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Ragazzi di zinco
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IL VIETNAM SOVIETICO

Ho questa idea: fare un grande e imponente lavoro; dovrebbe essere esattamente come un romanzo, con un'unica differenza: ogni sua parola dovrebbe essere vera.
Parole di Truman capote che progettava il suo “A sangue freddo�.
Un altro romanzo-inchiesta, o romanzo-documentario, di Svetlana Aleksievic: questo è dedicato alla guerra in Afghanistan, all’invasione che l’Unione Sovietica iniziò nel 1979 con la scusa di appoggiare l’esercito regolare di quel paese contro l’attacco di forze giudicate guerrigliere (prima di tutto i cosiddetti mujaheddin), e secondo il governo sovietico finanziate da forze straniere (USA, Cina, Pakistan, Iran, Arabia Saudita, UK).
L’invasione durò dieci anni e fu un bagno di sangue. Un milione di giovani sovietici, uomini e donne, furono impegnati e direttamente coinvolti.
Alla fine i sovietici furono costretti a ritirarsi senza aver ottenuto che un nulla infernale. Un po� come quello che era successo a gli USA in Vietnam: uno sforzo bellico enorme, perdite ingenti, violenza sfrenata, nessun risultato. Da qui, appunto, la definizione di Vietnam Sovietico.

L’occhio e l’attenzione della Aleksievic, come sempre affamata di realtà, è diretto a chi ha combattuto quella guerra, i soldati dell’Armata Rossa, molti dei quali tornavano a casa dentro una bara di zinco (da cui il titolo del libro). Oltre che ai combattenti sovietici, agli ausiliari, al personale medico, alle donne coinvolte. E poi ai aprenti di vittime e reduci. Un impianto corale dove come suo solito Aleksievic intreccia le testimonianze ai dati storici, statistici, ai fatti di cronaca.
Aleksievic ascolta molte voci di donne, come quella dell’infermiera, che racconta le molestie subite dai compatrioti, i tentativi di violenza dai quali è riuscita a difendersi.
Come la madre che accoglie felice e gioiosa il figlio reduce dal fronte, per poi accorgersi che è sempre più silenzioso, sempre più legato ai suoi commilitoni, sempre più portato alla violenza, come se la guerra non fosse rimasta laggiù, ma lo avesse seguito a casa.
Non sono neanche più riuscito a indossare i miei jeans e le mie camicie di prima della guerra, perché erano ormai gli abiti di un altro, di una persona ormai estranea, anche se mia madre mi assicurava che avevano conservato il mio odore.

Uno degli aspetti che emerge con più vivezza è la relazione tra menzogna e verità, la prima a carico dello stato, del potere, dell’ufficialità, la seconda conosciuta da chi è stato al fronte: quello che era stato spacciato per dovere internazionalista e fratellanza col popolo afghano, “vigilanza contro gli intrighi dell’imperialismo� e “sostegno della giusta lotta dei popoli per la libertà e l’indipendenza�, si mostra inesistente di fronte a una guerra affrontata senza la minima preparazione tecnica e in condizioni atroci. I reduci, partiti pieni di belle illusioni e buoni sentimenti, di un romanticismo ingenuo, si trasformano in marionette di un gioco ben più grande di loro, si scontrano con la realtà di un carnaio indicibile, e la vanità del loro intervento, del loro sforzo. Un prezzo da pagare davvero troppo alto.

Elio Vittorini scriveva a proposito della guerra che conobbe di persona, la seconda mondiale:
Ma forse non ogni uomo è uomo; e non tutto il genere umano è genere umano. Questo è un dubbio che viene, nella pioggia, quando uno ha le scarpe rotte, acqua nelle scarpe rotte, e non più nessuno in particolare che gli occupi il cuore, non più vita sua particolare, nulla più di fatto e nulla da fare, nulla neanche da temere, nulla più da perdere, e vede, al di là di se stesso, i massacri del mondo.

