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Uzeda #3

L'Imperio

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Due uomini a confronto nella Roma il principe Consalvo Uzeda di Francalanza, già protagonista dei Viceré, e Federico Ranaldi. Consalvo è un uomo di grandi ambizioni politiche, che crede di possedere per nascita il diritto di divenire qualcuno. E pur di raggiungere lo scopo non esita a cambiare conservatore coi conservatori, moderato coi moderati. Per assecondare i socialisti, che teme, arriva persino ad accarezzare l'idea del socialismo per poi finire col combatterlo pubblicamente. Federico al contrario è un puro di cuore, che solo sentendosi tradito da una società opportunista e vuota, diviene cinico e si disinnamora della vita.

322 pages, Paperback

First published January 1, 1929

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Federico De Roberto

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Displaying 1 - 10 of 11 reviews
Profile Image for Pat.
421 reviews111 followers
February 6, 2018
Consalvo Uzeda, principe di Francalanza. Neo-eletto deputato disposto a tutto pur di raggiungere lo scranno più alto. E in un ambiente visibilmente corrotto il suo trasformismo politico non è certo una rarità. Siede a destra, tra i più rigidi conservatori ma si chiede se non sia stato un errore, se non sarebbe stato meglio collocarsi fra i democratici, ché in fondo il miglior modo di trarre profitto sta proprio nel far dimenticare la sua nobiltà, la sua ricchezza.
Alla figura di Consalvo si contrappone Federico Ranaldi. Giovane giornalista, sognatore e ingenuo. Riconosce in Consalvo un modello. Crede che da quella corrente politica possa venire il bene del Paese.
E quando Consalvo chiede a Federico perché si sia messo dalla loro parte, il giovane risponde:
?Perché credo che la salute del Paese dipenda dal nostro partito.?
摆…闭
?Il Paese? Con la P grande? Voi ci credete ancora? Caro mio, se voi dite, chi è, dov’è, che cosa fa, dove si può trovare questo signor Paese ve ne sarò grato. Il Paese siamo io e voi, e l’usciere che sta in anticamera, e la signorina che ricopia lettere di là. Il Paese è tutti, il che vuol dire nessuno. E tanto valgono le nostre idee quanto quelle dei nostri avversarii.?

Federico scoprirà la vera natura del senatore Consalvo. Prepotente, impostore, avido camaleonte attento più ai propri che agli altrui interessi. La sua illusione si trasformerà in delusione. Gli idoli cadono, gli eroi che salvano la nazione non esistono. Tornerà a Salerno svuotato d’ogni energia vitale, amareggiato dall’aver trovato null’altro che “presunzione, ignoranza, vanità, intransigenza, difetti e vizi insanabili.”
Sprofondato nel pessimismo più nero ne risentirà anche chi gli sta vicino. E una giovanissima e innamorata Anna Ursino chiederà ripetutamente: “Che cosa vi hanno fatto, perché siate così?”. Federico ha quarant’anni. Ha vissuto lontano per un quarto di secolo occupandosi di giornalismo e politica. La speranza e i sogni gli sono stati tolti. La fiducia nel bene e nella virtù non sono che un ricordo. Non solo. Risponde Federico alla sua giovane interlocutrice:
“Perché ho letto, dopo la storia, la cronaca; perché ho guardato dietro le scene della rappresentazione apparentemente magnifica; perché l’egoismo nascosto sotto l’eroismo mi si è rivelato, ma specialmente perché ho visto e vedo che i sacrifizii purissimi delle poche anime veramente nobili e belle furono compiti in forza dell’illusione, che l’unità, la libertà, l’indipendenza d’Italia avrebbero assicurato tutte le fortune a tutti gl’Italiani. Quel che si è ottenuto voi lo vedete, quantunque non vi occupiate di politica, né abbiate letto le statistiche, né siate vissuta in mezzo a quel mondo dove sono vissuto io”.
Potrà ricominciare? Potrà ritrovare la speranza, la forza per riprendere il cammino sulla strada maestra battuta da tutti i suoi simili?
Consalvo sarà nominato ministro dell’Interno, vice Presidente del Consiglio grazie alla stilettata di un folle. Quasi Vicerè come i suoi maggiori. E poi? Che altro bramerà?

