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L'educazione
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LIBERACI DAL PADRE
(E possibilmente, liberaci pure dalla madre)

”The Texas Chainsaw Massacre � Non aprite quella porta�. Make: 1974, regia di Tobe Hooper. Remake: 2003, regia di Marcus Nispel.
È un esordio, e quindi parte delle mie osservazioni critiche a seguire potrebbero essere scusate dal debutto.
Lo sono meno, ai miei occhi, perché di questo libro s’� voluto fare l’ennesima next big thing, è stato molto spinto, promosso, e discusso.
Inquietante, dal mio punto di vista, la quantità di fotografie che si trovano di questa giovane scrittrice nata nel 1986: ho sempre l’impressione che in questi casi si usi la fotogenia di chi scrive per vendere di più, e magari coprire qualche magagna.

”The Hills Have Eyes � Le colline hanno gli occhi�. Make: 1977, regia di Wes Craven. Remake: 2006, regia di Alexandre Aja.
Un altro problema per me immenso, smisurato, è che il libro è sempre promosso a pieni voti per il suo contenuto, per la sua storia, e non per il modo di raccontarla. Ancora una volta la trama ha eclissato lo stile, il cosa annulla il come.

”Winter’s Bone � Un gelido inverno�, regia di Debra Granik. 2010.
La storia credo sia ormai abbastanza risaputa: famiglia numerosa (curioso come chi scrive commenti vari il numero dei Westover junior, per chi sono cinque, per chi sei � invece sono sette, e questo si aggancia a quanto dirò tra poco) e famiglia disfunzionale � un incrocio tra “The Texas Chainsaw Massacre - Non aprite quella porta� più “Le colline hanno gli occhi� e dall’altra parte “Winter’s Bone � Un gelido inverno�.
Se non che, nel caso dei Westover la violenza è diretta all’interno della famiglia stessa, ben più che all’esterno (anche se in casa circolano perfino armi antiaeree, e i vicini di casa portati come esempio di resistenza sono membri del White Power, Fratellanza Ariana).
I figli non vengono registrati all’anagrafe, niente certificato di nascita, vengono convinti o forzati a mollare la scuola, o non frequentarla del tutto, a stare alla larga da medici e ospedali. Il tutto giustificato da una religione (mormone) che non sta in piedi neppure un istante: quale dio richiederebbe e/o approverebbe simili livelli di bestialità umana?!
Poi, il tutto si giustifica invece col bipolarismo paterno.
La più piccola di casa, Tara, è un magnifico esempio di resilienza, fiore nella concimaia che si redime e salva andando al college (approda addirittura a Cambridge e Harvard), studiando, educandosi, imparando.
Un magnifico messaggio di speranza, che è bello raccogliere e far proprio.

Una parte della famiglia Westover (quella vera).
Ma all’ombra di questo splendido assunto si nasconde una scrittura senza sorprese, né bella né brutta, accessibile e piana, che per fortuna si tiene lontana dalle frasi memorabili e/o a effetto, ma affastella più che incidere.
Soprattutto si nasconde un libro notevolmente disarticolato, oserei dire sgangherato.
Senza ritmo.
E senza una qualche struttura, magari anche ondivaga o contorta. Accelerazioni improvvise sono seguite da brusche frenate, scatti e salti anticipano passi indietro.
Non parlo solo dei salti temporali, a quelli siamo abituati, quelli vanno più che bene: a me sembra che la giovane Westover avesse o molta fretta di sfogarsi, o cognizione di una fine da raggiungere in qualsiasi modo.
Affronta ogni argomento, dalla descrizione della montagna alle violenze domestiche, con lo stesso identico tono, finendo, ovviamente, col piallare ogni cosa.
Ho avuto spesso la sensazione di quegli scarabocchi che si schizzano mentre siamo al telefono o in riunione, e quindi, quando la nostra attenzione è altrove, e la mano gira e rigira, incide, rimane sullo stesso punto, e alla fine vattelapesca cosa volevamo disegnare, è solo un garbuglio di linee.
Ho avuto spesso la sensazione di quei film dove uno viene pestato e ne esce con la gamba sinistra zoppicante e un brutto livido sullo stesso braccio � nella scena seguente, però, zoppica dalla destra, e il livido è sulla guancia invece che sul braccio.

Il giardino di casa Westover. Back or front yard?
Il primo esempio che mi viene in mente è la vicenda materna: dopo il primo incidente d’auto, subisce un’emorragia cerebrale, vive al buio con occhi diventati come quelli di un panda, ha emicranie, non prende medicine, solo erbe, dato l'impedimento religioso, si ha la netta sensazione che sia un processo irreversibile, molto probabilmente destinata a morte prematura� E invece non si sa dove, né come, né quando la madre torna in piena efficienza (fino al punto di poter subire un secondo incidente d’auto). E così avanti per tutto il libro.
È stato notato da più parti che il livello di credibilità di quanto raccontato da Westover non soddisfa appieno.

