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Cosimo's Reviews > Lo spazio letterario

Lo spazio letterario by Maurice Blanchot
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Tu traccia infinita!

“La terza persona significa che me stesso è divenuto nessuno, che gli altri sono divenuti altro, che là dove mi trovo non posso rivolgermi a me stesso e che chi si rivolge a me non può dire io e a sua volta è altro da sé�.

Ho letto questo libro con impegno e mi ha restituito un pensiero complesso e raffinato che non so se sia accessibile a una sintesi. Le posizioni politiche dell'autore sono difficili e insicure tanto quanto si rivela polivalente e antinomica la sua riflessione filosofica e letteraria. Cercando di entrare nel discorso del testo, il lettore si trova vicino a sé come parole familiari i versi di Rilke e Hölderlin, le speculazioni negative di Mallarmé e Nietzsche, la fenomenologia esistenziale di Kafka. Italo Calvino ricorda nel saggio L'ordinatore di desideri, contenuto in Una pietra sopra, l'opinione di Blanchot sulla felicità misurata, secondo la quale La misura è un'esigenza così smisurata che obbliga non solo tutto l'universo a modificarsi, ma non si contenta dell'universo e lo fa elemento d'un altro e così via, quasi senza fine, fino alla notte calma in cui tutto si ferma senza che nulla si disfaccia�. Così, è evidente come sia notturno il discorso di Blanchot, originato dalla notte primaria che è fonte di una notte altra. Stefano Agosti, in prefazione, nota con acutezza che questo testo è in stretto legame con le idee di Saussure e Lacan, specie per il concetto di vuoto, assenza, mancanza, dai quali lasciar discendere le elaborazioni sulla natura del segno linguistico e della parola, sulla relazione tra le cose e il linguaggio, nel dialogo tra potenzialità e oggettualità. Blanchot crede che l'opera d'arte, letteraria o in altra forma, tenda sempre a un vuoto dell'origine, sia in altri termini irraggiungibile persino alla scrittura, tormentata e sottomessa, perché si presenta come ٰԱ𾱳à, incessante e intangibile. Questa caratteristica è condivisa in Blanchot dalla neutralità del testo artistico e dalla ineffabilità conoscitiva della morte come evento e come impossibilità. La morte è un aldilà che dobbiamo imparare a riconoscere e accogliere. L'arte e la sua tensione verso la morte tentano, dilatando l'io l'una verso l'altra, un'esposizione, un'incorporazione, una pienezza del vuoto, che naturalmente è destinata al fallimento, nella ricerca di una verità segreta sempre ineffabile e inconoscibile. Il poeta scava il verso e quindi deve disperare; lo scrittore appartiene a ciò che esiste prima dell'opera, a un'anteriorità che egli non può mai convertire in dimora. La solitudine essenziale dello scrittore si rivolge all'intimità con il tu del lettore, ricerca un movimento verso un oggetto (che è transizione), divenuto la sua ombra, rendendolo pura passività, laddove egli cerca di preservare, con una prensione persecutrice, quel che per lui non ha mai inizio, ed egli maledettamente ricomincia, volendo privare il linguaggio del mondo, del gigantesco mormorìo del mondo. Ovvero: Se voglio diventare l'eco, devo imporgli il silenzio. Errare è dunque il compito infinito dei soggetti della creazione letteraria, l'autore, il testo, il lettore, nella duplice accezione di movimento continuo ed errore, interruzione della pulsione alla verità; così nel mentre della ricerca, si crea quello che Blanchot definisce “lo spazio interiore del mondo�. La malinconia di Kafka si compone di luce spaventosa e attraente, perché lo inabissa; egli mette in narrazione l'impossibilità di non vedere, per lui scrivere è un'apertura su ciò che è, quando non c'è ancora un mondo. In ciò la letteratura manifesta una caratteristica unica, mettere in contatto con quel luogo impersonale e anonimo dove si invera la morte, quel nulla inafferrabile che non giunge mai, ma insieme la negazione possibile, la facoltà di morire. È così che Blanchot arriva a definire anche il suicidio; prendere una morte per l'altra, sostituire l'ombra di qualcosa di neutro, il rifiuto al mondo, con l'oscurità di una cessazione congiuntiva, spirituale e indicibile. ”Non mi allontano dagli uomini per vivere in pace, bensì per poter morire in pace�. Le cose hanno una profondità naturale che sfugge al possesso della lingua; le parole non sono materia di verità. Da una parte c'è il mondo concreto, senza di noi; dall'altra un mondo ideale, falso, portatore di illusione. In questo senso l'ambiguità si presenta nei suoi differenti livelli, tutto è parola ma la parola stessa è sparizione, dissoluzione, dissimulazione. Scrivere significa, sempre nel discorso letterario, trovare quel punto immaginario in cui nulla si rivela, non ci sia nulla che lavori dentro le parole. Rilke scrisse che “i versi non sono sentimenti, sono esperienze�. Siamo certi allora che la scrittura non appartenga al male, ci interroga Blanchot? Nessuno è sicuro di esistere né di morire e nessuno mette in dubbio la vita né la morte, ci nascondiamo dalla vita e dalla morte, nascondendoci in esse. È l'affermazione, l'appropriazione di Orfeo, l'oscura lotta per fuggire la necessità, l'indefinito, la negligenza. Scrive Blanchot che colui che viene raggiunto dall'invisibilità non è più l'io, è un altro, che la morte ha trascurato e rifiutato. In questa contraddizione identitaria sta la nostra sofferenza, e l'impazienza che riserviamo al dolore; è la nostra paura che crea quel che ci fa paura, lo spazio della fine è quel lato della vita che non è rivolto verso di noi. Non esiste un al di qua e un al di là, ma solo una grande unità, dove dimora la nostra esistenza, rendendo la nostra coscienza un ostacolo, perché in essa il nostro destino è essere sempre di fronte, presenze e separatezze simultanee. Ecco allora che lo spazio ci oltrepassa e traduce le cose, noi ci consumiamo felicemente nell'essere, continuando a muoverci, trasformarci, puro movimento, apprendiamo i dati dell'esistenza terrena e partecipiamo a significati superiori, in questa dualità subordinati e insubordinati, all'eternità e alla mortalità. Tutto risuona, tutto è nel ritmo. Il canto è assenza e presenza, è trasfigurazione, dice cose finite che escludano l'infinito, che siano opera del cuore, dove le cose si convertono, si fanno interiori. Attraverso il canto, il soggetto non pensa al mondo, è il mondo che pensa lui; scriveva Hofmannsthal che è compito del poeta ”non impedire a nulla l'accesso alla sua anima�. Attuale in questo il pensiero di Blanchot: il libro è intimità, ma oggi l'intimità è diventata una potenza esteriore; la psicoanalisi ci insegna che l'immagine sembra consegnarci profondamente a noi stessi; apparenza, appunto. Solide difese costruiamo contro il mondo superiore e così siamo vulnerabili ai rischi del mondo inferiore. La notte rinchiude nel canto quel che passa oltre il canto. Blanchot è convinto quindi che l'opera sia una via che conduce all'ispirazione, e, a differenza di Wittgenstein, crede che quel che non può essere detto, debba comunque farsi sentire. Tutto quel che è nascosto deve apparire. Bene, ho letto questo libro, e ancora rifletto sulle parole percorse: che ne è di un libro che non viene letto? È la leggerezza del lettore (ancora Calvino) a fare sì che l'opera diventi opera: il libro è uno spazio in cui niente ha ancora senso, è un'aperta violenza verso l'origine. Il lettore evocato scrive nell'autore; poetico vuol dire soggettivo, il testo ci rende deboli, ci annienta, designa una regione dove l'impossibilità non è più privazione ma affermazione, una regione dove possiamo vedere le cose nella loro trasparenza. E nel tempo dell'angoscia.