“尝’颈尘辫别谤颈辞”, opera incompiuta uscita postuma nel 1929, chiude la trilogia che comprende oltre a “尝’颈尘辫别谤颈辞”, anche 尝’颈濒濒耻蝉颈辞苍别” e “I Vicerè”.
? la storia della decadenza umana. ? la storia della putredine italiana. ? la storia di questo paese “che il diavolo dovrebbe portarselo via”

Ci sono alcune incongruenze dovute alla mancata correzione dell’opera che si giustificano e sbiadiscono di fronte alla scrittura magistrale. De Roberto ha descritto il Paese d’allora che pare specchio di quello odierno. Anzi, s’è spinto oltre. Scrive infatti alcune righe che paiono profetiche considerando gli eventi del ’43. Lo fa per bocca di Consalvo che in merito al loro appoggio al Re afferma: “Noi continueremo a sostenerlo, il giorno del pericolo, e vedrete che egli preparerà i bauli, detterà la sua brava abdicazione, e ci lascerà nel ballo, a difendere un posto vuoto!”.

P.S. Il capitolo VII, con la conferenza del senatore Consalvo di Francalanza vale, già da solo, 10 stelle.
Profile Image for Vittorio Ducoli.
570 reviews78 followers
December 24, 2023
La putredine borghese italiana: seconda puntata