378 pagine che a me sono sembrate 3.780. Se non addirittura 37.800.
Ma siccome il benedetto messaggio, o contenuto, è di quelli belli belli � ma siccome nella confusione qualche momento buono ci scappa, io tre stelle con qualche esitazione alla fine gliele do.
Anche se ora, per giusto bilanciamento, la tentazione è andare a mettere la quinta a Elena Greco. E altrettante a Lila. Le mie amiche geniali.

Idaho
(E possibilmente, liberaci pure dalla madre)

”The Texas Chainsaw Massacre � Non aprite quella porta�. Make: 1974, regia di Tobe Hooper. Remake: 2003, regia di Marcus Nispel.
È un esordio, e quindi parte delle mie osservazioni critiche a seguire potrebbero essere scusate dal debutto.
Lo sono meno, ai miei occhi, perché di questo libro s’� voluto fare l’ennesima next big thing, è stato molto spinto, promosso, e discusso.
Inquietante, dal mio punto di vista, la quantità di fotografie che si trovano di questa giovane scrittrice nata nel 1986: ho sempre l’impressione che in questi casi si usi la fotogenia di chi scrive per vendere di più, e magari coprire qualche magagna.

”The Hills Have Eyes � Le colline hanno gli occhi�. Make: 1977, regia di Wes Craven. Remake: 2006, regia di Alexandre Aja.
Un altro problema per me immenso, smisurato, è che il libro è sempre promosso a pieni voti per il suo contenuto, per la sua storia, e non per il modo di raccontarla. Ancora una volta la trama ha eclissato lo stile, il cosa annulla il come.

”Winter’s Bone � Un gelido inverno�, regia di Debra Granik. 2010.
La storia credo sia ormai abbastanza risaputa: famiglia numerosa (curioso come chi scrive commenti vari il numero dei Westover junior, per chi sono cinque, per chi sei � invece sono sette, e questo si aggancia a quanto dirò tra poco) e famiglia disfunzionale � un incrocio tra “The Texas Chainsaw Massacre - Non aprite quella porta� più “Le colline hanno gli occhi� e dall’altra parte “Winter’s Bone � Un gelido inverno�.
Se non che, nel caso dei Westover la violenza è diretta all’interno della famiglia stessa, ben più che all’esterno (anche se in casa circolano perfino armi antiaeree, e i vicini di casa portati come esempio di resistenza sono membri del White Power, Fratellanza Ariana).
I figli non vengono registrati all’anagrafe, niente certificato di nascita, vengono convinti o forzati a mollare la scuola, o non frequentarla del tutto, a stare alla larga da medici e ospedali. Il tutto giustificato da una religione (mormone) che non sta in piedi neppure un istante: quale dio richiederebbe e/o approverebbe simili livelli di bestialità umana?!
Poi, il tutto si giustifica invece col bipolarismo paterno.
La più piccola di casa, Tara, è un magnifico esempio di resilienza, fiore nella concimaia che si redime e salva andando al college (approda addirittura a Cambridge e Harvard), studiando, educandosi, imparando.
Un magnifico messaggio di speranza, che è bello raccogliere e far proprio.

Una parte della famiglia Westover (quella vera).
Ma all’ombra di questo splendido assunto si nasconde una scrittura senza sorprese, né bella né brutta, accessibile e piana, che per fortuna si tiene lontana dalle frasi memorabili e/o a effetto, ma affastella più che incidere.
Soprattutto si nasconde un libro notevolmente disarticolato, oserei dire sgangherato.
Senza ritmo.
E senza una qualche struttura, magari anche ondivaga o contorta. Accelerazioni improvvise sono seguite da brusche frenate, scatti e salti anticipano passi indietro.
Non parlo solo dei salti temporali, a quelli siamo abituati, quelli vanno più che bene: a me sembra che la giovane Westover avesse o molta fretta di sfogarsi, o cognizione di una fine da raggiungere in qualsiasi modo.
Affronta ogni argomento, dalla descrizione della montagna alle violenze domestiche, con lo stesso identico tono, finendo, ovviamente, col piallare ogni cosa.
Ho avuto spesso la sensazione di quegli scarabocchi che si schizzano mentre siamo al telefono o in riunione, e quindi, quando la nostra attenzione è altrove, e la mano gira e rigira, incide, rimane sullo stesso punto, e alla fine vattelapesca cosa volevamo disegnare, è solo un garbuglio di linee.
Ho avuto spesso la sensazione di quei film dove uno viene pestato e ne esce con la gamba sinistra zoppicante e un brutto livido sullo stesso braccio � nella scena seguente, però, zoppica dalla destra, e il livido è sulla guancia invece che sul braccio.