“”O, dimmi poeta, quel che fai. - Io celebro.
Ma il mortale è mostruoso,
come puoi sopportarlo, come puoi accoglierlo? - Io celebro.
Ma quel che non ha nome, l'anonimo,
come fai a invocarlo comunque? - Io celebro.
Donde trai il tuo diritto d'essere vero
in ogni costume, sotto ogni maschera? - Io celebro
E come possono il silenzio e il furore conoscerti,
così come la stella e la tempesta? - Perché io celebro�.

Rainer Maria Rilke, Per Leonie Zacharias, Poesie Sparse, 20 dicembre 1921
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Reading Progress

February 1, 2020 – Started Reading
February 1, 2020 – Shelved
February 7, 2020 –
page 296
97.69%
February 8, 2020 – Finished Reading

Comments Showing 1-4 of 4 (4 new)

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message 1: by Malacorda (new)

Malacorda ora l'ho rimesso, vediamo quanto dura!


Cosimo grazie @malac!!!! buone letture


message 3: by Asclepiade (new)

Asclepiade Uno di quei classici che da tanto mi propongo di leggere; non ne conoscevo il contenuto: grazie per l'ottima presentazione. Una domanda: secondo te non c'è in quest'opera anche un influsso di Heidegger? A me sembra di avvertirlo qua e là.


message 4: by Cosimo (last edited Feb 10, 2020 11:23PM) (new) - rated it 5 stars

Cosimo grazie a te, @ascleps, blanchot studiò heidegger per il tramite del suo amico emanuel lévinas; nel dopoguerra si oppose al suo silenzio e in difesa di paul celan.


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