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LE CASTAGNE SONO BUONE

In copertina.
All’inizio, per circa le prime cento pagine, la scelta di Aramburu di ricostruire con la sua scrittura il parlato e il flusso dei pensieri, frasi corte, staccate, ritmo spezzato, cambio repentino di soggetto, di voce narrante, quando terza e quando prima, non rende la lettura agevole, soprattutto non aiuta a entrare.
Ma alla prima situazione calda, che di solito coinvolge altri dalle due madri, troppo appiattite nella loro monotematicità, la scelta di Aramburu si rivela vincente: e da quel momento non si esce più, si rimane incollati alla vicenda.

E credo che per me sia questo il fascino maggiore di questo romanzo: il flusso di dialogo trasformato in parte descrittiva e viceversa, un unicum lungo seicentoventi pagine (divise in brevi capitoli di cinque pagine l’uno).
Al di là della storia che la mole del romanzo sembra voler trasformare in epica, ma secondo me mancando il risultato.
Romanzo sul perdono? Sì, forse, probabilmente. Ma per centinai di pagine sembra più una storia di vendetta.
Qui si narra di due famiglie, quella del morto con due figli, maschio e femmina, l’altra con progenie più numerosa, tre, femmina e due maschi. Prima amici, poi separati irreparabilmente da un delitto che a monte ha una scelta di campo: la prima vorrebbe astenersi, la seconda invece si schiera. Dalla parte dell’ETA.

Strano gruppo politico e terrorista: rivendicavano con forza e tenacia l’indipendenza della loro terra, i cosiddetti Paesi Baschi, prima combattendo contro la dittatura di Franco, poi proseguendo in epoca nella quale confini e frontiere si vanno allargando e sparendo (in teoria, purtroppo è un’aspirazione che recentemente si sta rapidamente sgonfiando).
I Paesi Baschi abbracciano anche la terra di Francia: ma in quella nazione l’indipendentismo basco non è mai stato altrettanto forte di quello spagnolo.

I membri dell’ETA ammazzavano sparando alla nuca, sequestravano, chiedevano riscatto, chiedevano il pizzo, imponevano l’omertà.
E fin qui i paragoni con la Cosa Nostra.
Altri paralleli vien da farli col KKK per quell’uso di cappucci bianchi.
Oppure con gli amanti della camicia nera, che professavano dio (e qui le due matriarche sono casa e chiesa, si sarebbero fatte suore non si fossero sposate, beghine il giusto � il prete è il personaggio più abbietto), patria (il titolo del romanzo) e famiglia (si respira un matriarcato d’altri secoli).

Ma l’ETA generò molta simpatia a sinistra: perché cominciò combattendo contro il franchismo (però la maggior parte dei morti sono stata ammazzati dopo), perché ha avuto un’anima socialista e ugualitaria (ma minoritaria � alla fine vinceva il nazionalismo, alla faccia dell’internazionale).
Aramburu si schiera: più che contro l’ETA, a favore delle vittime. Nella lotta tra gruppo armato e stato, non risparmia violenza e brutalità a entrambi gli schieramenti.

Il romanzo scorre, e credo lo si debba proprio allo stile di racconto adottato da Aramburu.
I salti temporali sono tantissimi, continui, anche all’interno dello stesso capitoletto, e la cronologia non è proprio cristallina.
Qualche deriva di racconto si poteva evitare, sembra più che altro sbavatura: in effetti, le 620 non sono proprio tutte necessarie, si sarebbe potuto (e dovuto) sforbiciare ampiamente.
Dopo tanto sangue, né socialismo, né indipendenza, né un cazzo fritto. Era saldamente convinto di essere stato vittima di una truffa.
Pensa Joxe Mari, militante dell’ETA, arrestato a ventiquattro anni, dopo averne passati altrettanti in carcere.

In copertina.
All’inizio, per circa le prime cento pagine, la scelta di Aramburu di ricostruire con la sua scrittura il parlato e il flusso dei pensieri, frasi corte, staccate, ritmo spezzato, cambio repentino di soggetto, di voce narrante, quando terza e quando prima, non rende la lettura agevole, soprattutto non aiuta a entrare.
Ma alla prima situazione calda, che di solito coinvolge altri dalle due madri, troppo appiattite nella loro monotematicità, la scelta di Aramburu si rivela vincente: e da quel momento non si esce più, si rimane incollati alla vicenda.

