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Bussola
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Chi abbia qualche sia pur modesta familiarità coi libri secenteschi saprà benissimo che, a parte i titoli monumentali e i frontespizî folti d’allegorie, li contrassegnavano anche svariati elementi che i moderni studiosi definiscono paratestuali: dediche a illustri patroni, sonetti o epigrammi latini e greci encomiastici di amici o discepoli, epistole celebrative o esplicative dell’autore o altrui; ma oggi, dopo qualche secolo di obsolescenza, un’affine pratica è tornata in auge sotto forma di ringraziamenti a coniugi, congiunti, contubernali, sodali di studî e merende, ispiratori e suggeritori di varia risma, quasi a voler dire che di scienza propria lo scrittore attuale non sa fare un passo né buttar giù mezza pagina: il che appare possibile; ma, come poi attestano le opere, non basta codesta fungaia di esperti e amichevoli guide a porre il malcapitato scrittore de quo al riparo da spiritose invenzioni, tristi corbellerie o sconfortanti cantonate. Mathias Enard � e gliene si renda merito � non segue l’andazzo, e non ringrazia qui anima viva, né in testa né in calce al libro: si limita a dedicarlo ad amici e maestri, alcuni nominati, altri no; eppure si tratta d’un testo ad alto grado di erudizione. Poiché anzi Enard è un orientalista, il protagonista di Bussola è un orientalista, e narrazioni ed allusioni hanno sovente ad oggetto l’Oriente, soprattutto arabo e persiano, e la musica (orientale oltre che nostrana: nostrana, dico, del nostro continente), al lettore ignorante come il sottoscritto rimane sempre il piacevole dubbio se l’erudizione del Nostro sia tutta veridica o ve n’abbiano anche parti di fantasia sul tipo, ad esempio, dei ghiribizzi filologici dei quali qua e là il Leopardi fiorisce le Operette morali: e sarebbero fioriture felici. Il testo è, in pratica, una sorta di monologo interiore d’un professore austriaco, Franz Ritter, esperto di musica persiana e araba, condannato (almeno stando a ciò che riferisce lui) da una malattia mortale non meglio specificata, che durante una notte insonne nel suo appartamento a Vienna rievoca ossessivamente una collega francese fascinosa e lontana, Sarah, oggetto d’un amore impossibile, e ricorda in disordine un passato di viaggi, ricerche, entusiasmi intellettuali e disgusti culturali, da ognuno dei quali, quasi per gemmazione, altri ne rampollano senza posa; e ai ricordi personali si mescolano quelli di letture onnivore, che portano a galla decine di personaggi storici vicini e lontani, con un procedimento che rammenta un po� Sebald (anche per l’inserimento d’immagini nel testo, qui tuttavia molto rare, al contrario che nello scomparso autore anglo-tedesco; e c’� almeno un caso in cui se ne sente la mancanza: quando Franz descrive la raccapricciante immagine del boia Lang in bombetta che sorride contento dietro al cadavere d’un anonimo giustiziato, sono sicuro che ha in mente la fotografia, famosissima per noi italiani, scattata subito dopo l’esecuzione capitale di Cesare Battisti), peraltro mai menzionato da Enard. Se a qualcuno, come m’� parso di capire, non garba quest’erudizione densa e diffusa, liberissimi tutti di venerare le pappolate di Dan Brown o gli onerosi tomi con vicende di guardie e ladri, di principesse iperboree, di draghi e di marziani: l’universo delle amene lettere si stende vasto, e quello delle lettere inamene assai di più: io preferisco l’Oriente di Enard, e vi ho cavalcato libero e felice, (ma dopotutto mi sono piaciute anche le sue escursioni tra Francia ed Austria) forse perché ci fu, molti anni fa, la possibilità che diventassi un suo collega; ma poi preferii altri studî. Certo, perfetto il libro non è. Franz sarà pure viennese, ma ad occhio e croce ha l’aria più d’un francese che d’un austriaco; non un parigino, forse, ma un francese di provincia; e l’autore, che non è un babbeo, gli regala infatti una genitrice gallica, giustificandone così anche il bilinguismo. A un certo punto, però, con incongruenza notevole, a Franz scappa l’espressione “quella famiglia di uccelli che in tedesco chiamano Spechte� (p.344), la quale può venire in mente solo a chi il tedesco non lo parli come lingua madre. È invece Sarah la parigina quasi da manuale: sofisticata, elegante, a suo agio dappertutto, un po� torbida, un po� capricciosa, imperiosa e ricca di fascino; così, almeno, la vede l’innamorato collega di Vienna. Franz ne appare quasi l’antitesi e il controcanto: irresoluto, pieno di rovelli, goffo nei rapporti sociali e con le lingue orientali � o almeno così n’esce l’autoritratto. Non so se gli scrittori odierni amino tanto creare protagonisti antieroici perché li ritengono più interessanti, perché li ritengono meno dozzinali (dacché gli eroi li sanno inventare anche gli scrittorelli da mezza tacca) o perché li vedono più politicamente corretti: Franz, a conti fatti, è anche un po� antipatico, e possiede parecchi tratti da intellettualino schizzinoso che lo rendono perfino alquanto prevedibile: tanto per dire, non gli garbano né i valzer di Strauss né gli Asburgo né Wagner, su cui tuttavia dice una cosa molto interessante � la quale, d’altronde, non credo sia farina del sacco di Enard � ossia che la dissoluzione dell’armonia wagneriana in pratica ha ucciso la nostra musica colta. Sulla traduzione italiana non ritengo giusto dir quasi nulla, perché qualche piccola occasionale sciatteria è compensata dall’aver dovuto gestire un testo lungo e complesso: ma la traduttrice dovrebbe sapere che a Vienna “il� Graben vuole l’articolo (anche in tedesco è der Graben: il fossato per antonomasia, benché non sia più tale da molti secoli; un po� come un certo angolo deputato ad appuntamenti malandrini in un certo parco milanese è o era denominato, per antonomasia, “la Fossa�); e che vestigia in italiano non è un singolare ma un plurale. E la bussola del titolo? Non si tratta d’una mera metafora del viaggio: la storia è più complessa; ma per saperla è meglio leggere il libro.
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Bussola.
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September 24, 2021
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October 3, 2021
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October 5, 2021
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message 1:
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Emmapeel
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rated it 4 stars
Oct 06, 2021 01:42PM

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No, altrimenti io non sarei riuscito a leggerlo!:-)
Vedo che alcuni lo trovano respingente proprio per la densità di richiami eruditi: ma non sono richiami cifrati o reconditi; e se mi si racconta d'un poeta persiano di cui non so neppure se sia esistito davvero o se lo sia inventato Enard, riesco a seguire la storia e ad apprezzarla egualmente, perché l'autore la scrive bene.
Quindi se lo vuoi leggere vai tranquilla!