La fama di Federico De Roberto è oggi legata soprattutto a I Viceré, il grande romanzo che narra le vicende della potente famiglia degli Uzeda Di Francalanza nella seconda metà del XIX secolo e la capacità dei suoi rappresentanti di conservare il potere adattandosi ai nuovi tempi iniziati con l’annessione del regno borbonico a quello sabaudo. Peraltro, se oggi I Viceré è (quasi) unanimemente considerato un capolavoro letterario e uno dei romanzi più importanti dell’800 italiano, al suo apparire nel 1894 ebbe scarsissimo successo, e in seguito a lungo su di esso pesò la celebre critica espressa da Benedetto Croce nel 1939: ”foltissimo di personaggi, di macchiette, di eventi, di costumanze, di descritte trasformazioni e trasfigurazioni sociali, il libro del De Roberto è prova di laboriosità, di cultura e anche di abilità nel maneggio della penna, ma è un’opera pesante, che non illumina l’intelletto come non fa mai battere il cuore”, critica che Croce estende alla levatura artistica dell’autore, che a lui pare ”fosse ingegno prosaico, curioso di psicologia e di sociologia, ma incapace di poetici abbandoni”. Questi giudizi a mio avviso sono emblematici di come l’idealismo crociano, basando essenzialmente la valutazione di un’opera letteraria sul suo livello estetico o poetico (meraviglioso è a questo proposito, nella sua assoluta inconsistenza critica, quel richiamo ai poetici abbandoni di cui uno scrittore dovrebbe essere capace per esser giudicato artista), non fosse strutturalmente in grado di cogliere l’oggettiva importanza di un’opera d’arte. Sta di fatto che, anche a causa di Croce e dei suoi epigoni, De Roberto è stato a lungo relegato tra la schiera dei minori della stagione verista.
Se oggi dunque a I Viceré è stato restituito il posto che letterariamente merita, meno noto è il fatto che esso forma il cuore di una trilogia di romanzi dedicati all’aristocratica famiglia siciliana, che comprende anche 尝’颈濒濒耻蝉颈辞苍别, pubblicato nel 1891, e 尝’滨尘辫别谤颈辞, incompiuto ed uscito postumo nel 1929. Come fa notare Nunzio Zago con una efficace immagine nella sua bella introduzione al romanzo edito da Rizzoli, il trittico compone una specie di retablo (richiamo all’arte spagnola certo non casuale) del quale I Viceré costituisce la tela centrale e gli altri due romanzi altrettanti pannelli laterali. Ciò in quanto il romanzo maggiore, dedicato alle vicende della dinastia, ha un respiro sconosciuto agli altri due episodi, che narrano le vicende di singoli suoi rappresentanti.
尝’滨尘辫别谤颈辞, in particolare, si pone in diretta continuità de I Viceré. Chi ha letto quest’ultimo romanzo ricorderà che esso si chiude nel 1882, con l’elezione a deputato del giovane rampollo della famiglia, il trentenne Consalvo Uzeda Di Francalanza, nelle file della Sinistra Storica. L’entrata in politica, dapprima come sindaco, quindi come deputato, è per Consalvo il modo attraverso il quale può conservare ed espandere nel nuovo contesto sociale il potere che la sua famiglia esercita da secoli. Gli Uzeda esprimevano già un senatore conservatore di nomina regia, il Duca d’Oragua, dedicatosi assiduamente lungo vent’anni all’affarismo e a speculazioni di piccolo cabotaggio, ma l’ambizione di Consalvo è ora di diventare protagonista della politica nazionale.
Il suo progressivismo moderato - le cui fatue basi ideologiche sono magistralmente esposte da De Roberto nel comizio tenuto alla vigilia delle elezioni – è del tutto strumentale: Consalvo rimane un aristocratico sprezzante, ma sa che con il suffragio allargato (la riforma elettorale del 1882 diede il diritto di voto a circa un quarto della popolazione maschile adulta) è necessario fingere di schierarsi dalla parte del popolo per essere votato, e riesce nel suo intento, risultando il primo degli eletti nel suo collegio.
Il primo capitolo de 尝’滨尘辫别谤颈辞 è dedicato ad una seduta parlamentare, quella che realmente si tenne il 19 maggio 1883, durante la quale il traballante governo di Agostino Depretis, esponente della Sinistra Storica, ottenne la fiducia di parte della Destra, inaugurando la stagione del trasformismo. La seduta, ai cui protagonisti De Roberto attribuisce nomi di fantasia, è vista da una prospettiva particolare: quella della tribuna della stampa, dove per la prima volta siede, accanto ai più noti cronisti parlamentari romani, il ventitreenne Federico Ranaldi, praticante in uno studio legale, da poco giunto a Roma da Salerno. Figlio di un dirigente pubblico già al servizio dei Borbone e per questo costretto dalla nuova amministrazione ad una carriera monca fatta di continui trasferimenti, Federico, animato da sentimenti patriottici e con ambizioni giornalistiche, sarà – insieme a Consalvo Uzeda – il protagonista del romanzo. Quest’ultimo, durante la discussione sulla fiducia all’esecutivo terrà il suo primo intervento alla camera, inopportuno per la lunghezza e per il taglio che poco c’entra con il punto all’ordine del giorno, salutato dall’indifferenza e dall’ironia dell’emiciclo e dei cronisti.