E credo che per me sia questo il fascino maggiore di questo romanzo: il flusso di dialogo trasformato in parte descrittiva e viceversa, un unicum lungo seicentoventi pagine (divise in brevi capitoli di cinque pagine l’uno).
Al di là della storia che la mole del romanzo sembra voler trasformare in epica, ma secondo me mancando il risultato.
Romanzo sul perdono? Sì, forse, probabilmente. Ma per centinai di pagine sembra più una storia di vendetta.
Qui si narra di due famiglie, quella del morto con due figli, maschio e femmina, l’altra con progenie più numerosa, tre, femmina e due maschi. Prima amici, poi separati irreparabilmente da un delitto che a monte ha una scelta di campo: la prima vorrebbe astenersi, la seconda invece si schiera. Dalla parte dell’ETA.

Strano gruppo politico e terrorista: rivendicavano con forza e tenacia l’indipendenza della loro terra, i cosiddetti Paesi Baschi, prima combattendo contro la dittatura di Franco, poi proseguendo in epoca nella quale confini e frontiere si vanno allargando e sparendo (in teoria, purtroppo è un’aspirazione che recentemente si sta rapidamente sgonfiando).
I Paesi Baschi abbracciano anche la terra di Francia: ma in quella nazione l’indipendentismo basco non è mai stato altrettanto forte di quello spagnolo.

I membri dell’ETA ammazzavano sparando alla nuca, sequestravano, chiedevano riscatto, chiedevano il pizzo, imponevano l’omertà.
E fin qui i paragoni con la Cosa Nostra.
Altri paralleli vien da farli col KKK per quell’uso di cappucci bianchi.
Oppure con gli amanti della camicia nera, che professavano dio (e qui le due matriarche sono casa e chiesa, si sarebbero fatte suore non si fossero sposate, beghine il giusto � il prete è il personaggio più abbietto), patria (il titolo del romanzo) e famiglia (si respira un matriarcato d’altri secoli).

Ma l’ETA generò molta simpatia a sinistra: perché cominciò combattendo contro il franchismo (però la maggior parte dei morti sono stata ammazzati dopo), perché ha avuto un’anima socialista e ugualitaria (ma minoritaria � alla fine vinceva il nazionalismo, alla faccia dell’internazionale).
Aramburu si schiera: più che contro l’ETA, a favore delle vittime. Nella lotta tra gruppo armato e stato, non risparmia violenza e brutalità a entrambi gli schieramenti.

Il romanzo scorre, e credo lo si debba proprio allo stile di racconto adottato da Aramburu.
I salti temporali sono tantissimi, continui, anche all’interno dello stesso capitoletto, e la cronologia non è proprio cristallina.
Qualche deriva di racconto si poteva evitare, sembra più che altro sbavatura: in effetti, le 620 non sono proprio tutte necessarie, si sarebbe potuto (e dovuto) sforbiciare ampiamente.
Dopo tanto sangue, né socialismo, né indipendenza, né un cazzo fritto. Era saldamente convinto di essere stato vittima di una truffa.
Pensa Joxe Mari, militante dell’ETA, arrestato a ventiquattro anni, dopo averne passati altrettanti in carcere.

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March 17, 2019
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March 18, 2019
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March 18, 2019
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spagnola
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Gabril
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rated it 5 stars
Mar 18, 2019 11:39PM

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Lo capisco. Io invece ho sviluppato idiosincrasia per i romanzi con tante pagine, pretendo il massimo per essere coinvolto in lunga lettura: per me questo di Aramburu è buono, forse più che bello, certo non il massimo. Comunque, l'ho goduto, e letto in pochi giorni.

La mia titubanza sta nell'affrontare autori nuovi che non muovono particolarmente il mio interesse, quando ho in lista molti libri che mi piacerebbe leggere e autori che vorrei approfondire.


Sì, è piuttosto inaspettato. Il che è un bel pregio.

