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Stella Maris
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� Credo che la sensazione di essere un alieno � ben diversa dal sentirsi semplicemente alienati � tra i pazienti psichiatrici sia piuttosto comune.�
"Stella Maris", così è chiamata la stella che guida i marinai.
Un astro che richiama il culto mariano e che, metaforicamente, simboleggia la luce che nel buio dell’esistenza, avrebbe la funzione di fare strada, aprire un varco tra le insidie.
E� forse questo che cerca Alice Western, la giovane donna che bussa alla porta di una clinica psichiatrica proprio dal nome Stella Maris?
� 27 ottobre, 1972
Caso 72-118
La paziente è un’ebrea/caucasica di vent’anni. Di bell’aspetto, forse anoressica. Arrivata in questa struttura sei giorni fa apparentemente in autobus e senza bagaglio. Ammissione firmata dal dottor Wegner. La paziente aveva nella borsetta una busta di plastica piena di banconote da cento dollari � poco piú di quarantamila dollari in totale � che ha cercato di consegnare alla receptionist. La paziente è una dottoranda in matematica presso l’Università di Chicago e le è stata diagnosticata una schizofrenia paranoide con presenza ricorrente di allucinazioni visive e uditive. Già residente presso questa struttura in due precedenti occasioni.�
Il romanzo è propriamente il secondo di una dilogĭa che rappresenta anche l’ultima produzione di questo grandissimo scrittore recentemente scomparso.
Il testo è, in sostanza, un dialogo tra lo psichiatra- il dottor Cohen- e la paziente, perlopiù, una forma dialettica che verte su argomenti filosofici e matematici.
A quattordici anni Alice entra all’Università di Chicago uscendone solo due anni dopo laureata (sicuramente a pieni voti) in matematica.
”Di certo non sapeva che la parola prodigio deriva dalla parola mostro in latino.�
Argomentazioni per niente facili che, confesso, di aver capito poco e, per di più, anche graficamente sono difficili da seguire in quanto il botta e risposta tra i due è impaginato tutto di seguito tanto che perdere il segno può essere difficoltoso in tutti i sensi.
Ma c'è un fascino tra queste pagine che, probabilmente, è rappresentato dalla non comprensione.
Sette incontri per entrare in contatto con una giovane donne ferita dalle diagnosi e le etichette (Autistica, geniale, sinestesica, schizofrenica, paranoide..) e ferita da una realtà che non le appartiene.
Le ultime righe sono da pianto se si fa mente locale sul fatto che sono le ultime parole di un Grandissimo Scrittore!!
"Credo che il nostro tempo sia scaduto.
Lo so. Mi tenga la mano.
Tenerle la mano?
Sí. Voglio che lo faccia.
D’accordo. Perché?
Perché è quello che fanno le persone quando aspettano la fine di qualcosa."
"Stella Maris", così è chiamata la stella che guida i marinai.
Un astro che richiama il culto mariano e che, metaforicamente, simboleggia la luce che nel buio dell’esistenza, avrebbe la funzione di fare strada, aprire un varco tra le insidie.
E� forse questo che cerca Alice Western, la giovane donna che bussa alla porta di una clinica psichiatrica proprio dal nome Stella Maris?
� 27 ottobre, 1972
Caso 72-118
La paziente è un’ebrea/caucasica di vent’anni. Di bell’aspetto, forse anoressica. Arrivata in questa struttura sei giorni fa apparentemente in autobus e senza bagaglio. Ammissione firmata dal dottor Wegner. La paziente aveva nella borsetta una busta di plastica piena di banconote da cento dollari � poco piú di quarantamila dollari in totale � che ha cercato di consegnare alla receptionist. La paziente è una dottoranda in matematica presso l’Università di Chicago e le è stata diagnosticata una schizofrenia paranoide con presenza ricorrente di allucinazioni visive e uditive. Già residente presso questa struttura in due precedenti occasioni.�
Il romanzo è propriamente il secondo di una dilogĭa che rappresenta anche l’ultima produzione di questo grandissimo scrittore recentemente scomparso.
Il testo è, in sostanza, un dialogo tra lo psichiatra- il dottor Cohen- e la paziente, perlopiù, una forma dialettica che verte su argomenti filosofici e matematici.
A quattordici anni Alice entra all’Università di Chicago uscendone solo due anni dopo laureata (sicuramente a pieni voti) in matematica.
”Di certo non sapeva che la parola prodigio deriva dalla parola mostro in latino.�
Argomentazioni per niente facili che, confesso, di aver capito poco e, per di più, anche graficamente sono difficili da seguire in quanto il botta e risposta tra i due è impaginato tutto di seguito tanto che perdere il segno può essere difficoltoso in tutti i sensi.
Ma c'è un fascino tra queste pagine che, probabilmente, è rappresentato dalla non comprensione.
Sette incontri per entrare in contatto con una giovane donne ferita dalle diagnosi e le etichette (Autistica, geniale, sinestesica, schizofrenica, paranoide..) e ferita da una realtà che non le appartiene.
Le ultime righe sono da pianto se si fa mente locale sul fatto che sono le ultime parole di un Grandissimo Scrittore!!
"Credo che il nostro tempo sia scaduto.
Lo so. Mi tenga la mano.
Tenerle la mano?
Sí. Voglio che lo faccia.
D’accordo. Perché?
Perché è quello che fanno le persone quando aspettano la fine di qualcosa."
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Sergio
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Feb 17, 2024 11:50PM

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Per me, questo, è il quinto libro dell'autore e, sebbene sia sempre sorprendente, qui è proprio spiazzante.
Io l'ho letto quasi come fosse un testamento letterario ma sicuramente non lo consiglierei per familiazzare con lui :-))