Nel secondo capitolo il romanzo fa un breve salto all’indietro, narrando l’arrivo a Roma di Consalvo Uzeda nell’inverno precedente all’apertura della legislatura (che forse per una svista De Roberto indica come la XIV, mentre si trattava della XV) e riprendendo il filo delle ambizioni di potere personale che lo hanno spinto alla vita parlamentare. Come già di fatto dichiarato nel comizio catanese, Consalvo si tiene tutte le porte aperte, esprimendo opinioni diverse e restando comunque sempre sul vago a seconda che parli con esponenti governativi, dell’opposizione o con le delegazioni di elettori giunte a rendergli omaggio dalla Sicilia. Entra nei salotti buoni di Roma ma nonostante la sua spregiudicatezza, il servilismo verso i leader politici e l’indubbio fascino personale non trova la chiave per emergere dalla massa degli anonimi parlamentari che oggi definiremmo peones.
Il quarto capitolo del romanzo è dedicato a Fedrico Ranaldi: un lungo flashback narra della sua formazione, dell’insofferenza per le aspirazioni familiari che lo vogliono avvocato, degli inevitabili compromessi che deve accettare, del suo entusiasmo giovanile per il Risorgimento, la monarchia e la Destra Storica che hanno fatto il paese, delle sue smanie per andare a vivere a Roma, nel cuore stesso della vita politica del Paese, in cui giunge come accennato dopo la laurea, entrando nello studio di un avvocato e deputato amico del padre. Quest’ultimo, oltre che dargli le prime lezioni di realismo politico, gli propone presto di collaborare con un quotidiano che sta nascendo, finanziato tra gli altri da Consalvo Uzeda, con il compito di ispirare la formazione di un nuovo soggetto politico, né di destra né di sinistra.
I due entrano così in contatto e Federico da un lato si farà apprezzare per le sue capacità giornalistiche, dall’altro si renderà presto conto di come i suoi ideali non trovino riscontro nella vita politica e intellettuale concreta, fatta di arrivismo, affarismo e ipocrisia.
Se i primi cinque capitoli si svolgono in un arco temporale molto ristretto - i primi mesi della vita romana dei due protagonisti - con il sesto il lettore si trova ad essere proiettato avanti di dieci anni, come peraltro intuisce solo da un accenno di Consalvo Uzeda. Nonostante il suo attivismo e il supporto del quotidiano egli non è riuscito ad emergere, e per questo è sempre più acido verso la vita politica. I tempi stanno rapidamente mutando e le istanze socialiste raccolgono sempre maggiori consensi, essendo ovviamente viste come una terribile minaccia dalle classi dominanti. Uzeda è tentato di buttarsi a sinistra, ma quando i circoli conservatori gli chiedono di tenere una conferenza antisocialista egli accetta; un intero capitolo riporta il discorso, sotto forma quasi di resoconto stenografico, analogamente a come De Roberto riportò il comizio di Catania ne I Viceré. Questo discorso e le sue conseguenze apriranno finalmente a Consalvo Uzeda Di Francalanza le porte dell’agognato potere, con la sua nomina, pochi mesi dopo, a ministro dell’interno.
Nel nono e ultimo capitolo c’è un ulteriore salto temporale, e il lettore ritrova Federico Ranaldi ormai quarantenne (siamo quindi nel 1900) tornato a Salerno dai genitori, ormai completamente disilluso e convertitosi ad un nichilismo ontologico che vede nell’animo umano l’origine del male e perciò ne augura la distruzione, a cominciare da sé stesso tramite il suicidio. Da accenni contenuti nei lunghi monologhi interiori di Federico si viene a sapere che il ministro Di Francalanza è stato costretto a dimettersi dopo i disordini di piazza seguiti ad una disastrosa avventura coloniale (richiamo alla sconfitta di Adua).
Come accennato sopra, 尝’滨尘辫别谤颈辞 è un romanzo incompiuto, anche se De Roberto pose la parola Fine in calce all’ultimo dei nove lunghi capitoli in cui è suddiviso. ? indubbio però che quelli effettivamente scritti non fossero tutti i capitoli di cui si dovesse comporre nelle intenzioni dell’autore, come si evince dai due repentini salti temporali tra i quali accadono fatti essenziali, che avrebbero dovuto essere narrati per conferire continuità logica al romanzo. Inoltre, nonostante il testo attualmente edito derivi da un dattiloscritto annotato dall’autore ritrovato nel dopoguerra, la presenza di numerose sviste, quali ad esempio personaggi che cambiano nome, evidenziano un mancato lavoro di revisione, tanto più da parte di un autore pignolo come De Roberto, che infatti non lo pubblicò nonostante l’importanza che a lungo gli attribuì.
La lunga genesi riveste a mio avviso un notevole interesse per l’analisi del romanzo; la riassumo traendola dalle prime pagine del citato saggio introduttivo di Nunzio Zago.
In una delle tante lettere scritte all’amico Ferdinando De Giorgi, alla fine del 1895, De Roberto afferma di avere iniziato da ben due anni a scrivere un romanzo intitolato 尝’颈尘辫别谤颈辞 (con la i minuscola): ”sta per ora a dormire: ne ho scritto cinque capitoli, ma mi spaventano le difficoltà”. Al proposito si deve ricordare come lo sforzo di portare a termine I Viceré, accanto all’insuccesso editoriale del romanzo, avesse prostrato moralmente e fisicamente l’autore.
