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Porte aperte
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Il fine sarcasmo è, notoriamente, la cifra stilistica di Sciascia.
Un� ironia che procede a stilettate mettendo in tavola grandi temi della Storia.
Il suo procedere ha una base erudita che utilizza una sintassi intricata e questo può sconcertare il lettore.
Insomma, seppur breve, questa lettura � come quasi tutte le sue opere- non deve essere sottovalutata. Richiede molta concentrazione per poi esserne ripagati con moneta preziosa.
Lo spunto nasce da un fatto di cronaca nera.
Siamo a Palermo nel 1937, un impiegato, dopo essere licenziato uccide la moglie, il collega che doveva prendere il suo posto e il capoufficio noto gerarca fascista palermitano.
A dieci anni, circa della reintroduzione della pena di morte (Codice Rocco), la condanna alla pena capitale dopo un omicidio così efferato è data per scontata da tutti.
Tutti tranne il giudice (detto a latere) che moralmente si oppone ad una logica da Legge del Taglione.
Se nel 1829 Victor Hugo s’immedesimo nei pensieri di un condannato a morte (L'ultimo giorno di un condannato a morte), in questo breve romanzo del 1987, Sciascia ci accompagna nei pensieri di chi ha potere di comminare tale pena.
Oltre alle riflessioni di chi che sa di andare controcorrente al pensiero dominante, l’autore inquadra ±ô’i³¾±è´Ç²õ³Ù³Ü°ù²¹ generale in cui la storia si colloca.
La menzogna parte dalla stampa imbavagliata dal regime.
I giornali, infatti, avevano il divieto di riportare i fatti di sangue. La realtà così edulcorata serviva a confermare quell’immagine di sicurezza di un’Italia in buone mani.
Un’Italia dove chiunque poteva dormire con le porte aperte ...
� Non era soltanto un problema di giustizia, di amministrarla secondo la legge o di affermarla contro la legge; era anche un problema di interiore libertà , comunque dovuta a chi è chiamato a giudicare.�
Un� ironia che procede a stilettate mettendo in tavola grandi temi della Storia.
Il suo procedere ha una base erudita che utilizza una sintassi intricata e questo può sconcertare il lettore.
Insomma, seppur breve, questa lettura � come quasi tutte le sue opere- non deve essere sottovalutata. Richiede molta concentrazione per poi esserne ripagati con moneta preziosa.
Lo spunto nasce da un fatto di cronaca nera.
Siamo a Palermo nel 1937, un impiegato, dopo essere licenziato uccide la moglie, il collega che doveva prendere il suo posto e il capoufficio noto gerarca fascista palermitano.
A dieci anni, circa della reintroduzione della pena di morte (Codice Rocco), la condanna alla pena capitale dopo un omicidio così efferato è data per scontata da tutti.
Tutti tranne il giudice (detto a latere) che moralmente si oppone ad una logica da Legge del Taglione.
Se nel 1829 Victor Hugo s’immedesimo nei pensieri di un condannato a morte (L'ultimo giorno di un condannato a morte), in questo breve romanzo del 1987, Sciascia ci accompagna nei pensieri di chi ha potere di comminare tale pena.
Oltre alle riflessioni di chi che sa di andare controcorrente al pensiero dominante, l’autore inquadra ±ô’i³¾±è´Ç²õ³Ù³Ü°ù²¹ generale in cui la storia si colloca.
La menzogna parte dalla stampa imbavagliata dal regime.
I giornali, infatti, avevano il divieto di riportare i fatti di sangue. La realtà così edulcorata serviva a confermare quell’immagine di sicurezza di un’Italia in buone mani.
Un’Italia dove chiunque poteva dormire con le porte aperte ...
� Non era soltanto un problema di giustizia, di amministrarla secondo la legge o di affermarla contro la legge; era anche un problema di interiore libertà , comunque dovuta a chi è chiamato a giudicare.�
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Emilio
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Feb 22, 2024 05:13AM

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Non sono d'accordo su una cosa, il sarcasmo. Sciascia non era sarcastico mai, se per sarcasmo si intende una forma di ironia mirata a ferire l'interlocutore. La sua era purissima ironia, spesso dolente, a volte amara, mai sarcastica.

Non sono d'accordo su una ..."
Non saprei. Forse non ho letto abbastanza opere per darne un giudizio globale ma in questa lettura ricordo che l' impressione fosse si di una fine ironia ma con un retrogusto da stilettata.
Ho usato entrambi i sostantivi forse perché a tratti, soprattutto nello sguardo alla società borghese fascista, ho sentito una certa voglia di pungere.