provocano la cieca abnegazione e osservanza di precetti falsamente attribuiti alla religione, e non si può non pensare a quanto lungo e doloroso sia stato il suo percorso per riuscire ad arrivare a essere la donna che è diventata oggi.
Non bello da un punto di vista stilistico, piuttosto normale, direi, ma non un libro del quale si potrebbe parlare per giorni e giorni per il suo contenuto e le tematiche che solleva. (A questo proposito, su Il Libraio che accenna alla possibile non totale veridicità di quanto narrato dall’autrice - parte della famiglia ha sconfessato la versione di Tara - e all’attuale posizione delle case editrici che prendono le distanze da questo genere di opere - come non pensare al citato James Frey di Un milione di piccoli pezzi o a J.T. Leroy di Ingannevole in cuore più di ogni cosa?
(che con buone possibilità è la madre di Tara) e i suoi
un'intervista all'autrice, e in cui canta una preghiera mormona.
Infine, stilato da Wikipedia, e nutrito elenco di mormoni famosi, presenti in tutti i settori della società americana, dal mondo della politica a quello dello spettacolo, dell'informazione, della giustizia, degli affari, dell'educazione.

L’importanza dell’educazione per affrancarsi dalla miseria, dalla grettezza, dalle violenze subite, come un tarlo che si insinua nel buio e trova uno spiraglio di luce, che apre una breccia nel sonno della ragione e nei mostri che ha generato.
Dell’importanza dell’educazione, che si offre come un gancio in mezzo al buio per aprire la strada alla fuga, in letteratura ce ne hanno parlato in tanti: penso ad Annie Ernaux, naturalmente, che la usa non solo come strumento di ascesa sociale, ma soprattutto per allontanarsi dalla soffocante vita di provincia, ma anche a Il caso Eddy Bellegueul di Édouard Louis, che grazie all’istruzione riesce a trovare la strada per fuggire alle violenze che sin dall’infanzia accompagnano la sua scoperta della sessualità e la presa di coscienza della propria omosessualità ; oppure al racconto Segatura di Chris Offutt in Nelle Terre di Nessuno, nel quale il poverissimo protagonista, appena un bambino, capisce che la sua curiosità e la sua intelligenza, se indirizzate, possono aprirgli porte di cui nemmeno sospettava l’esistenza. E indipendenza. E libertà .
Ma il caso di Tara Westover, classe 1986, è diverso ancora, e per certi versi maggiormente emblematico e sconcertante, perché Tara oggi scrittrice di questo romanzo di autofiction e docente di Storia a Cambridge, è cresciuta nella parte rurale dello stato dell’Idaho, a Buck Peak, insieme a sei fratelli (sono due femmine e cinque maschi) in seno a una famiglia che appartiene al mormonesimo più rigido e intransigente che si possa immaginare. Sempre che noi, oggi, si possa immaginare qualcosa, perché al di là delle poche conoscenze che riguardano i Testimoni di Geova presenti anche da noi (e la recente lettura di La ballata di Adam Henry di Ian McEwan ha aggiunto un prezioso punto di vista), e delle comunità Amish raccontate nei film, di comunità mormone che vivono apparentemente integrate nella società americana (sono una vera e propria chiesa, che non si faccia l’errore di confonderle con una piccola setta religiosa) - laddove, come in questo caso, non vi sia una deriva che sconfina nel fanatismo - credo che la maggior parte di noi ne sappia pochissimo.