Di una rilettura di quanto scritto una decina di anni prima De Roberto torna a parlare solo nel 1902, poi di nuovo il silenzio sino a quando nel 1908 egli si reca a Roma, sia per sfuggire all’opprimente rapporto con la madre, sia per documentarsi sulla vita politica e giornalistica della capitale, con l’intento dichiarato di riuscire a riprendere e terminare il romanzo, cosa che non farà.
Non si sa quindi con certezza quando De Roberto abbia scritto gli ultimi quattro capitoli, ma è molto probabile che tra questi e i primi cinque corra almeno un decennio. Considerati i due stacchi temporali presenti nel romanzo, cui corrispondono a mio avviso variazioni di atmosfera ed in qualche modo anche stilistiche, avanzo l’ipotesi – non so se già proposta da qualche critico – che ad essi corrispondano analoghi stacchi nella loro redazione: ai primi cinque capitoli scritti nel 1893, subito dopo aver licenziato I Viceré, ritengo facciano seguito tre capitoli scritti una decina d’anni dopo, nel 1902, e quindi l’ultimo, scritto dopo il viaggio a Roma. In questo modo De Roberto avrebbe di fatto sempre mantenuto un distacco temporale reale di circa 10 anni dai fatti narrati, fissando i punti di snodo del romanzo e riservandosi forse di riempirlo in seguito con capitoli di passaggio. Ancora successiva è forse la resa di fronte alle difficoltà, rappresentata plasticamente dal posticcio, incongruo e quasi ridicolo finale, e dalla parola Fine che assume un carattere drammaticamente ironico, segnalando la coscienza dell’autore del suo fallimento.
Alla distanza temporale fra i tre blocchi del romanzo corrisponde un progressivo incupimento dei toni, frutto probabilmente del fatto che - fra scandali finanziari e avventure coloniali fallimentari - la pochezza, l’improvvisazione, l’affarismo e la corruzione che caratterizzavano la scena politica dell’Italietta stavano andando ben oltre quanto concepito dallo scrittore; a ciò si sommava il peso dei propri fallimenti esistenziali ed editoriali. Così, i tre capitoli del secondo blocco sono dominati dalla crescente angoscia della classe dominante di perdere il potere per l’ascesa del socialismo, mentre il cinismo arrivista di Consalvo Uzeda raggiunge livelli drammatici, portandolo a strumentalizzare a suo favore un attentato e la morte dello zio, oltre che a macchiarsi di uno stupro che ne rivela l’animo brutalmente dominatore anche nei rapporti sentimentali. Nell’ultimo capitolo giunge a compimento anche la disillusione di Federico Ranaldi - personaggio intimamente autobiogafico (se ne osservi il nome) - rispetto ai suoi ideali rinascimentali. ? significativo che il pessimismo esistenziale cui giunge Federico somigli molto a quello cui giunge l’autore, che nel 1909 in una lettera scrive: ”L’italia è una putredine e Roma è il cancro che la distrugge. Questo è un paese che il diavolo potrebbe portarselo via. Tutta la nostra vita è uno schifo, uno schifo, uno schifo”. Il borghese moderato De Roberto, che aveva colto fra i primi come la classe cui apparteneva avesse permesso, soprattutto nel meridione, agli antichi padroni feudali di continuare a comandare, rinunciando con ciò al proprio compito storico, si trova di fronte ora alle inevitabili conseguenze peggiori di tale rinuncia, e non può che reagirvi facendosi letterariamente latore, per bocca di Federico Ranaldi, di un nichilismo assoluto, tra l’altro dichiaratamente antipositivista. ? da notare come il sostantivo putredine fosse già stato usato anni prima da un altro scrittore per qualificare l’essenza della borghesia romana post-unitaria: Gaetano Carlo Chelli, in L’eredità Ferramonti, uscito nel 1883.
L’ultimo capitolo è il più sorprendente anche da un punto di vista stilistico: se è vero che l’autore rimane fedele per tutto il romanzo ai canoni della scrittura verista – impersonalità ed invisibilità dall’autore, linguaggio piano, largo uso dei dialoghi e dell’indiretto libero - è qui che quest’ultima tecnica, nella quale vengono espresse le lunghe riflessioni di Federico, assume una tale rilevanza da sfociare in pratica nel monologo interiore, e Federico finisce quasi, per la sua presa di coscienza della crisi e per il modo in cui esprime i suoi pensieri, per divenire un personaggio novecentesco. Paradossalmente, ma solo apparentemente, il verista De Roberto, proprio per rimanere formalmente fedele al principio di osservazione scientifica della realtà sotteso al romanzo di derivazione naturalista, è costretto a descrivere una realtà talmente torbida e degradata da non poter essere resa se non facendole assumere aspetti ontologici. Ed è così che l’ultimo episodio del ciclo degli Uzeda, pur con le sue lacune e la sua frammentarietà, si trasforma, forse al di là delle intenzioni dell’autore, nel disperato annuncio delle immani tragedie che colpiranno il Paese nei decenni successivi, tra cui l’ennesimo (ma non ultimo) tradimento di una borghesia putrida che per conservare la roba lo venderà ad un tragico macchiettista romagnolo.
Profile Image for Alyssa.
29 reviews3 followers
March 26, 2021
immaginate il potenziale se de roberto fosse riuscito a portarlo a termine
Profile Image for Mariarosaria.
58 reviews1 follower
July 14, 2022
Letture siculo-romane.