Il giardino di casa Westover. Back or front yard?
Il primo esempio che mi viene in mente è la vicenda materna: dopo il primo incidente d’auto, subisce un’emorragia cerebrale, vive al buio con occhi diventati come quelli di un panda, ha emicranie, non prende medicine, solo erbe, dato l'impedimento religioso, si ha la netta sensazione che sia un processo irreversibile, molto probabilmente destinata a morte prematura� E invece non si sa dove, né come, né quando la madre torna in piena efficienza (fino al punto di poter subire un secondo incidente d’auto). E così avanti per tutto il libro.
È stato notato da più parti che il livello di credibilità di quanto raccontato da Westover non soddisfa appieno.

378 pagine che a me sono sembrate 3.780. Se non addirittura 37.800.
Ma siccome il benedetto messaggio, o contenuto, è di quelli belli belli � ma siccome nella confusione qualche momento buono ci scappa, io tre stelle con qualche esitazione alla fine gliele do.
Anche se ora, per giusto bilanciamento, la tentazione è andare a mettere la quinta a Elena Greco. E altrettante a Lila. Le mie amiche geniali.

Idaho
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L'educazione.
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November 21, 2018
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November 22, 2018
– Shelved
November 22, 2018
– Shelved as:
americana
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Le opere dove il 'cosa' cancella il 'come' mi interessano relativamente, spesso per nulla.
Mai mischiato treni con limoni, conosco bene la differenza. Hai mai provato a spremere un treno?

No, e se è per questo non sono nemmeno mai andata a Londra su un limone (per quanto, c'era chi girava in zucca), infatti è per questo che credo che Lila e Lenù c'entrino poco con Tara e i suoi fratelli (sette, li ho contati tutti e sette, grazie, vado a correggere!).
Non so, continuo a essere convinta che certi "cosa" vadano raccontati a discapito del "come", ma se non interessa il "cosa" capisco che il "come" si noti e infastidisca di più: avresti dovuto leggere prima e meglio il mio commento, così te lo saresti risparmiato :-)


Le amiche geniali si affrancano dal rione, Elena più di Lila, grazie all'educazione (scuola, studio, la magnifica maestra Oliviero...).
È proprio perché m'hai fatto la solita capa tanto che ho letto 'sto libro, vedi tu.
Non c'è 'cosa' senza 'come' in letteratura. Perché di letteratura si sta parlando, non di treni e limoni, vero?

Non ho nemmeno avuto voglia di commentarlo.

Potere di una buona sonora robusta campagna promozionale.
Però a questo punto sono curioso di sapere su cosa non sei d'accordo di quanto ho scritto sopra. 🤔

Evi * wrote: "Anche io condivido quasi tutto ciò che scrivi: lo stile didattico e monocorde, le incongruenze, le ripetizioni, l'eccessiva lunghezza. L'ho letto fino in fondo ma credo che una buona navigazione in..."
Sì, grazie all'educazione, così come Annie Ernaux, ma sono cose diverse, L'amica geniale è un romanzo non un racconto di vita vera (sempre ammesso che tu non le abbia conosciute davvero, loro e la maestra), e per rispondere anche a @ Evi *, in rete avresti trovato la sua storia, ma non la sua voce e il suo punto di vista, che sono un'altra cosa, che è come leggere un fatto di cronaca sul giornale o ascoltarlo dalle parole della protagonista.
È proprio perché m'hai fatto la solita capa tanto che ho letto 'sto libro, vedi tu. ma figurati, io ti ho detto di leggere altro, mica questo!
Che poi il discorso è sempre lo stesso, per me una cosa può anche non piacere, io sto solo contestando (argomentando?) alcune delle critiche fatte.

Dovrebbe far male darsi la zappa sui piedi come fai tu...
Tu stessa hai ammesso che in questo caso il 'come' conta molto meno del 'cosa': e quindi, di che voce parli? Il fatto di cronaca è più che sufficiente.
Contesto anche il fatto che questo sia un racconto di vita vera: è un romanzo a tutti gli effetti. Che poi non sia venuto bene, è altro discorso.

Secondo me stiamo facendo un grande mischione: la voce di Tara Westover è la sua, ed è autentica, che piaccia o no, ed è autentica fino a prova contraria, fino a che qualcuno non dimostrerà che siamo davanti a un nuovo caso James Frey o a un altro J.T. Leroy.
Le altre voci, quelle giornalistiche, quelle da ricerca su Google, non esisterebbero se lei non avesse scritto L'Educazione, perché quello che racconta non è "un fatto di cronaca", ma una vita intera (quella sua e dei suoi fratelli e dei suoi genitori) che avrebbe meritato di finire in cronaca, ma di cui nessun avrebbe mai saputo nulla (perché di fatto "non esistevano" per lo stato dell'Idaho) se lei stessa non avesse scritto il suo libro, imperfetto o meno che sia.