Ho questa idea: fare un grande e imponente lavoro; dovrebbe essere esattamente come un romanzo, con un'unica differenza: ogni sua parola dovrebbe essere vera.
Parole di Truman capote che progettava il suo “A sangue freddo�.
Un altro romanzo-inchiesta, o romanzo-documentario, di Svetlana Aleksievic: questo è dedicato alla guerra in Afghanistan, all’invasione che l’Unione Sovietica iniziò nel 1979 con la scusa di appoggiare l’esercito regolare di quel paese contro l’attacco di forze giudicate guerrigliere (prima di tutto i cosiddetti mujaheddin), e secondo il governo sovietico finanziate da forze straniere (USA, Cina, Pakistan, Iran, Arabia Saudita, UK).
L’invasione durò dieci anni e fu un bagno di sangue. Un milione di giovani sovietici, uomini e donne, furono impegnati e direttamente coinvolti.
Alla fine i sovietici furono costretti a ritirarsi senza aver ottenuto che un nulla infernale. Un po� come quello che era successo a gli USA in Vietnam: uno sforzo bellico enorme, perdite ingenti, violenza sfrenata, nessun risultato. Da qui, appunto, la definizione di Vietnam Sovietico.

L’occhio e l’attenzione della Aleksievic, come sempre affamata di realtà, è diretto a chi ha combattuto quella guerra, i soldati dell’Armata Rossa, molti dei quali tornavano a casa dentro una bara di zinco (da cui il titolo del libro). Oltre che ai combattenti sovietici, agli ausiliari, al personale medico, alle donne coinvolte. E poi ai aprenti di vittime e reduci. Un impianto corale dove come suo solito Aleksievic intreccia le testimonianze ai dati storici, statistici, ai fatti di cronaca.
Aleksievic ascolta molte voci di donne, come quella dell’infermiera, che racconta le molestie subite dai compatrioti, i tentativi di violenza dai quali è riuscita a difendersi.
Come la madre che accoglie felice e gioiosa il figlio reduce dal fronte, per poi accorgersi che è sempre più silenzioso, sempre più legato ai suoi commilitoni, sempre più portato alla violenza, come se la guerra non fosse rimasta laggiù, ma lo avesse seguito a casa.
Non sono neanche più riuscito a indossare i miei jeans e le mie camicie di prima della guerra, perché erano ormai gli abiti di un altro, di una persona ormai estranea, anche se mia madre mi assicurava che avevano conservato il mio odore.

Uno degli aspetti che emerge con più vivezza è la relazione tra menzogna e verità, la prima a carico dello stato, del potere, dell’ufficialità, la seconda conosciuta da chi è stato al fronte: quello che era stato spacciato per dovere internazionalista e fratellanza col popolo afghano, “vigilanza contro gli intrighi dell’imperialismo� e “sostegno della giusta lotta dei popoli per la libertà e l’indipendenza�, si mostra inesistente di fronte a una guerra affrontata senza la minima preparazione tecnica e in condizioni atroci. I reduci, partiti pieni di belle illusioni e buoni sentimenti, di un romanticismo ingenuo, si trasformano in marionette di un gioco ben più grande di loro, si scontrano con la realtà di un carnaio indicibile, e la vanità del loro intervento, del loro sforzo. Un prezzo da pagare davvero troppo alto.

Elio Vittorini scriveva a proposito della guerra che conobbe di persona, la seconda mondiale:
Ma forse non ogni uomo è uomo; e non tutto il genere umano è genere umano. Questo è un dubbio che viene, nella pioggia, quando uno ha le scarpe rotte, acqua nelle scarpe rotte, e non più nessuno in particolare che gli occupi il cuore, non più vita sua particolare, nulla più di fatto e nulla da fare, nulla neanche da temere, nulla più da perdere, e vede, al di là di se stesso, i massacri del mondo.

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January, 2004
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September 28, 2020
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September 28, 2020
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September 28, 2020
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piperitapitta
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Sep 29, 2020 02:49AM

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Stai cercando di dire che il tuo futuro commento le darà più lustro del Nobel? 🤔😈

Assolutamente no 😈 , ma un coro di voci spero che possa servire.