Poco fa ho terminato il volume conclusivo della saga degli Uzeda, “尝’颈尘辫别谤颈辞”, di Federico de Roberto.
Meno conosciuto rispetto al suo capolavoro, “I vicerè”, a causa della sua incompiutezza, “尝’颈尘辫别谤颈辞” ha comunque una forza moderna e un’attualità che sorprendono. Non è un romanzo semplice: come nei precedenti capitoli della saga, De Roberto scrive in modo barocco, quasi epico. La sua prosa è ampollosa, ricchissima, a tratti arcaica. Basti pensare al titolo del romanzo: “imperio” nel senso di potere, supremazia, dominio.

Avevo cominciato a leggerlo giorni fa, seduta comodamente sulla sdraio, ma questo è un libro che si presta solo ad essere “studiato” attentamente, altrimenti si rischia di perdere il filo del discorso. ? stato uno di quei pochi romanzi che ho letto seduta a tavolino, impugnando matita e righello, sottolineando i numerosi passaggi in cui lo scrittore sottopone ad una vera e propria radiografia le classi dirigenti della Sicilia vecchia e nuova.

“尝’颈尘辫别谤颈辞”, infatti, prosegue le vicende de “I vicerè”, raccontando l’ascesa al potere di quello che, a mio parere, è il villain per eccellenza della letteratura siciliana: Consalvo Uzeda di Francalanza.

Questo classico dimenticato si inserisce nel filone del “romanzo parlamentare”, un genere di narrativa che andava molto in voga nel cinquantennio successivo l’Unità d’Italia.
L’oggetto della critica dell’autore, che ambienta la maggior parte delle scene a Montecitorio, è l’aristocrazia borbonica, incarnata da Consalvo, il quale lascia i suoi possedimenti nel meridione per diventare deputato a Roma.
La nobiltà catanese, scrive De Roberto, apparentemente condannata all’estinzione dai mutamenti epocali messi in atto dal Risorgimento, riesce a esercitare il suo “imperio” non più in Sicilia, ma nella capitale, dove il potere si è spostato. I nobili più furbi, detentori di latifondi e di denaro, grazie a un’impeccabile operazione di trasformismo, al loro opportunismo, al camaleontismo, sono stati capaci non solo di sopravvivere nella nuova realtà sociale e politica postunitaria, ma addirittura ne sono diventati gli incontestabili e dispotici padroni.

Basti pensare alla frase dello zio di Consalvo, il conte di Oragua, primo modello per la carriera dell’avido e rapace protagonista catanese: “Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri”, che è una parafrasi cinica e disincantata del celebre aforisma patriottico di Massimo D’Azeglio.

Interessante il contrasto tra Consalvo Uzeda e Federico Ranaldi, esponente della borghesia salernitana che opera a Roma come giornalista e che crede fermamente – all’inizio – nell’ideale di un’Italia unita, in una politica senza imbrogli e corruzione.

