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Memorie d'una ragazza perbene
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� Il fatto è che avevo fatta una cocente scoperta:
la bella storia che era la mia vita,
diventava falsa a mano a mano che me la raccontavo.�
La memoria, si sa, non è mai oggettiva.
Lo stesso ricordo può assumere diverse sfumature e che sia colpa del tempo che passa e deforma oppure del momento stesso in cui accade un episodio della vita e lo viviamo ognuno in maniera differente, beh, poco importa.
Ogni volta che decido di leggere un autobiografia sono, quindi, conscia del fatto che sto per guardare ciò che chi scrive ha deciso di farmi vedere.
E� come se si stabilisse un patto tra autore/autrice e lettore/lettrice:
chi scrive inquadra l’immagine che vuole mettere in risalto,
chi legge ammette il proprio voyerismo giustificandolo per passione intellettuale e ne accetta i silenzi.
Dico subito che queste memorie di Simone de Beauvoir non mi hanno particolarmente colpita.
Il fatto è che il contesto di queste memorie é ad una distanza siderale dal mio vissuto.
Non solo perché sono nata settant’anni dopo, non solo perché sono italiana e non francese ma soprattutto per il contesto famigliare di alta borghesia conservatrice.
Un’infanzia, quella di Simone, in cui è continuamente vezzeggiata ed un’adolescenza con turbamenti, ansie ed insicurezze come da manuale.
Ciò che è più interessante è la crescita intellettuale:
stimolata dal padre già dai primi anni ma coltivata egregiamente grazie ad un’indole assolutamente famelica nei confronti del sapere.
Una brava bambina che la famiglia e la società vogliono sia una ragazza perbene:
�...io mi rifiutavo, con la stessa ostinazione di quando avevo cinque anni, a prestarmi alle commedie degli adulti.�
L’amore, l’amicizia con tutti i rimescolamenti del caso non sono il punto focale di queste pagine che va, piuttosto, rintracciato nelle connessioni con il pensiero intellettuale di una generazione che si affacciava allora sul primo dopoguerra schifata dall’oppressiva mentalità reazionaria.
Gide, Valery, Claudel, Proust.
Questi i punti di riferimento, le prima fondamenta del pensiero rivoluzionario:
� Borghesi come me, si sentivano come me a disagio nella loro pelle.
La guerra aveva distrutto la loro sicurezza senza strapparli alla loro classe; si rivoltavano, ma soltanto contro i loro genitori, contro la famiglia e la tradizione.
Nauseati «dell’imbottimento dei crani» cui erano stati sottoposti durante la guerra, reclamavano il diritto di guardar le cose in faccia e di chiamarle col loro nome; solo, poiché non avevano alcuna intenzione di far crollare la società, si limitavano a studiare con minuzia i loro stati d’animo: predicavano la «sincerità verso se stessi».
Respingendo i clichés e i luoghi comuni, rifiutavano con disprezzo le vecchie dottrine di cui avevano constatato il fallimento, ma non tentavano di costruirne un’altra; preferivano affermare che non bisogna mai accontentarsi di niente: esaltavano l’inquietudine.�
Simone ci racconta da dove arriva ma, soprattutto, dove va.
E uno sguardo su un ambiente dove paletti e confini sono solide barriere che durante l’infanzia danno sicurezza ma crescendo ed acquistando coscienza sono pericolosi confini da abbattere.
(Mi è rimasto tra le mani un altro libro Le Grand Meaulnes)
la bella storia che era la mia vita,
diventava falsa a mano a mano che me la raccontavo.�
La memoria, si sa, non è mai oggettiva.
Lo stesso ricordo può assumere diverse sfumature e che sia colpa del tempo che passa e deforma oppure del momento stesso in cui accade un episodio della vita e lo viviamo ognuno in maniera differente, beh, poco importa.
Ogni volta che decido di leggere un autobiografia sono, quindi, conscia del fatto che sto per guardare ciò che chi scrive ha deciso di farmi vedere.
E� come se si stabilisse un patto tra autore/autrice e lettore/lettrice:
chi scrive inquadra l’immagine che vuole mettere in risalto,
chi legge ammette il proprio voyerismo giustificandolo per passione intellettuale e ne accetta i silenzi.
Dico subito che queste memorie di Simone de Beauvoir non mi hanno particolarmente colpita.
Il fatto è che il contesto di queste memorie é ad una distanza siderale dal mio vissuto.
Non solo perché sono nata settant’anni dopo, non solo perché sono italiana e non francese ma soprattutto per il contesto famigliare di alta borghesia conservatrice.
Un’infanzia, quella di Simone, in cui è continuamente vezzeggiata ed un’adolescenza con turbamenti, ansie ed insicurezze come da manuale.
Ciò che è più interessante è la crescita intellettuale:
stimolata dal padre già dai primi anni ma coltivata egregiamente grazie ad un’indole assolutamente famelica nei confronti del sapere.
Una brava bambina che la famiglia e la società vogliono sia una ragazza perbene:
�...io mi rifiutavo, con la stessa ostinazione di quando avevo cinque anni, a prestarmi alle commedie degli adulti.�
L’amore, l’amicizia con tutti i rimescolamenti del caso non sono il punto focale di queste pagine che va, piuttosto, rintracciato nelle connessioni con il pensiero intellettuale di una generazione che si affacciava allora sul primo dopoguerra schifata dall’oppressiva mentalità reazionaria.
Gide, Valery, Claudel, Proust.
Questi i punti di riferimento, le prima fondamenta del pensiero rivoluzionario:
� Borghesi come me, si sentivano come me a disagio nella loro pelle.
La guerra aveva distrutto la loro sicurezza senza strapparli alla loro classe; si rivoltavano, ma soltanto contro i loro genitori, contro la famiglia e la tradizione.
Nauseati «dell’imbottimento dei crani» cui erano stati sottoposti durante la guerra, reclamavano il diritto di guardar le cose in faccia e di chiamarle col loro nome; solo, poiché non avevano alcuna intenzione di far crollare la società, si limitavano a studiare con minuzia i loro stati d’animo: predicavano la «sincerità verso se stessi».
Respingendo i clichés e i luoghi comuni, rifiutavano con disprezzo le vecchie dottrine di cui avevano constatato il fallimento, ma non tentavano di costruirne un’altra; preferivano affermare che non bisogna mai accontentarsi di niente: esaltavano l’inquietudine.�
Simone ci racconta da dove arriva ma, soprattutto, dove va.
E uno sguardo su un ambiente dove paletti e confini sono solide barriere che durante l’infanzia danno sicurezza ma crescendo ed acquistando coscienza sono pericolosi confini da abbattere.
(Mi è rimasto tra le mani un altro libro Le Grand Meaulnes)
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