La mia titubanza sta nell'affrontare autori nuovi che non muovono particolarmente il mio interesse, quando ho in lista molti libri che mi pi..."
Patria non è certo un libro imprescindibile. Di Aramburu non ho letto altro.

Non sarò certo io a spingerti a leggerlo. Anche se, per restare in terra ispanica, spero tu l'abbia capito, è molto meglio di Berta Isla.
By the way, Io invece apprezzo il tuo commento: perché, chi è che non apprezza il mio commento?

Io, invece, mi limito ad apprezzare il tuo commento, etc.
Comunque no, non credo sia migliore di Berta Isla, è chiaro che la pensiamo in maniera diversa, ma soprattutto credo siano due cose diverse. Ma non mi convinci lo stesso, per ora continuo a non leggerlo. :-)

Scrittura interessante, non compiaciuta (non trombone), una storia vera (non fumo riscaldato). Non leggerlo mi raccomando.


🙏🙇♂�

In genere sei più rispettoso quando si tratta di letteratura, che mica stiamo parlando di fabiovolo o di chiaragamberale: Javier Marías è un grande autore, spesso non digeribile (io ne sono la prova), non per tutti, e con questo intendo solo dire che non può piacere a tutti, senza che questa diventi una nota di merito per chi lo apprezza: è la classica questione di gusti che tu fatichi a digerire, e invece esiste, senza intaccare il valore dell'autore, né l'opera.
Che poi sia presuntuoso, trombone in quel senso, è un altro discorso.

Vero, in genere sono più rispettoso, anche con Chiara Gamberale e Fabio Volo, che non ho mai letto neppure per sbaglio e mai leggerò. fatto è che quel tipo di scrittura abbinato a uno che si definisce O Rey mi ha fatto scattare un meccanismo: trombone è il risultato dell'addizione fra stile di scrittura e soprannome. 🤪😜
Ah, per la cronaca nel frattempo ho iniziato "Domani nella battaglia..." e l'ho abbandonato.

Perché ormai ti sei fatto anziano e hai bisogno della trama, che sennò ti cala la palpebra. 😜
O Rey mica se lo sarà dato da solo, o è il suo nick su ŷ? E poi è El Rey. Tsk.

Perché ormai ti sei fatto anziano e hai bisogno della trama, che sennò ti cala la ..."
Ma non era Rey de Redonda, per la casa editrice che aveva fondato? Comunque sono due scrittori diversi e per ognuno dei due ha influito un sacco sulla carriera la biografia, il che non so se sia u bene. Io ho letto TUTTO di Marías, incluso gli articoli settimanali, fino a un anno e mezzo fa. E posso sopportare le sue idee politiche, posso sopportare che voglia vedere tutti gli interisti morti, ma quando se ne è uscito con l'idea che nella vita bisogna 'evitar las mujeres' - per non parlare di quando ha scritto nella sua colonna domenicale che richiedere prestazioni sessuali in cambio di un lavoro è una normale transazione - ebbene: io ho cominciato a evitare lui... Anche se inizio a pensare che in fondo stia fomentando tutto questo scalpore perché le sue vendite in patria stanno calando drasticamente.
Però sì, ormai ogni volta che interviene pubblicamente, concordo: è diventato un gran trombone e sta invecchiando veramente male.
Aramburu, se ha un difetto, è che è un po' monocorde nelle tematiche. D'altro canto, se sei più o meno costretto ad andartene da casa tua per le minacce, ci sta anche che tutto il tuo lavoro finisca col pensiero lì.

Sul trombone all’uomo posso anche essere d’accordo, comunque, ma riguardo all’autore (e per quel pochissimo che ho letto di suo) no, direi di no.


Sul trombone all’uomo posso anche essere d’accordo, ..."
Siccome te la prendi tanto a cuore come se fosse questione personale, eliminiamo il trombone che ti disturba. La Treccani suggerisce un sinonimo che mi aggrada: sacripante.


Allora dopo che l'avrai letto ci confronteremo!
Solo noi due, perché @Orsodimondo non lo leggerà visto che è senza trama. :-P

Io prendo nota, grazie!