Purtroppo la storia è incompleta, e alcune parti sono sbilanciate rispetto l’economia del racconto; comunque è un classico da riscoprire.
21 reviews2 followers
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April 20, 2020
Iniziato nel 1893 e mai concluso l’Imperio è il romanzo che chiude il cosiddetto “ciclo degli Uzeda”. D’impostazione più classica rispetto a l’Illusione e ai Vicerè si inserisce nel genere del romanzo parlamentare che aveva avuto un notevole sviluppo fra il XIX e il XX secolo. L’opera segue infatti la carriera politica di Consalvo Uzeda,uno dei protagonisti dei Vicerè,mostrando il mondo politico italiano in una Roma diventata da poco la capitale del regno. Personaggio cinico ed estremamente ambizioso,il principe di Francalanza non esita a cambiare idee e opinioni pur di stare dalla parte di chi ha più probabilità di vittoria,sfruttando ogni possibilità (persino la morte dello zio) per alimentare il suo potere. A questa figura fa da contraltare quella di Ranaldi,giornalista giovane e idealista giunto a Roma per contribuire al “rinascimento” dei sentimenti di italianità ormai persi nel gioco politico. Il romanzo assume cosi un andamento a vite parallele e contrapposte. Ma al di là degli intenti antipolitici e antistorici (è incredibile quanto la classe dirigente descritta da de Roberto sia simile alla nostra!) il racconto ha una valenza più ampia ed esistenziale,ovvero la spietata concezione della vita umana come illusione,tema presente in ogni opera di De Roberto. Infatti viene rappresentato un mondo dove non v’è nulla di certo e sicuro,dove ogni idea è valida (o non valida) quanto quella contrapposta e dove non vi è alcuna speranza nel progresso umano. Questo permette a Consalvo di indossare qualunque costume ideologico gli serva per raggiungere i suoi scopi,sfiorando addirittura l’idea di appoggiare i socialisti,finendo poi per tenere una conferenza contro gli stessi (e sono tra le più belle pagine del libro). Lo stesso Ranaldi si rende conto dell’intima illusorietà di ogni cosa (dovuta anche a una probabile delusione amorosa di cui si fa solo qualche accenno) e lo ritroviamo quarantenne nella sua nativa Salerno preda di un nichilismo esasperato (arriva a formulare una profezia di un domani in cui alcuni individui procureranno agli uomini “il grande beneficio del non essere”). E’ questo l’aspetto al quale si riferisce De Roberto definendo “terribile” il suo libro,forse la ragione più intima per la quale egli non lo finirà mai. Data l'incompiutezza vi sono molte incongruenze tanto che da un capitolo all'altro cambiano fatti e addirittura nomi. Alla fine resta l’amaro in bocca se si pensa a quello che poteva essere l’opera compiuta,ma rimane sempre un buon romanzo che esprime la grandezza della visione e il talento dell’autore.
Profile Image for Jess.
167 reviews
June 5, 2017
Due stelle e mezzo. Mi spiace dover dare un voto così basso a De Roberto, ma gli ultimi capitoli sono stati fatali. E' vero che si tratta di un romanzo ahimè incompiuto che andava non solo ampliato e portato a conclusione, ma anche revisionato dall'autore, ma dubito che avesse in mente di cambiare i contenuti degli ultimi due capitoli e in questa lettura purtroppo troncata non li ho apprezzati per niente, nonostante il resto del romanzo fosse promettente.
L'imperio, infatti, viene pubblicato postumo e senza che De Roberto abbia avuto il modo di concluderlo. Sicuramente non è stato facile lavorarvi sopra, visto che lo inizia dopo aver concluso I Viceré e lo porta avanti per anni. De I Viceré vuole anche essere una continuazione, dato che una delle figure maschili protagoniste è Consalvo Uzeda, principe di Francalanza, che lascia la Sicilia per Roma, per sedere come deputato a Montecitorio. Consalvo è il personaggio ambizioso che abbiamo lasciato nel precedente romanzo, un "autocratico, autoritario, despota" disposto a tutto pur di soddisfare il suo ego e il suo desiderio di dimostrarsi superiore agli altri. La sua controparte è rappresentata dal Federico Ranaldi, giovane giornalista campano che arriva a Roma pieno di sogni e belle speranze destinate a svanire non appena Consalvo e il mondo politico gli si rivelano per quello che sono realmente.
Delle buone, anzi, buonissime premesse ci sono, anche se la caratterizzazione dei personaggi non mi ha impressionata granché, ma do la colpa all'incompiutezza dell'opera. Ovviamente c'è molto parlare, in un romanzo che tocca il tema politico non potrebbe essere diversamente, e sarei stata disposta a dare tre stelle se nei già citati due capitoli I primissimi capitoli, in ogni caso, sono di particolare interesse e per loro, oltre che per la sempre valida penna di Roberto, vale la pena avvicinarsi a questo romanzo a metà.
Profile Image for Ciro Borriello.
201 reviews3 followers
May 7, 2022
Seguito de "I Viceré'" (nonchè ultimo libro de la trilogia della famiglia Utzeda), questo libro tratta le vicende di Consalvo Utzeda (già protagonista del libro precedente) dopo che riesce ad ottenere il seggio parlamentare e di come si muove all'interno del mondo politico del tempo.
Benchè alcune scene le ritroverei benissimo anche nella situazione politica contemporanea, purtroppo il romanzo soffre della sua stesura non continua (De Roberto ci lavorerà più volte nel corso della sua vita) e soprattutto della sua incompiutezza, in quanto l'autore non l'ha mai finito di scrivere.
Profile Image for Elisa.
664 reviews17 followers
August 8, 2019
盛年时(1893-95)开了个头,然后就拖到死(1927)也没补完。看得出作者直到填坑也没有想好该怎么写,后60%只是把他设想中的几个节点勉强拼接起来,最后加了个“光明的尾巴”仿佛被自己吓到一样。但是至少第四章精彩的政治洞察,和最后一章起始强烈尝别辞辫补谤诲颈色彩的人物独白(能让人想起尝别辞辫补谤诲颈的小说多么稀少啊)还是满分。德罗伯托写小说,就像是给你眼前放上钉子再从头到尾用锤子一下下往里砸,甚至未必每次都砸得准,可是看完再回想其他人光洁精巧不露痕迹的小说,真的会怀疑是不是一碰就散架了呢。辫蝉正面写议会政治的部分,还是显出他技巧的局限,换成厂肠颈补蝉肠颈补来写就不会这么平淡了。这本里叠谤补苍肠补迟颈和他的渊源也看得更明显,他俩可能属于同一种洞察高于创造的作家。
39 reviews6 followers
Read
November 15, 2010
Un peccato che quest'opera di De Roberto sia rimasta incompiuta.