Cià, tolgo il quasi, sono d'accordo su tutto :)

😀

D'accordissimo! [cit]

È proprio l'assenza di voce che rende questo libro così poco memorabile. La storia è una delle tante, più o meno toccante, ma una delle tante. Quel che rende diversa e memorabile una storia è la voce, il modo di raccontarla, lo stile, il 'come'.

Sì, d'accordo, ma così sta passando il messaggio che questo libro sia scritto con i piedi, mentre anche tu scrivi che si nasconde una scrittura senza sorprese, né bella né brutta, accessibile e piana, che per fortuna si tiene lontana dalle frasi memorabili e/o a effetto, ma affastella più che incidere, questo per sottolineare che il mio riferirmi al "cosa" e al "come" forse è stato preso un po' troppo alla lettera da chi questo libro non l'ha letto pensandolo, un po' frettolosamente, come libro scritto male.
Per il resto, memorabile per la storia per me lo resterà senz'altro, perché mi ha raccontato di aberrazioni di cui non sapevo nulla e iniziata alla conoscenza di religioni, come quella mennonita che sto esplorando adesso, di cui ignoravo tutto (almeno i mormoni sapevo che esistessero) e che oggi mi ha regalato anche la visione di un film come "Luz silenciosa".
Questi sono i libri da cui imparo qualcosa, che letterariamente forse non varranno molto, ma che per me hanno un altro tipo di valore.

Intendi "Stellet Licht" di Carlos Reygadas?
Il libro della Westover è molto spinto e pompato: data la modestia del risultato, la cosa è doppiamente irritante.

L’Educazione l’ho scoperto qui su GR, non ho idea di quanta pubblicità abbiano fatto, in genere non è la pubblicità che mi spinge a leggere un libro, più i commenti di qualche altro lettore, la conoscenza di altri libri dell’autore stesso, la fiducia nella casa editrice, più raramente la recensione di un critico o un annuncio pubblicitario: per dire che se l’hanno pompato non me ne sono accorta :-)


Diversa gente, lettori ma credo anche critici, hanno sollevato dubbi, come fai tu. Dubbi difficili da sciogliere.
Mi chiedo se dipenda più dal punto di partenza (la bestialità e sostanziale stupidità della famiglia d’origine, che definire di religione mormone è, ritengo, altrettanto stupido) o dal punto di approdo (le prestigiose università presso le quali Westover consegue titoli di studio).


Concordo.

Orsodimondo wrote: "Marozzi wrote: "devo dire che anche secondo me tratta alcuni argomenti molto interessanti, sopra tutti la violenza che il fratello esercita sui di lei ma li tratta per raccontare una storia e tutta..."
Non mi sento target di fascette e francamente lo considero anche un po' offensivo.


Marozzi, grazie, anche perché avrebbe potuto fare il paio con chi mi disse che apprezzavo Elena Ferrante, il cui target erano le casalinghe annoiate :-)


C'è una interessante discussione su Pianobii su masscult e midcult, e io sono d'accordo con te.
Se andrai avanti nella lettura della tetralogia de L'amica geniale ti accorgerai di come la scrittura cambi e cresca insieme alla storia e alle due protagoniste. Magari ne riparleremo.

Mi spiace averti scoraggiato, è un libro con eserciti di sostenitori. Io l'ho amato meno di quanto le tre stelle dimostrino: l'ho trovato scritto in modo squinternato.


Non so che dire, Alessandra. Forse solo che anche a distanza di tempo non ho nessun affetto per questo libro.


Narrazione piatta, manca qualcosa, narrazione asettica
Io le riconosco il merito di avermi fatta entrare in un mondo che non conoscevo (chiaro, sapevo che esistevano i mormoni, ma non ero mai andata così a fondo), di avermi fatto leggere, sulla scia, Adam Henry di Ian McEwan e ora (perché certe letture ne chiamano altre come fossero calamite) Donne che parlano di Miriam Loews, dove l'orrore narrato sotto forma di romanzo (ma trae lo spunto da un agghiacciante fatto di cronaca vera) si annida fra i mennoniti - e questi, invece, proprio non li conoscevo.
Continuo a contare cinque fratelli, Tara inclusa, ma ora la curiosità mi impone di scorrere i nomi sull'ebook alla ricerca dei due mancanti :-)
Curiosità: e dopo aver dato cinque stelle a Elena e Lila quante intendi darne al piccolo Marcel?
Mi sembra che tu mischi treni con limoni.