Photo from Tara Westover’s book educated

La sua è una famiglia apparentemente normale, mimetizzata dalle poche possibilità economiche in un contesto sociale semplice, e dove la maggior parte dei concittadini sono anche loro mormoni; il padre e i fratelli, ma anche lei, quando i fratelli maggiori lasceranno la casa di famiglia, lavorano in una discarica casalinga piena di pericoli, fra i rottami delle automobili, mentre la madre, che inizialmente si occupava di preparare unguenti e misture di erbe a scopo curativo per la levatrice del luogo (quando già partorire in casa è proibito dalla legge), nel corso degli anni diventerà lei stessa levatrice e nel contempo, spinta dal marito - ostile a tutto ciò che proviene dallo Stato, e quindi anche dai medici, colpevole ai suoi occhi di volerli uccidere - e per sostituirsi in tutto e per tutto alla medicina allopatica, naturopata.
Quella di Tara Westover e della sua famiglia è una storia di follia, dove le manie di persecuzione del capofamiglia, probabilmente affetto da disturbo bipolare (non sono io a dirlo, è una delle ipotesi cui giunge la stessa l’autrice nel corso degli anni di studio), le violenze fisiche e psichiche da parte di uno dei fratelli (a indicare che forse alcune tare sono di natura genetica e che forse questo fratello era affetto da schizofrenia), la chiusura a tutto ciò che proviene dall’esterno e dalla società civile - la scuola, dove nessuno dei fratelli, tranne i più grandi nei primi anni della loro esistenza, sono mai andati, i documenti, che non hanno mai avuto, l’informazione, cui non hanno accesso - d’altra parte l’istruzione è qualcosa che nella loro vita viene a mancare molto presto, essendo incaricata la madre, non troppo istruita di loro, di occuparsene - si misurano con le manie persecutorie, in crescendo, del padre, che è convinto di dover proteggere la propria famiglia dall’arrivo dei Giorni del’Abominio, che distruggeranno il mondo, accumulando cibi, armi e costruendo un gigantesco rifugio nascosto nella collina, e da chi, sempre lo Stato, cercherà di ucciderli.
Sembrerebbe quasi un racconto distopico con tendenze apocalittiche, se non fosse che il racconto di Tara Westover attinge dalla sua giovane memoria familiare (l’autrice inserisce nei momenti cruciali e più drammatici del suo racconto delle note con cui informa il lettore dei dubbi riguardo all’esattezza degli stessi, delle diverse versioni date dai fratelli con i quali si è confrontata), se non fosse che l’autrice, oggi appena trentaduenne, ha portato sulla pelle e dentro di sé i segni delle violenze subite.
Se non fosse che lentamente, Tara Westover, inizia ad avere coscienza di sé e del fatto che potrebbe essere qualcosa di diverso da quello che i genitori hanno pensato per lei, che vede la sua strada già tracciata oltre che dalla madre anche dalla sorella maggiore. Se non fosse che lentamente inizia ad aprirsi con curiosità al mondo esterno: al canto. Al ballo. Allo studio inteso come strumento di conoscenza, prima ancora che di istruzione - Tara, per esempio, quando ha accesso al primo programma di istruzione, ignora cosa sia successo l�11 settembre del 2001 e cosa sia l’Olocausto - alla conoscenza come lasciapassare per l’autonomia, autonomia che serve per liberarsi dalla sudditanza psicologica che la paralizza ogniqualvolta prova a liberarsi dal giogo impostole dal padre e dal fratello, ma anche dalla passività della madre.
Bello di una bellezza dolorosa, perché se è vero che c’� riscatto, e basta guardare le foto di Tara Westover oggi e leggere della strada che ha fatto come studiosa e accademica, dall’altro non si può non inorridire di fronte a tanta miseria umana e ignoranza e rabbrividire pensando a quanto orrore provocano la cieca abnegazione e osservanza di precetti falsamente attribuiti alla religione, e non si può non pensare a quanto lungo e doloroso sia stato il suo percorso per riuscire ad arrivare a essere la donna che è diventata oggi.
Non bello da un punto di vista stilistico, piuttosto normale, direi, ma non un libro del quale si potrebbe parlare per giorni e giorni per il suo contenuto e le tematiche che solleva. (A questo proposito, su Il Libraio che accenna alla possibile non totale veridicità di quanto narrato dall’autrice - parte della famiglia ha sconfessato la versione di Tara - e all’attuale posizione delle case editrici che prendono le distanze da questo genere di opere - come non pensare al citato James Frey di Un milione di piccoli pezzi o a J.T. Leroy di Ingannevole in cuore più di ogni cosa?
(che con buone possibilità è la madre di Tara) e i suoi
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September 20, 2018
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Sally68
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Jan 22, 2020 10:31AM

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