Continuazione ideale de I Vicere', ripropone il Principe Consalvo Uzeda di Francalanza a Roma nel suo ruolo di parlamentare, arrivista e spregiudicato come sempre. Ma al pari suo e' l'intera politica italiana, e il giornalismo che le fa da spalla, ad essere sprovvista di ideali e carica di arrivismo.



L'abbandono degli ideali che avevano portato all'Unita' di Italia, sostituiti da un mondo corrotto preoccupato solo a soddisfare gli interessi personali, sono l'oggetto della denuncia esplosiva che De Roberto anticipava in qualche scambio epistolare con gli amici. Per far cio', a Uzeda di Francalanza, De Roberto contrappone la presenza nel racconto di un giovane idealista, Rainaldi.



E' proprio questa presenza e il disinganno della realta' romana che porta alla mente molti richiami alla Parigi di "Illusioni perdute" di Balzac.



Non mancano intuizioni profetiche di De Roberto, come quando fa parlare Francalanza del Re, anticipando di qualche decennio quello che sarebbe effettivamente avvenuto con l'armistizio del 1943:

"Noi continueremo a sostenerlo, il giorno del pericolo, e vedrete che egli preparera' i bauli, dettera' la sua brava abdicazione, e ci lascera' nel ballo, a difendere un posto vuoto!. Noi siamo piu' realisti di lui! A lui non importa niente di niente; fa il filosofo, lascia che l'acqua vada per la sua china. "



Tre stelline come giudizio, piu' per quel che questo libro avrebbe potuto essere, scusandogli cosi l'incompiutezza e l'assenza di revisione.
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